Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Una visione “mozzafiato”, un paesaggio “da urlo”, una costiera “da favola”, oppure, di contro, una “bufera” su tizio e caio, e “apocalisse” su Milano, e altre strepitose stronzate come la chiusura dei bouquinistes parisiennes per le Olimpiadi del 2024. I media offrono questo, una miseria

Peccato! I buquinistes sul Lungosenna pare non ci saranno per le Olimpiadi di Parigi del 2024. Non si capisce il perché. Chiediamolo a Macron, ché forse lui ce lo sa spiegare. Una delle stronzate di cui qui parlo e con cui concluderò il pezzo.

Nel titolo ho messo un po’ di frasi fatte tra le più idiote e trite del paesaggio mediatico, della pubblicità e del marketing. Provo a commentarle, visto che spesso si trovano nei baedeker e negli instant book pubblicizzanti “favolose vacanze” (ecco!). Sembra che i copywriter difettino spesso di fantasia. Consiglierei loro fin da subito di compulsare costantemente il dizionario dei sinonimi e dei contrari, almeno per non usare sempre le stesse stucchevoli espressioni lemmatiche e, ai più volenterosi, la lettura del Viaggio in Italia di J. W. Goethe, una lettura che può illuminare le menti e consolare i cuori.

“UNA VISIONE MOZZAFIATO”

Ebbene, partiamo da un’analisi letteraria. Avere una visione significa molte cose: innanzitutto ha a che fare con la religiosità e con la teologia spirituale, perché nella storia, anche restando al solo ambito cattolico, si registrano molte visioni, che la Chiesa non si è mai affrettata a riconoscere come canonicamente valide, anzi, perché le esamina tutte, da quelle più clamorose a quelle più discoste, con acribiosa cura, tendendo a non avvalorarle. Restano comunque riconosciute dalla Chiesa diverse visioni, soprattutto mariane, come quelle di Lourdes (1858) e di Fatima (1917), mentre, ad esempio, la pur gettonatissima Mediugorje (1981 e ss.) non compare tra le visioni riconosciute ufficialmente, rimanendo appena tollerata. Papa Ratzinger, in particolare, con la sua indiscussa competenza teologica, non agì a favore.

Un altro modello di utilizzo del termine visione è, in inglese, vision, che ormai molte aziende stanno usando in sintagma con mission, per cercare di sintetizzare, sia la direzione verso la quale cercano di indirizzarsi produttivamente e commercialmente, sia le operazioni da fare per conseguire quegli obiettivi (o scopi o fini, se si vuole sottilizzare utilizzando il linguaggio delle burocrazie della qualità aziendale, oramai invalse).

Ora, è chiaro che “visione” in senso pubblicitario è un’evidente metafora, è modo-di-dire. Si tratta di chiedersi, però, se questo utilizzo abusante non stia diminuendone l’efficacia. Il famoso troppo… e ciò che segue. La seconda domanda concerne il pubblico, o target, come si usa dire. A che pubblico potenzialmente fruitore si rivolge chi scrive di visioni mozzafiato? Anche l’aggettivo mozzafiato è una metafora, perché simboleggia un qualcosa di talmente strabiliante e meraviglioso (dal latino mirum, ammirabile, miracoloso) che fa trattenere il fiato, mozzandolo. Ma lo mozza veramente?

Si può pensare a Stendahl (al secolo Marie-Henri Beyle), quando vide Firenze.

In psichiatria la sindrome di Stendhal è un disturbo psico-somatico che si manifesta con una sensazione di malessere diffuso associato ad una sintomatologia psichica e fisica, di fronte ad opere d’arte o architettoniche di notevole bellezza, specialmente se si trovano in spazi limitati.

La prima testimonianza di manifestazioni di malessere di fronte ad un’opera d’arte ci viene riportata dallo scrittore francese, che nel 1817 lo raccontò nel suo libro “Roma, Napoli e Firenze”.

Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e dai sentimenti appassionati.” E continua: “Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.”

Durante la sua visita nella Basilica di Santa Croce a Firenze lo scrittore avvertì un disagio e un malessere tali da spingerlo a descrivere gli effetti sperimentati in prima persona. Solo molti anni dopo il disturbo venne analizzato e classificato per la prima volta dalla psichiatra Graziella Magherini.

Ora, come la mettiamo con visione mozzafiato? Vedere un sia pur bellissimo angolo d’Italia può fare lo stesso effetto del vedere nell’ombra dell’Accademia fiorentina ergersi la statua del David michelangiolesco o il bronzeo Perseo di Benvenuto Cellini, che si staglia sotto la Loggia dei Lanzi assieme al Ratto delle Sabine del Giambologna? Non lo so… forse io non spenderei l’aggettivo “mozzafiato”, anche perché usato ed abusato. Reitero un consiglio pratico: si usi il Dizionario dei sinonimi e dei contrari, perché repetita iuvant!

“UN PAESAGGIO DA URLO”

L’espressione è analogamente trita e vecchiotta rispetto alla precedente, anche se i due termini sono diversi: visione vs paesaggio, mozzafiato vs urlo. Si potrebbe fare un paragone semantico, ma resto sul descrittivo.

Paesaggio è termine molto utilizzato nelle narrativa quotidiana in molti ambiti. Il “da urlo” è un po’ il contraltare di “mozzafiato”, perché nel primo caso c’è emissione di voce con forza, e il secondo è la sua censura. Con lo stesso effetto dirompente, per modo di dire, poiché il silenzio assoluto (del mozzafiato) può essere paragonato all’urlo, in quanto ambedue gli stati espressivi e della comunicazione sono estremi, e quindi inefficaci.

“UNA COSTIERA DA SOGNO”

Qui il mozzafiato e l’urlo diventano sogno. Metafora anzichenò. Il sogno è presente nella narrativa occidentale fin dai testi classici greco-latini (Omero, Ovidio, etc.) e dalla Bibbia (Giacobbe, Giuseppe di Nazaret, etc.), e nei testi della psicologia contemporanea (Freud & Jung). Il sogno è nelle attività cerebrali di ogni essere umano (e certamente di ogni mammifero e forse anche di altri viventi). Addirittura è un’attività elettrochimica essenziale, necessaria per la salute psico-fisica. Dire che una costiera “è da sogno” (quella Amalfitana, si può immaginare, ma potrebbe essere anche quella Cilentina o quella Triestina, diversamente belle) è dire una banalità sesquipedale. Esistono decine di modi per descriverne il frastagliato dipanarsi lungo il Tirreno profondo, e verso monti aspri che superano i mille metri, come si osserva sopra Positano e Praiano, e la stessa Amalfi. Sogno di asprezze e di vita da contadini capaci di lavorare su pendii al 50%, non solo alberghi di lusso frequentati da quelli che i media chiamano v.i.p., esclusivi (ricordo che un hotel di Praiano vantava di ospitare spesso Maurizio Costanzo, un v.i.p., appunto), per persone “importanti”, ma de che? per che cosa? Costiera da sogno, sì, se non la guardi con gli occhi giusti, gli occhi capaci di vedere ciò che si guarda. Ravello invece non è “da sogno”, ma di più, è reale.

“BUFERA”

Già di questo termine abusatissimo ho scritto decine di volte, criticandone l’uso metaforico, e confermo, esagerato e per ciò stesso noioso. Da decenni giornalisti di tutti i generi e specie, della stampa e della tv, e ora del web in tutte le sue versioni (influencer e social manager e altri mestieri contigui… aaah ci sono anche le fashion blogger e le armocromiste, mi spia di sottecchi mia figlia) hanno eletto “bufera” a termine principe per significare qualcosa di brutto che càpita a una persona, specialmente se nota. Qualsiasi cosa di negativo è nomata “bufera”, ignorando che il termine, oltre ad essere sinonimo di tempesta, forte temporale et similia, è stato anche usato dal grande Eugenio Montale per una sua raccolta di poesie “La bufera e altro”, con… altri (appunto!) e più profondi significati. L’uso e l’abuso di questo lemma è pertanto anche un insulto ignorante a Montale.

“APOCALISSE”

Forse dell’abuso di “apocalisse” ho scritto (assai furente) anche più volte di quante abbia scritto per “bufera”. E vi è una ragion logica e sufficiente: non solo “apocalisse” nulla ha a che vedere con il significato intenzionale degli abusanti, ma possiede un campo e una carica semantica di grande senso e profondità, soprattutto per il suo utilizzo da parte dell’evangelista Giovanni che ne scrisse una, quella fondamentale, anche se storicamente non è la prima ad essere stata collocata nella raccolta biblica, essendo cronologicamente l’ultimo “libro” del canone ebraico-cristiano del Libro dei libri (la Bibbia). Anche nel libro di Ezechiele si intravede un’apocalisse, e perfino nei Vangeli secondo Matteo e secondo Luca se ne fa cenni, perché “apocalisse” significa “rivelazione” o disvelamento dei misteri più profondi e potenti della salvezza delle anime.

Apocalisse infatti viene dal greco “ἀποκάλυψις” (apokalupsis) e significa “gettar via ciò che copre”, “alzare un velo”, “rivelare”. L’Apocalisse quindi è “Uno scritto contenente rivelazioni relative ai destini ultimi dell’umanità e del mondo” (Enciclopedia Treccani). Il termine “profezia” deriva invece dal greco “προϕητεία” e significa “Predizione di eventi futuri, derivante da ispirazione divina” (Enciclopedia Treccani).

I BOUQUINISTES

Il discorso dei bouquinistes… per le Olimpiadi di Parigi che si terranno nel 2024, pare che la decisione, non so se della Municipalità o dello stesso Governo macroniano, sembra che i duecentoquaranta (240!) chioschi che vendono libri e pubblicazioni varie lungo la Senna dovranno abbassare le saracinesche. Non ne comprendo la ragione. Disturbano il regolare svolgimento delle gare? Sono sgradevoli? Offendono la dignità del paesaggio parigino? Non sono all’altezza di Notre Dame che per l’evento forse sarà stata restaurata? Nulla di tutto ciò, a mio avviso, che in quei chioschi ho sempre comprato qualcosa, le cinque o sei volte che son stato a Paris, ad esempio una stampa de Les Nymphéas di Monet (quelle del Musée Marmottan), un metro e venti per ottanta centimetri. Bellissima.

Io credo che vi sia un aumento esponenziale di stupidità umana. Ho già scritto recentemente di woke, cancel culture e politically correct e non mi ricito, né mi ripeto.

Specificando, non intendo dare dello stupido ai copywriter che non riescono a scrivere un testo pubblicitario scevro dalle ovvietà di cui sopra. Piuttosto posso parlare di pigrizia nella sua declinazione peggiore, che propongo (usando un neologismo testé inventato) di definire pigrèria, cioè una pigrizia al cubo, che fa rima con miseria.

E ignoranza di ritorno e, purtroppo, anche di andata. Di andata e ritorno.

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