Della polemica suscitata da mons. Georg Ganswein sull’uso della lingua latina nelle liturgie, e sul suo ruolo perduto di Prefetto della Casa pontificia dopo la rinunzia di Benedetto XVI e l’elezione al Ministero petrino di Papa Francesco, o del diritto ad attuare lo “spoil system” da parte di chi governa, cioè di cambiare i più stretti collaboratori quando ci si assume un “ruolo direttivo centrale”, e le relative e connesse responsabilità verso la struttura interna e verso tutto il mondo
Sinceramente non mi aspettavo che questo intelligente prelato, mons. Georg Ganswein, neanche terminate le esequie di papa Benedetto XVI, abbia dato fuoco alle polveri di una polemica inutile e dannosa, che riguarda, da un lato la Santa messa in lingua latina, dall’altro il suo ruolo di Prefetto della Casa pontificia, venuto meno -a suo tempo -per volere del nuovo Papa.
E’ evidente che la “cosa” non è nata giovedì 5 Gennaio 2023, ma era latente da tempo e – simbolicamente – molto più profonda di quanto non appaia dalle narrazioni mediatiche, che raramente sono sorrette da un’informazione e da una conoscenza, non dico profonda, ma almeno sufficiente delle complicate questioni inerenti la Teologia cattolica, storica e attuale, la struttura e il funzionamento della Chiesa cattolica, e le tematiche concernenti le Liturgie, vale a dire i Riti e le modalità espressive del Cristianesimo cattolico, nella sua dimensione storica, organizzativa e “gestionale”.
In questo pezzo non parlerò delle differenze teologiche tra i due papi, perché ciò richiederebbe un tempo e uno spazio (ed energie) che oggi non ho a disposizione, in ragione della loro complessità, ma prima di parlare dello spoil system, spendo alcune parole sui due temi sollevati da don Georg, quello liturgico e quello organizzativo.
Circa la Santa messa in latino, fu Paolo VI, a seguito delle decisioni assunte con il Concilio Ecumenico Vaticano II, ad ampliare le possibilità linguistiche nella celebrazione di questo Rito fondamentale e teologicamente rilevantissimo del Cristianesimo, soprattutto Cattolico e Ortodosso, perché nel mondo delle Riforme protestanti, salvo che nell’Anglicanesimo, rimasto molto simile al Cattolicesimo, non si può parlare propriamente di Messa, ma di Rito memoriale della cena del Signore, con l’avvio dell’utilizzo delle lingue nazionali e locali, senza proibire od escludere in via assoluta la lingua latina.
La decisione di papa Montini fu una scelta di carattere certamente teologico, con il riconoscimento del valore umano e culturale, ma soprattutto religioso e cristiano dei singoli idiomi umani inseriti nella storia dei popoli e caratterizzanti le varie culture, ma forse ancora di più pastorale, per avvicinare meglio e maggiormente le popolazioni, specialmente le più povere e disagiate alla Parola del Vangelo di Gesù, che è Gesù Cristo stesso.
Ricordo qui anche che la figura di Paolo VI, papa coltissimo e rispettoso della storia e della cultura umana (fu il primo papa a dialogare sistematicamente con gli artisti, seguito in questo da papa Benedetto XVI, ed istituendo la sezione contemporanea nei Musei vaticani, che invito il mio gentile lettore a visitare), era assolutamente aliena da ogni pensiero che escludesse la storicità, il valore liturgico, l’intensità semantica e la bellezza, a mio avviso, incomparabile della lingua latina dagli ambiti della Chiesa cattolica.
Bene, dalla metà degli anni ’60, le liturgie cattoliche si sono potute svolgere nelle singole lingue nazionali e locali. Che cosa fece su questo tema Benedetto XVI? Riprese a considerare la possibilità di un utilizzo liturgico del latino, senza nessun ritorno al passato, magari con la proibizione dell’utilizzo delle lingue nazionali. Papa Benedetto si limitò a ricordare che il latino aveva ancora piena cittadinanza nella Chiesa, e che quindi si sarebbe ancora potuto usare. E Francesco non smentì mai questa possibilità.
Non dimentichiamo che papa Benedetto era un Europeo a tutto tondo, con tutto ciò che tale appartenenza comporta, mentre invece Francesco è un Sudamericano, se pure di origine italiana, con una sensibilità culturale, quindi, molto diversa da quella del suo predecessore nel papato. Altro aspetto: Benedetto era un presbitero, per scelta di studi e per inclinazione dottrinale, “agostiniano”, con tutto l’enorme bagaglio teologico-filosofico che ciò comporta, mentre invece Francesco è totalmente un “gesuita”, con tutto l’enorme peso della politicità della lezione di sant’Ignazio de Loyola. Benedetto ha primariamente a cuore la Fede e la spiritualità, Francesco ha prima di tutto a cuore la Carità universale, che sono due termini teologici assolutamente non contrastanti, ma relati e reciprocamente necessari.
Si pensi che il termine Caritas è presente in tutte e due le principali Lettere encicliche di Benedetto XVI, nella prima, più teologica, Deus Caritas est, vale a dire “Dio è amore”, dall’espressione forse più famosa del Vangelo secondo Giovanni, e nella seconda, Caritas in Veritate, vale a dire “L’Amore nella Verità”, che si incentra sull’amore di Dio per l’uomo e sul collegamento necessario che tale amore esige, cioè che esista tra tutti gli uomini, come condizione per rendere Vero anche l’amore degli uomini per Dio stesso.
E vengo al tema organizzativo. Nel momento in cui Benedetto rinunziò al Ministero petrino e il Conclave elesse Jorge Mario Bergoglio papa, questi, chiamatosi “Francesco” per ragioni oramai molto note e comprese dai più, anche tra i non-credenti, trovò mons. Ganswein nella posizione di Prefetto della Casa pontificia, cioè supervisore del governo di tutto ciò che circonda il Papa dal punto di vista della vita pratica. Non dimentichiamo che Francesco scelse di non alloggiare negli appartamenti vaticani, che ospitano i papi da secoli, ma preferì l’alloggio più modesto nel monastero di Santa Marta. Benedetto e Francesco, da allora, vissero in due “case di preghiera” interne al Vaticano. Nel frattempo, don Georg continuava ad adempiere al ruolo di segretario particolare del Papa emerito.
E’ a questo punto che si verifica la separazione, perché Francesco non ha più ritenuto che il sacerdote tedesco dovesse mantenere anche il ruolo di Prefetto della Casa pontificia e ha scelto di congedarlo da quel ruolo.
Ora, si può ben capire che don Georg non prese benissimo la decisione papale, ma ovviamente obbedì, in silenzio, silenzio che ha ritenuto di rompere (a mio avviso inopportunamente per modalità e tempistiche) ora che Benedetto se ne è andato, esprimendo pubblicamente per iscritto sentimenti che tratteneva da tempo.
Due parole sullo spoil system, cioè sulla possibilità/ opportunità o perfino utilità/ necessità di cambiare i propri collaboratori più prossimi.
Posto che tutti, preti e laici, siamo esseri umani con i nostri pregi e difetti, non è assolutamente strano che Francesco abbia agito come ha agito con mons. Ganswein. Forse tale decisione sarà stata brusca e inaspettata, ma che fosse perfettamente legittima è fuori questione.
Lo spiego: in ogni struttura organizzativa, che richiede politiche gestionali, perché ivi sono coinvolte più persone operative, colui che ha le massime responsabilità, in quanto si trova obiettivamente nella posizione più elevata e difficile, della quale deve rispondere di fronte alla struttura e al mondo, ha bisogno di poter contare a occhi chiusi su chi gli sta più vicino, di avere una fiducia svincolata da ogni altro potere o autorità o carisma, che comunque, soprattutto per quanto attiene autorevolezza e carisma, restavano intatte nel Papa emerito, soprattutto nella percezione di don Georg.
Senz’altro Papa Francesco si è trovato in una situazione nella quale don Georg era e rimaneva l’uomo di fiducia di Joseph Ratzinger, il suo “servitore” (nel senso evangelico del termine) più fedele, che lo conosceva meglio di tutti. E ha deciso di cambiare.
Per esperienza in molti e complessi ambiti economici e aziendali e per ferma convinzione, nata nel tempo dalla mia constatazione che ogni tipo di potere alla lunga logora e fa peggiorare le persone, penso che tutti coloro che si trovano ai vertici di qualsiasi struttura, abbiamo il diritto di muoversi in questo modo, e che, anzi, ciò convenga anche a chi usufruisce del servizio, e nel caso, di ciò-che-è la struttura centrale della Chiesa cattolica, l’ambito delle funzioni del Vescovo di Roma, Primate d’Italia e Pastore della Chiesa universale.
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Sono d’accordo sull’inopportunità e, soprattutto, intempestività delle uscite di Mons. Ganswein. Tuttavia, la differenza fondamentale tra gli approcci di Benedetto e Francesco sulla messa in latino non va sottaciuta: per il primo si tratta di forma straordinaria del rito romano, per il secondo la sola forma degna di essere celebrata del rito romano è quella Novus Ordo, come risulta chiaramente da “Traditionis custodia”, che concede con forti restrizioni la messa Vetus Ordo solo in forma residuale, destinandola di fatto all’estinzione.
Sono d’accordo sull’inopportunità e, soprattutto, intempestività delle uscite di Mons. Ganswein. Tuttavia, la differenza fondamentale tra gli approcci di Benedetto e Francesco sulla messa in latino non va sottaciuta: per il primo si tratta di forma straordinaria del rito romano, per il secondo la sola forma degna di essere celebrata del rito romano è quella Nuvus Ordo, come risulta chiaramente da “Traditionis custodes”, che concede con forti restrizioni la messa Vetus Ordo solo in forma residuale, destinandola di fatto all’estinzione.
Ti ringrazio delle precisazioni, caro Giorgio. Circa le conseguenze ordinate da Francesco sulla Messa in latino sarei più cauto sull’ipotesi di estinzione di quel tipo di rito, perché, finché nelle Facoltà teologiche si continuerà a insegnare anche Liturgia, ivi comprendendovi anche la Messa in latino, e lo si sta facendo, vi saranno sempre presbiteri (certamente non tutti, ma quelli più preparati) che potranno, se vorranno, celebrare la Messa in latino, Renato