Un po’ di filosofia politica e morale. Cenni e giudizi vari per una nuova prospettiva di pensiero politico
Una delle maggiori povertà che riscontro nell’attuale personale politico è la carenza di qualità culturali in ambito di filosofia politica e morale, specialmente se confrontata con quella in possesso dei politici degli anni tra il 1960 e il 1990. Figure come Moro, Berlinguer, Craxi, La Malfa, Andreotti, Forlani, Saragat, Nenni…, ma anche quelli a cavallo dei 2000 come D’Alema e Veltroni e perfin Casini, sono incomparabili con gli attuali Salvini, Berlusconi, Schlein, Conte, Di Maio et c., perché, nonostante immancabili difetti, quelli erano molto migliori.
In qualche modo sconvolge il giudizio quasi equanime che su questa classe politica danno esplicitamente figure e persone che appartengono al mondo intellettuale, imprenditoriale e nel contempo giudizi analoghi, anche se diversamente motivati, ex militanti di sinistra, perfino quelli reduci dalla lotta armata degli anni ’70-’90. Ne posso parlare con cognizione di causa.
Un personale politico mediocre, insufficiente, a volte inetto e perfino inutile. I nomi li ho fatti molte volte, di persone che appartengono a tutti gli schieramenti politici, dalla destra alla sinistra passando per il centro.
Quello che conta è approfondire il tema del titolo, poiché a volte, parlando con militanti dei vari schieramenti noto una difficoltà insormontabile nel superare l’appartenenza propria per un giudizio spassionato e obiettivo di valore su questa o quella figura politica. In altre parole, i più che interpello non smettono mai di “militare”, e ogni osservazione critica o negativa nei confronti di qualcuno che appartiene allo schieramento di cui fa parte il mio interlocutore è impossibile, pena l’accusa nei miei confronti di voler danneggiare la parte criticata, che magari è anche la mia, obiettivamente, a parere di queste persone, aiutando l’avversario. In questi casi non noto tanto l’esplicitarsi di una ideologia, quanto di una sorta di ideologismo (che è una de-formazione dell’ideologia) insuperabile e ottundente un pensiero obiettivo, argomentato e razionale.
In altre parole, per costoro “hanno sempre ragione i miei e torto gli altri“, anche se qualche volta il torto è patentemente, evidentemente (non si dimentichi che le Verità delle cose si conosce in due modi con certezza: o a) per comunicazione di notizia da parte di una persona affidabile, ad e. io non sono mai stato in Australia ma credo che esista, non solo dal diario del capitano James Cook, ma anche dagli studi dei geografi, dalle lettere degli emigranti alcuni dei quali conosco, etc.); o b) per evidenza, come nei casi che cito, attestati da documenti inoppugnabili, ad e. come quelli che riguardano i campi di sterminio nazisti, oppure affermazioni “evidentemente” false, come quelle spesso propalate da noti politici attuali, ad e., da parte di Conte quando afferma che i suoi governi non hanno deciso di aumentare la spesa militare dell’Italia, il che è falso; vi è un terzo modo di conoscere la verità, che è però più un ricercare per successive approssimazioni, o – galileianamente e popperianamente – “per prove ed errori”, come nel caso della fisica teorica e delle meccaniche contemporanee, o delle ricerche medico-biologiche, perché le scienze sperimentali sono, di per loro stesse, sempre “lavori in corso”.
Tra l’altro, il target del mio blog non è quello della popolazione che segue le barbaradurso o le maravenier; piuttosto segue criticamente i/le fazio&littizzetto&saviano&murgia, ed è proprio per questa ragione che potrebbe essere utile a una parte di codesti spettatori la cui critica al quartetto indicato langue in una triste latenza.
Una posizione intellettuale, quella dei militanti-a-prescindere, che faccio molta fatica a comprendere e che non condivido. Si tratta probabilmente di un pregiudizio che nasce da carenze conoscitive, proprio di carattere filosofico-politico e morale.
Forse a questo punto, per aiutare un giudizio più equanime occorre un ripasso, dall’antica filosofia e dal pensiero politico greci, che si mossero grosso modo lungo due linee di pensiero, quella idealistica platonico-plotinian-agostiniana e quelle realista aristotelico-tommasiana.
Senza approfondire troppo, posso dire che la prima linea di pensiero arrivò fino a noi attraverso il neo-platonismo rinascimentale di un Marsilio Ficino, di un Giordano Bruno e di un Tommaso Campanella, etc., e poi irrorò di sé la teoretica Cartesiana che pose il soggetto-uomo al centro della rivoluzione filosofica del ‘600. Di lì poi si dipartì un percorso che, per il tramite di Kant e dei grandi dell’Idealismo tedesco, Fichte, Schelling e Hegel giunse al ‘900 e ai nostri tempi attraversando duecent’anni di storia, con le fasi del romanticismo schopenhauriano e poi nietscheano, l’ermeneutica diltheyana fino a Gadamer e Ricoeur, la fenomenologia husserliana, l’esistenzialismo sartriano e heideggeriano, e l’analitica continentale di Vienna, di un Russell e la linguistica wittgensteiniana. Sembra il tutto e il totalmente del pensiero filosofico, perché, a un osservatore superficiale pare che il realismo aristotelico tomista si sia spento dopo Tommaso d’Aquino, o tuttalpiù con la cosiddetta Seconda scolastica del diciassettesimo secolo di un Suarez. Non è andata così.
Certamente il platonismo idealista è stato la dottrina che ha segnato maggiormente la filosofia occidentale, ma senza dubbio l’aristotelismo, cioè il realismo filosofico è stato più importante sul versante epistemologico di un dialogo con le scienze naturali, addirittura condizionandole financo in macroscopici errori (facile il giudizio ex post, vero?), almeno fino alla rivoluzione copernicana che scoperse l’eliocentrismo come dottrina cosmologica veritativa. Per la verità, debbo qui richiamare che l’dea eliocentrica già si era proposta nei tempi precristiani con Eratostene, che però era stato “sconfitto” nel dibattito scientifico e nella credenza popolare dallo Stagirita.
Più recentemente nei secoli successivi, anche se tale informazione non è molto conosciuta, almeno duecent’anni prima di Nikolaus Copernicus, fra’ Roberto Grossatesta (Robert Bighead) da Oxford, francescano, aveva ipotizzato una cosmologia eliocentrica. Johannes Keplerus e Galileo completarono l’opera con una impostazione metodologica nuova della ricerca scientifica, quella induttivo-deduttiva per prove ed errori, che aveva sbancato l’aristotelismo dalle maggiori università d’Europa, a Padova, a Pisa, a Bologna, a Salamanca con l’aiuto degli studiosi arabo-musulmani e alla Sorbonne, oltre che nella Universitas Studiorum Oxoniensis, Oxford.
Dopo questa sintetica nota, il punto dirimente della mia tesi, secondo la quale vanno cercate nella prospettiva di almeno quattro o cinque secoli la fonte, il fomite, l’origine dei guasti dell’individualismo odierno, è la seguente: quando si è pensato che si dovesse (ri)mettere al centro l’uomo che osserva la natura, come se l’uomo stesso non ne facesse parte, e nel contempo ne fosse causa e ragione generativa, si è perso di vista la possibilità che il mondo esista anche a prescindere dall’uomo stesso (osservante-la-natura).
In altre parole, la proposizione nominale Cartesiana, o entimema, di pretta derivazione agostiniana “cogito(-vel dubito), ergo sum” è diventata la conditio sine qua non dell’esistenza stessa del mondo. Non intendo certamente affermare che Renè Descartes non ammettesse l’esistenza del mondo a prescindere dalla sua propria consapevolezza di tale esistenza oggettiva, ma la conseguenza logica più generale è quella sopra indicata.
La “scoperta” della centralità dell’io pensante poi, con l’idealismo ha assunto una irresistibile forza e una primazia inoppugnabile nell’ambito delle ricerche filosofica e scientifica. E così le cose sono andate avanti fino alla metà del XX secolo, discrimine che, a mio avviso, con il contemporaneo vorticoso sviluppo della comunicazione, delle innovazioni informatiche e telematiche, con la progressiva pervasività del web e di internet, indica un po’ l’inizio, da un lato della devastazione informativa e dall’altro del sempre più irresistibile porsi di un soggettivismo privo di critica e di freni. Un io-io-io-io-io etc., più che libertario, ossessivo e incontenibile. Solo “io” e l’inizio dell’eclissi del “noi”, una cum un profluvio di “dirittismo” (cf. mio pezzo in tema di qualche mese fa qui pubblicato) senza doveri (sideralmente distante il grande Mazzini, e dimenticato).
Un io che ha devastato anche la solidarietà, insieme focus ideale e morale, sia del cristiano sia del socialista.
E la sinistra, invece di riprendere un discorso, non solo storico, ma di fondamento storico-politico e morale, si è messa in fila nei gay pride, nel sostegno all’utero in affitto, nel migrazionismo senza gestione, dandosi leadership di valore scarso, se non addirittura incapaci e alla fin fine perfin pericolose. Di cui ho scritto in questa sede ad abundantiam.
Hanno un bel dire amici “di sinistra” (tali li penso), che se si critica la sinistra si dà fiato alla destra pericolosa e neo fascista.
Sarebbe meglio, secondo costoro, dunque, tacere su questa deriva mortale di un’assenza di filosofia e di politica, di etica fondata sulla chiarezza e sull’equilibrio tra diritti e doveri “altrimenti si alimenta e si rinforza la destra“. Semplificazione dialettica e logica inaccettabile. E anche un po’ priva di fiducia nell’intelligenza delle persone.
In tema scrive il mio amico professor Giorgio Giacometti mio successore alla Presidenza di Phronesis, l’Associazione Italiana per la Consulenza Filosofica: “(…) la deriva individualistica deriva dalla modernità. Se consideriamo la visione del mondo in cui i diritti sono anteposti ai doveri, gli interessi ai compiti, facciamo riferimento all’orizzonte del giusnaturalismo moderno che sfocia nella Rivoluzione Francese. Vi si afferma anche uno storicismo romantico che nega gli “a priori” naturali. Se riteniamo che il bene comune e anche il bene di ciascuno, così come le virtù, si radichino nella natura piuttosto che soltanto nella cultura, e che ciascuno di noi debba considerarsi anche parte di qualcosa che lo trascende, sia in campo sociale sia sotto il profilo “ecosistemico” o spirituale, come io penso, dovremmo sviluppare un’autocritica dell’Illuminismo, come quella inaugurata a suo tempo anche dalla Scuola di Francoforte (ndr Habermas, Adorno, Marcuse, etc.). Tuttavia, è proprio su questo terreno che ci si può considerare più di destra di quello che amiamo credere, riferendoci naturalmente (non alla destra fascista o fascisteggiante, ndr) alla nobile destra della tradizione conservatrice (…) Io penso che più o meno implicitamente in una certa nostra critica nei confronti dell’esasperazione nella ricerca di presunti diritti civili in campo gender e altrove, vi sia una legittima perplessità nei confronti di quella che sembra una caricatura della tradizione libertaria di matrice illuministica.”
Ebbene, caro Giorgio, se rifiutare le scorciatoie “dirittistiche” sicut supra significa definirsi anche un-po’-di-destra, definiamoci pure tali, restando nel profondo, negli atti e nei detti, di una sinistra gradualista e moderata che nulla, proprio nulla, ha a che vedere con le leadership attuali della sinistra italiana del PD e dei 5S! E inoltre, penso che nulla ci leghi alla visione del diritto di… come quello di avere un figlio a tutti costi, trattandosi invece di una dimensione natural-esistenziale collocabile piuttosto nella direttrice morale del dono. Non diritto di avere un figlio purchessia e in qualsiasi modo, ma dono di un figlio lungo la linea naturale della procreazione, pur con tutti i contributi tecno-scientifici a disposizione, che però non violino la naturale via dell’incontro tra i gameti femminile e maschile.
Mi sentirei di dire legittimo fino all’ausilio della procreazione assistita omologa, cioè nella coppia affettivamente legata. Se non essere per l’eterologa, per l’adozione da parte di coppie omosessuali e per la gravidanza per altri significa “essere-di-destra”, ma fermamente non lo credo, ebbene: sono, siamo un po’ di destra!
Richiamo a questo punto i nobili nomi della sinistra cui mi riferisco, Giacomo Matteotti, Filippo Turati, Carlo Rosselli, Anna Kuliscioff, Olaf Palme, Willy Brandt, Istzak Rabin, etc., e alla quale penso ci riferiamo tutti e due, o tre (con il carissimo amico e compagno Claudio, docente di filosofia ed ex mio compagno di classe al nobile ginnasio liceo Stellini di Udine, già militante del Manifesto e del Pdup, e ora vicinissimo alle mie posizioni socialiste democratiche), ed altri/e come mia moglie Daniela, cristiana e radical-socialista fin da ragazzina. E qui cito come socialisti anche due altri cari amici miei storici, uno proveniente da Lotta Continua, Gigi, e l’altro dal Partito Comunista, Mario. E infine la cara amica Donna Marina da Bologna, moglie di un socialista cristiano cui hanno tolto la vita i presuntuosi criminali delle Brigate Rosse. E l’amica filosofa Donna Marta da Firenze e Donna Chiara da Vittorio Veneto, valorosa indagatrice del vero intorno a pandemie e gruppi di potere, occulti e meno, da svelare con i documenti e la riflessione filosofica.
Del su citato amico Claudio mi è caro citare – con il suo consenso – qualche considerazione: “(…) Noi occidentali siamo l’esito di tre millenni di religione, filosofia, scienza (che non costituiscono una triade hegeliana), ciò influenza e/ o determina il nostro modo di rapportarci al mondo esterno. E’ la volontà di potenza che interpreta: interpreto questo aforisma nietscheano come la forza, la potenza delle interpretazioni, pur nella loro diversità, che si sono affermate nella nostra cultura, e che si sono dimostrate più produttive rispetto ad altre visioni e/o interpretazioni. Ad e.: il nostro sapere razionale ha emarginato il pensiero selvaggio perché più funzionale alle esigenza della vita. (…) Della filosofia ermeneutica di Gadamer andrebbero riprese due nozioni: il valore positivo dei pre-giudizi, che almeno inizialmente dirigono la nostra conoscenza e la Wirkunsgeschichte (storia degli effetti, ndr: del testo). Una data interpretazione influenza anche le successive”.
La riflessione di Claudio integra obiettivamente quella di Giorgio, citando brevemente altri aspetti delle dottrine filosofiche contemporanee.
Forse, per avviarmi a concludere, può anche a questo punto essere utile qualche cenno di filosofia metafisica, proprio perché questa disciplina permette di irrobustire la logica argomentativa concettuale con ulteriori strumenti dialettici, a partire dal concetto di ente, come di un qualcosa (soggetto-oggetto) che-è-in-qualunque-modo.
Bene: la sinistra è un ente di ragione per quanto attiene l’ideologia, ed un ente concreto per quanto attiene, sia un suo singolo aderente, sia l’insieme di aderenti e militanti.
La sua sostanza di ente lo costituisce in inseità: nel caso si intendono i valori della sinistra gradualista, la solidarietà, la giustizia, la giustizia nella libertà. Quest’ultimo valore non appartiene alla sinistra comunista, che ammette e ricerca la giustizia anche senza libertà. Ecco dunque che si può dire, da questo punto di vista, che la sinistra non gradualista non smette di essere-sinistra, ma lo è in modo altro, che si definisce inalietà. Le Brigate Rosse et similia sono state sinistra-in-alio. Eccoci, non può darsi una sinistra purchessia!
Continuiamo: la sinistra ha un suo essere in comune, che è la ricerca di una distribuzione più equa dei beni nel mondo e tra le popolazioni, ma possiede essenze differenti, che si distinguono come sopra: si dà, dunque, l’essenza della sinistra gradualista, che ricerca il cambiamento per la via delle riforme e della pazienza parlamentare, e l’essenza della sinistra rivoluzionaria, che ricerca il cambiamento con la violenza. A questo punto si inserisce il concetto che mirabilmente spiegò Rossana Rossanda negli anni ’80/ ’90 con la tesi del cosiddetto Album di famiglia, dove spiegò che la linea rivoluzionaria era una sola, dalle modalità del comunismo sovietico-cinese-cambogiano, cioè dal marx-leninismo-stalinismo al terrorismo, che pure era (in generale, ma non in particolare) abiurato da Marx e da Lenin.
Anche la sinistra radical chic americaneggiante è caratterizzata da inalietà, non perché ripudi la libertà, ma perché la concepisce senza limiti, oltre la licenza, declinata talvolta in licenziosità, e anche oltre il buon gusto; si occupa di diritti civili fino alla deformazione che sfocia nel dirittismo (cf. un precedente post) mentre trascura quelli sociali. Esempio estremo di tale linea è il libertinismo neo-illuministico di certe trasmissioni radiofoniche come La Zanzara di Radio 24, per me incredibilmente edite da Confindustria nazionale, che coltivano la trasgressione etica e comportamentale fino all’osceno.
Inoltre, la sinistra radical chic americaneggiante possiede un essere in comune della sinistra, ma un’essenza assai differente da quella gradualista e anche da quella rivoluzionaria. Ai radical chic interessano più i ceti intellettuali abbienti, evoluti, liberali fino al libertinismo, facendo finta di stare-con-il-popolo, e dunque è naturale che scelgano, come medium, riviste à la Vogue. Nessuno scandalo, dunque, ma questa “sinistra” è una cosa diversa da quella dei lavoratori del braccio e della mente storici e contemporanei. Tant’è che questa sinistra non ha memoria e nemmeno storia.
Le “tre sinistre” possiedono dunque elementi di analogia di partecipazione al comune intendimento dichiarato di riconoscere la condivisa umanità di tutti gli uomini (esseri umani) del mondo, riconoscendosi nelle Dichiarazioni universali dei Diritti dell’uomo e nelle Costituzioni liberal democratico-parlamentari, ma anche distinzioni radicali nell’esplicitazione dei valori da perseguire nella lotta politica, come abbiamo visto sceverando le varie essenze.
Un’osservazione mi viene suggerita da una persona che ha vissuto le contraddizioni della politica in tutte le sue dimensioni nei decenni scorsi: quando si analizzano pensiero e prassi politiche, occorre anche contestualizzarli. Sembra un’osservazione banale, ma non lo è: si pensi anche solo alla storia recente del nostro Paese. Si può tranquillamente ammettere che quanto accaduto in termini di politica armata e di di stragismo che ha caratterizzato la nostra storia dalla fine degli anni ’60 (Piazza Fontana) e i primi anni Duemila (ultimi omicidi delle BR) è proprio collocabile in questi contesti temporali, economici e socio-politici, non prima e non dopo. Non è storiografia facilmente ipotizzata ex post, ma solo la constatazione che perché accadano certi fatti vi devono essere le condizioni di contesto affinché, purtroppo in questo caso, accadano. Baruch Spinoza, in questa prospettiva, avrebbe ragioni da vendere.
Da ultimo pongo la tematica etica, o della distinzione scientifica tra il concetto di bene e il concetto di male, secondo la seguente definizione: l’etica è la scienza della distinzione tra azioni e detti mali e buoni, secondo un criterio di rispetto assoluto della vita umana e della natura di cui questa vita è parte integrante.
In questo campo le tre sinistre hanno opinioni e indirizzi teoretico-morali assai differenti: se la sinistra gradualista intende come massimo bene quello comune, e declina il suo agire nel e con il noi; la sinistra massimalista o rivoluzionaria accentua ulteriormente il noi, quasi sprezzando l’io; i radical chic, infine, privilegiano l’io fino all’esasperazione, volgarizzando l’estremo empito dell’idealismo che viene dal “seicento cartesiano” e, dopo essere transitato per tutto l’Ottocento e Novecento, si è sdilinquito, con questa sinistra, in un anodino culto del sé estetistico fino alla morbosità dei sopra citati esiti mediatici, in ultima analisi molto simile alla destra dei privilegi di classe, contro la quale una sinistra sana deve combattere.
Per tutto ciò ritengo che sia utile un recupero di due cose: un’etica del dovere di stampo kantiano e mazziniano e un realismo in grado di collocare l’individuo-persona dentro-il-mondo come parte-del-mondo, e non come padrone del mondo, intriso di un bolso e sfinito decadentismo.
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