Il ciclismo sotto il profilo di una scienza sportiva, della organizzazione, della gestione, della valutazione e dei compensi di corridori e squadre (con l’ausilio essenziale del mio amico fra’ Luigi da Lignano, già ciclista agonista, cioè sceso molte volte in gioventù nell’agone delle gare, e dell’amico dottor Gianluca, economista di vaglia e dirigente d’azienda)
Ora che Primoz Roglic ha vinto il Giro d’Italia vale la pena, per me, da sempre appassionato di questo sport un po’ avariato ma verissimo, scrivere qualcosa su come funzionano le cose tra le squadre professionistiche, tra campioni, mezzi campioni, pretesi campioni e gregari. Uno sport che a volte confina, e a volte si trova nel mito. Cito nomi come quelli di Bottecchia, Girardengo (con l’aiuto di Francesco De Gegori), Bartali, Coppi, Anquetil, Merckx, Indurain, Hinault, Contador, Valverde, Van Looy e Pantani, e manca qualche nome che è nel mito…
Inizio con una classificazione tra i ciclisti, a seconda del tipo di prestazioni e risultati.
Frate Gigi da Lignano propone questo tipo di classificazione per linee di valore, di cui esemplificherò uno o più nomi, differenti per le corse a tappe e per quelle in linea:
- quelli che vincono giri nazionali come il Giro d’Italia, il Tour e la Vuelta, come Fausto Coppi, Eddy Merckx, Jacques Anquetil, Miguelon Indurain, Ottavio Bottecchia, Felice Gimondi, Bernard Thevenet, Alberto Contador, etc.; quelli che vincono mondiali come Alfredo Binda, Bernard Hinault, Louison Bobet (che hanno anche vinto grandi giri), etc.; quelli che vincono classiche “monumento”, tipo la Sanremo, il Lombardia, la Doyenne, cioè la Liegi, il Fiandre e la Roubaix, come Rik Van Looy, Roger De Vlaeminck, Moreno Argentin, Johan Museeuw, etc.; quelli che vincono Olimpiadi, come Ercole Baldini, Filippo Ganna, etc.; quelli che vincono volate a ripetizione, come Rik van Steenbergen, Mario Cipollini, etc.;
- quelli che vincono molte corse di tutti i tipi, come Francesco Moser, Giuseppe Saronni, Laurent Fignon, Fiorenzo Magni, Paolo Bettini, Julian Alaphilippe, etc.
- quelli che vincono qualche gara, come nel caso di un Cassani, che invece di parole ne ha molte; ne avesse usate di meno per energizzare di più le prestazioni…;
- quelli che si piazzano spesso, come il furlan De Marchi, o l’a me antipaticissimo francese Thomas Voeckler, che faceva smorfie in gara;
- quelli che si piazzano qualche volta: moltissimi;
- quelli che corrono solo per gli altri, i gregari, a volte gloriosi, a volte campioni mancati.
- quelli simpatici (categoria inserita da me), come il francese Thibaut Pinot, che è anche molto forte, e quelli antipatici (sempre secondo me) con l’irlandese Stephen Roche che vigliaccamente rubò un Giro d’Italia a quel bellissimo corridore che è stato Roberto Visentini.
Le squadre si organizzano a seconda dei mezzi economici a disposizione e redigono un calendario annuale, e a volte anche pluriennale, in base alle disponibilità e al tipo di atleti che possono schierare. Vi sono squadroni che possono partecipare ai grandi giri e anche alle classiche, a partire da quelle maggiori, essendo in grado di schierare quasi due organici diversi, ad esempio al Giro e al Tour: un esempio di questi anni: la Jumbo Visma, olandese, che può mandare otto corridori al Giro con Roglic come capitano, e anche otto corridori, altrettanto forti, al Tour, con Jonas Vingegaard come capitano; un altro esempio, l’inglese Ineos Grenadiers, che può inviare al Giro otto ciclisti con Geraint Thomas (secondo a questo Giro e vincitore del Tour 2018) e Tao Geoghen Hart (ritiratosi per caduta a questo Giro e vincitore nel 2021) e otto ciclisti forti ugualmente con Geoghen Hart, Ganna e forse Egan Bernal, potenziale “grande” (già vincitore di un Giro e di un Tour), forse l’unico in grado di competere, se in forma, con Pogacar, Vingegaard e Roglic.
Ecco un’ipotesi di per compensi individuali: stipendi e premi lordi per vittorie e/o piazzamenti, e lavoro di squadra.
Frate Gigi da Lignano suggerisce questa tabella:
da 1 a 6 milioni di euro per i corridori in grado di vincere grandi giri e più classiche. L’elenco attuale comprende, oltre ai più volte citati vincitori dei più recenti giri, vuelta e tour, abbiamo Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert;
da 0.5 a 0.9 (si intendono centinaia di migliaia di euro) corridori vincenti giovani, o qualche anziano solido alla Caruso;
da 0.2 a 0.4 corridori con potenziale e grandi gregari;
da 0.1 a 0.2 gregari affidabili in carriera;
da 0.035 a 0.1 giovani e gregari in età.
Abbiamo dunque alcuni, pochissimi, che guadagnano come i grandi sportivi del calcio (non come gli assurdi Messi e Cristiano Ronaldo) e di altri sport come il tennis e il basket americano (con l’ecczione di giganti come Le Bron James, Kobe Bryant, Michael Jordan et similia); “fuori gioco” nel confronto sono gli inarrivabili campioni assoluti del golf, à là Tiger Woods e dell’automobilismo (un Hamilton o un Verstappen possono arrivare, tra ingaggio e sponsorizzazioni, a 70/ 100 milioni all’anno).
Per commentare questo tipo di compensi ricorro alla “consulenza” di un altro caro amico, il dottor Gianluca, CEO di una multinazionale nella quale mi occupo degli aspetti etici, che mi spiega (a fatica, perché sono io che faccio fatica a capire…) che le remunerazioni sono letteralmente “fatte” dal mercato, secondo le dottrine classiche smithian-ricardiane (e pure marxiane), nel quale vige l’aurea legge fondamentale della domanda e dell’offerta. No comment, poiché se commentassi, ciò mi porterebbe ad un discorso etico generale che proporre qui sarebbe improprio, anche perché lo ho affrontato altrove millanta volte. In hoc nunc repetita non juvant!
In questo Giro d’Italia gli Italiani hanno vinto quattro bellissime tappe con Jonathan Milan, Davide Bais, Filippo Zana e Alberto Dainese, un bel ritorno al passato quando vincevamo dieci tappe su ventuno e sei o sette su ventuno al Tour. Qualcosa di buono nel ciclismo italiano sta crescendo.
Per attestarlo una breve analisi dei risultati nella classifica finale, limitando l’osservazione fino al cinquantesimo posto, che mi pare basti. Caro lettore, comprenderai bene più avanti la ragione di questa scelta.
Ebbene: troviamo Damiano Caruso, di sicilianità mite e furente, al 4° posto, dopo tre grandi come Roglic, Thomas e Almeida. Seguono: il promettente Filippo Zana attorno alla ventesima posizione, a circa mezz’ora da Roglic, l’agile Lorenzo Fortunato, più o meno come Zana; a un’ora circa si registra Ulissi, che nella sua carriera ha vinto decine di corse di un giorno; dopo di lui il laborioso Davide Formolo, fedel gregario – quasi di lusso – di Pogacar e – in questo giro – del nobile hidalgo portugueiso Joao Almeida, che pronostico prossimo vincitore di grandi giri, a un’ora e dieci; Zambanini e Tonelli dieci minuti in più, entro il quarantesimo posto di classifica; Oldani e Rota a poco meno di due ore…, ma qui viene il bello: in 48a posizione rilevasi Bettiol, a due ore e dieci, uno dei ciclisti partecipanti più citati dai cronisti – incomprensibilmente – quasi ogni dì che il Giro ci ha donato. E a volte anche polemico contro non si sa chi. Il sospetto è che la rendita di posizione (in carriera vinse un bel giro delle Fiandre e una tappa al Giro, e poco altro), per qualche misteriosa ragione, sussista perfino nel ciclismo professionistico.
Per me si è trattato dell’unica nota stonata di tutto il Giro raccontato, peraltro a volte con qualche imprecisione da parte dei cronisti e un eccesso di dolciastro lirismo da parte dello scrittore Genovesi, uno dei due o tre scrittori con lo stesso cognome, di questi anni in auge.
Ma non facciamoci sangue inacidito! Che meraviglia l’ultima tappa a Roma! Roglic, prima di ieri, non era mai stato nell’Urbe eterna, e ieri la ha vista come un Console o un Imperatore romano di ritorno da una grande campagna militare, in trionfo.
Il luogo è lo stesso, l’aria di primavera e il continuo intervallarsi di memorie dell’antico e di verde, idem est, e anche il grido continuo dell’esultazione popolare per la grande impresa, il riconoscimento della fatica, del sudore, del dolore e della gloria.
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