La riflessione logica, l’ideologia sua nemica e il ballerino di quarta fila
Riflessione significa specchiamento, piegamento del pensiero su sé stesso.
La riflessione può essere superficiale o radicale. A me non interessa quella superficiale che può essere chiamata anche solamente “chiacchiera”, attività aborrita da Martin Heidegger (cf. Sein und Zeit, 1927), di cui è pieno ogni angolo del mondo e delle vite di ciascuno. Personalmente ritengo la chiacchiera una delle attività umane più idiote e sgradevoli, mentre di ben altra caratura morale e utilità sociale è il colloquio o il dialogo rispettoso e civile tra due o più persone!
A me qui interessa particolarmente la riflessione radicale, cioè quella che riguarda la gnoseologia, ovvero la critica della conoscenza, che è strumento indispensabile per analizzare le cose e i fatti nostri e del mondo, al fine di scoprirne realtà e verità (anche se non mai assoluta, ma concreta e locale, salvo che nei principi primi del rispetto assoluto per l’integrità psico-fisica di ogni essere umano).
Le cose spesso non sono come immediatamente appaiono, per cui sarebbe bene ricorrere sempre agli strumenti della logica argomentativa, come il sillogismo di primo tipo, che Aristotele propose duemila e quattrocento anni fa, che ho citato in questo mio sito non meno di alcune diecine di volte. Due esempi, caratterizzati dalle due premesse e dalla conclusione necessaria: a) Socrate è un uomo, b) gli uomini sono mortali, c) Socrate è mortale, oppure: a) l’uomo è razionale, b) chi è razionale è libero, c) l’uomo è libero.
Inconfutabili: vi è un’affermazione iniziale a premessa, vi è una seconda affermazione a rinforzo generale della prima, si dà infine una conclusione che deriva dalla logicità “inespugnabile” del rapporto tra le due premesse. Bene.
Si pensi all’ideologia politica, sia essa di destra sia essa di sinistra. Spesso, per una logica ferrea, entrambe esprimono conclusioni assolutamente illogiche. Attenzione, non le metto sullo stesso piano sotto il profilo etico, ma le comparo solo sotto il profilo logico. Un esempio: come si fa a sostenere che l’uguaglianza (amata dalla sinistra) ha una valenza politica e morale senza difetti? Molti, i più che militano a sinistra, lo fanno. Dimostro che logicamente l’uguaglianza non sta in piedi: a) l’uomo ha diritto all’uguaglianza, b) ogni uomo è diverso da ciascun altro, c) se applico un’uguaglianza tra diversi, sono ingiusto, iniquo…
Come si risolve questa aporia logica? uscendo dalla logica stricto sensu,e applicando le differenziazioni che ci sono suggerite dall’antropologia filosofica realista-personalista, che va da Aristotele fino a Emmanuel Mounier, passando per Tommaso d’Aquino. Anche questa esemplificazione è presente in molti pezzi precedenti e ne tratterò presto in uno specifico testo in via di pubblicazione. Si tratta di distinguere tra “struttura di persona”, che attesta la pari dignità fra tutti gli esseri umani, in base alla compresenza – in tutti – dei tre elementi della fisicità, dello psichismo e della spiritualità, e “struttura di personalità”, che attesta l’irriducibile differenza di ciascuno da ciascun altro, in base alla compresenza di tre altri elementi, la genetica, l’ambiente di crescita della persona e l’educazione avuta.
Proseguendo: se ciò è fondato e quindi è vero, anche il concetto di uguaglianza tipico della sinistra va corretto con il concetto di equità-tra-diversi, nel quale titolo morale si riassume, sia l’irriducibile differenza, sia la pari dignità di ogni persona, e anche, sia un reddito di cittadinanza per chi non può sostentarsi, sia una retribuzione adeguata e differenziata per il merito professionale e la propensione al rischio.
E infine, caro lettore, ti propongo l’esempio del ballerino di quarta fila. Scommetto che lo sapresti riconoscere anche se non lo citassi per nome. E non lo citerò, per noia. Si tratta di un parvenù della politica che fino a quattro anni e mezzo fa nessuno conosceva e che poi è stato imposto dai fatti e dai numeri di una pessima legge elettorale. Il suo piglio è quello del re inaspettato rapidamente (mai troppo, a mio avviso) defenestrato, fatto che non accetta, e allora si arrabatta, peraltro con un certo successo nella parte di pubblico che la “gaussiana” colloca tra chi-non-ci-arriva e chi-ci-arriva-molto, auto-contraddicendosi ogni momento, confidando nella scarsa o nulla memoria di molti Italiani.
Per quanto concerne la logica obbligatoria nella riflessione radicale, questo signore ne è completamente alieno. Lo mostro, con un suo tipico sillogismo implicito (fo’ per ridere): a) la guerra è cattiva, b) gli Italiani fanno la guerra (anche se per interposta nazione), c) gli Italiani sono cattivi (e guerrafondai).
Salvo dimenticarsi di dire che lui è stato fra questi “guerrafondai” fino a qualche decina di giorni fa. Ed era la stessa guerra, che si chiama, scientificamente, in politologia e scienza militare: “aggressione della Federazione russa all’Ucraina”; d’altro canto, in Etica generale e nel Diritto positivo ogni aggressione prevede la giusta e proporzionata reazione, anche armata, per una legittima difesa.
Il rigorosissimo codice morale di Tommaso d’Aquino ammette pacificamente che la persona aggredita, se difendendosi uccide l’aggressore, non è imputabile di omicidio, e per tale reato condannabile a una grave sanzione, perché ha solamente applicato la forza necessaria per impedire di essere ucciso. La morte dell’aggressore, nel caso, si configura come effetto secondo non voluto, per il cui esito non si dà, dunque, alcuna responsabilità morale, né penale. E’ chiaro il concetto logico-morale, allora, cari semplificatori e banalizzatori di un pacismo idiota, delirante e insensato?
Il pacifismo razionale ed eticamente fondato è radicalmente altro: è la ricerca diuturna, con la massima pazienza, di una possibilità di interruzione delle ostilità, prima di tutto, di un armistizio successivamente, e infine di una pace che non sia umiliante per l’aggredito (in altre parole, nel caso dell’aggressione russa all’Ucraina, evitando un consolidamento dei referendum farlocchi celebrati senza controllo alcuno nelle regioni del Don).
Ci sono degli esempi virtuosi da imitare? Sì, me ne viene in mente uno che ci interessa. Ci ricordiamo degli attentanti degli anni ’50 e ’60 in Alto Adige/ Sud Tyrol effettuati da un nazionalismo germanizzante armato? La soluzione politicamente intelligente e moralmente ineccepibile fu, da parte dell’Italia e dell’Austria, di ri-conoscere agli abitanti di quel territorio caratteristiche particolari con la quali si applicò un bilinguismo tedesco-italiano perfetto nella Pubblica amministrazione, negli obblighi disciplinari scolastici, nell’organizzazione sociale, etc., dando ai parlanti-tedesco gli stessi diritti sociali, politici e culturali degli abitanti del Tirolo Settentrionale facente capo ad Innsbruck, ma all’interno della Repubblica Italiana.
Analogamente si potrebbe proporre per il territori afferenti il fiume Don e la Crimea: rimangano ucraini con caratteristiche prevalenti russe. Se si vuole si può. Un passo indietro Putin e un passo di lato Zelenski. Si tratta, peraltro, di una proposta che venne formulata nel 2014 in un gruppo di lavoro transatlantico composto da Obama, Hollande, Merkel, Cameron e Renzi, ma non gli si diede seguito.
Circa il conflitto provocato dai Russi putiniani in Ucraina attualmente si può solo auspicare e lavorare perché sia fermato immediatamente. Circa la sua genesi remota e prossima, al di là delle incontestabili responsabilità dirette degli attuali capi della Russia, saranno gli storici a dipanarne gli intrecci e gli intrighi.
In questa sede non ho fatto la fatica di riportare anche le illogicità della cultura di destra perché ora non mi interessa affaticarmi anche su quel versante. Mi basterebbe che la Destra dichiarasse, per bocca di Meloni, che il 25 Aprile è anche la loro festa, e il discorso sarebbe chiuso, a mio avviso.
La sinistra avrebbe invece bisogno di riflettere – utilizzando la logica razionale – sui “danni” dell’egualitarismo puro sapendo declinare i termini dell’equità, (in un post precedente ho già in parte approfondito questo tema) come insegna la tradizione del socialismo gradualista e del cristianesimo sociale.
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