Ivan Provedel, calciatore, di ruolo portiere, ragazzo friulano
Ivan Provedel (con l’accento sull’ultima “e”, cognome tronco friulo-veneto), portiere della Lazio F.C., “attenzionato” (horribile dictu scriptuque, ma qui, caro lettore, lasciamelo scrivere!) da Luciano Spalletti per la Nazionale di calcio italiana, è uno dei tre o quattro migliori portieri d’Italia (con Donnarumma, Vicario e Meret, altro mio conterraneo, addirittura mio compaesano, di Rivignano, frazione Flambruzzo).
Ivan segna al 95° della partita Lazio – Atletico Madrid la rete del pareggio buttandosi (apparentemente) alla disperata nell’area avversaria, dove si fa largo con il fisico di un metro e novanta e peso in proporzione, con abilità da ex centravanti, salta e segna al suo collega Oblak, e la Lazio, che aveva attaccato tutta la partita, pareggia, perché lo merita… e anche perché il calcio è strano, e in parte irrazionale.
Provedel, a differenza (forse) dei suoi dieci compagni di campo, non si è rassegnato, neanche a cinque minuti oltre il tempo regolamentare. Ci ha creduto e ha vinto la sua partita-con-il-destino. Il vettore causale della sua “fede” (come fiducia) ce l’ha fatta contro la rassegnazione alla sconfitta.
Nella mia “vita precedente” ho conosciuto suo padre, Venanzio, imprenditore del mobilio. Era un uomo deciso e duro. Una volta gli chiesi di assumere un giovane disoccupato e lui mi chiese se “era buono per lui o per me“. Gli risposi che era un bravo ragazzo e che sarebbe senz’altro stato “buono per l’Azienda” e forse anche per me, che allora rappresentavo un sindacato. Lo assunse e non se ne pentì. E nemmeno io.
Ivan ha tutto del ragazzone friulo-veneto (e russo, per parte di madre, i cui genitori a Mosca abitavano vicino a Lev Jascin, forse il più grande portiere di ogni tempo, caro Buffon jr.!), il fisico, l’essenzialità, la fiducia nei propri mezzi.
Non si è rassegnato al destino che pareva (saragattianamente) “cinico-e-baro”, un destino di sconfitta. Ivan ha pensato, anzi non ha pensato, ha intuito, ha “sentito” che si poteva (lui poteva) ancora fare qualcosa. E si è gettato in avanti nell’area avversaria, che sta a cento metri dalla sua. Sarebbe bello vedere la sua corsa attraverso tutto il campo e contro/ verso il destino, che lui, solo lui, ha deciso di ribaltare.
Ivan ha creduto. Ivan “sapeva” che il destino (o karma che dire si voglia) si può co-costruire, nel senso che le nostre azioni possono cambiare le circostanze date. Nel caso, le circostanze erano queste, e tutte negative:
1) si era al quinto minuto oltre il tempo regolamentare (95°!),
2) i compagni di squadra erano stanchi e certamente oramai abbastanza (o molto) demotivati,
3) sussisteva il concreto rischio che se la palla, nei rimpalli da flipper che in questi casi accadono in area, fosse capitata a un avversario, questi, con due passi verso la sua porta e un tiro forte e ben calibrato, avrebbe potuto far subire alla Lazio il secondo goal, generando una beffa infinita e zero punti.
Ivan ci ha creduto. A un destino che poteva essere cambiato da un suo atto volontario, apparentemente irrazionale. E il destino è cambiato, perché il destino (quella cosa che il filosofo Emanuele Severino ritiene immodificabile, ma solo pro futuro, ed ha ragione, perché ciò-che-accade non-può, ex post, non-essere-accaduto, neanche per volontà divina, alla faccia di Tertulliano!) può cambiare.
Mi piacerebbe che i “generazione Z” e anche i millennials e, perché no, perfino i boomers, prendessero lezione da Ivan Provedel!
Ne so qualcosa, quando sei anni fa un tumore subdolo e cattivo mi prese, e io reagii contro la tradizione maligna, e sono ancora qua a parlarne.
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2 Comments
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Fascinosa chiave di lettura. L’azione coraggiosa, il destino che si direbbe già scritto e invece…
“Ma via -uno potrebbe obiettare – si è trattato solo di un gran colpo di c…”.
Ecco, chiunque può pensarla come vuole. Per conto mio, le chiavi di lettura che danno un senso alto agli eventi, magari non coincidono con la verità fattuale ma ne hanno praticamente lo stesso valore.
Grazie Luigi, anche del tuo giudicare “fascinosa” la mia lettura dell’agire di Provedel. Vero è che ognuno può dire ciò che vuole, mi auguro, però, che uno, prima di proferir verbo, accenda i circuiti neurali, fatto che talora capita quasi involontariamente, ovvero, se volontariamente, il dicente/ pensante parla molto spesso di cose che non conosce, contro ogni saggezza socratica. A sabato, Luigi!