L’orgoglio spirituale, vizio capitale supremo studiato dagli antichi sapienti Greci, Latini e dai Padri della Chiesa, nutre la superbia, che a sua volta alimenta l’arroganza e la prepotenza fino alla protervia (cf. Bobbio): vizi che emergono là dove manca – innanzitutto – l’empatia, e poi la solidarietà tra simili e infine il senso o la consapevolezza personali dell’imperfezione e del limite, che ci riguarda tutti, nessuno escluso
E’ bene riflettere su questi temi e vizi che, pure essendo stati sempre presenti nella storia e nelle varie società umane, in ragione della stessa conformazione psicologica e morale dell’uomo, stanno emergendo con sempre maggiore evidenza nelle società attuali, in Italia e nel mondo, sia pure con modalità e stili differenti, ma si tratta sempre delle stesse forme di malvagità. Tra la gente, nelle varie generazioni ed età, dai boomers alla generazione Z, passando per i millennial.
(Martha Nussbaum)
Proviamo ad esaminarli tutti, uno per uno, a partire dall’orgoglio spirituale, soffermandoci poi sulla superbia, e infine sull’arroganza e sulla prepotenza fino alla protervia.
Suggerisco questi autori, oltre alla lettura delle Etiche aristoteliche, democritee, stoiche, scettico-ciniche (di un Zenone di Cizio, ad e.) ed epicuree, per approfondire: Giovanni Climaco, Evagrio Pontico Giovanni Cassiano, che a volte aggiungono all’elenco anche la vanagloria, papa Gregorio Magno e Tommaso d’Aquino (Summa Theologiae, IIa IIae). Consiglio, infine, di dare uno sguardo almeno alla sintesi della Critica della Ragione pratica di Immanuel Kant e, se si vuole, a ciò che in tema etico ha scritto qualche decennio fa una Martha Nussbaum (ad e. The Fragility of Goodness, 1986) o una Elisabeth Anscombe (ad e. Modern moral Philosophy, 1958), tra altri/ e sudiosi/ e di etica contemporanei/ e.
Non mi sembra fuori luogo citare in questa sede anche un pregevole lavoro della professoressa Paola Pillepich (da me prefato) pubblicato poche settimane fa: Le età della vita e i vizi capitali. Un cammino verso la maturità, Ed. La Bussola, Roma 2023.
L’orgoglio spirituale è un sentimento di superiorità che attanaglia lo spirito e suggerisce (nutrendola) la superbia. L’orgoglioso in spirito è convinto di non sbagliare mai, e perciò è ed ha un comportamento superbo, si comporta con aria di superiorità; a volte manifesta (falsamente) atteggiamenti di umiltà e desiderio di ascolto, ma in realtà dell’opinione altrui poco o punto gli interessa, perché ritiene gli altri esseri inferiori.
Quando una persona prova continuamente questo sentimento appare come superba e sprezzante, e tratta gli altri come se dovessero stare sempre ai suoi ordini. Se ha una posizione di comando approfitta della situazione con tutti i sottoposti, a volte facendosi servire in incombenze che non spettano, e così mostrando la sua (presunta) “superiorità” sociale verso le altre persone.
In un certo senso l’orgoglio spirituale fattosi superbia è il peggiore di tutti i vizi morali, poiché chi ne è affetto, proprio perché si ritiene superiore a tutti, in determinate situazioni può pensare che gli sia concesso qualsiasi atto come legittimo, anche al di sopra della legge e dei regolamenti.
Molto spesso le manifestazioni esteriori del superbo sono di tipo arrogante, prepotente o addirittura protervo, cioè continuamente sprezzante verso gli altri, che sono al suo servizio, secondo lui, il superbo, e non sono esseri dotati di una dignità naturale pari alla sua, in quanto persone umane (cf. Art. 2 della Costituzione della Repubblica Italiana, Roma 1948, e, se si vuole, Io sono unico, tu sei unico, ma la nostra dignità è uguale. Basi sintetiche di un’antropologia filosofica realista-personalista, di R. Pilutti, Segno Edizioni, Tavagnacco-Udine 2023).
Costoro, per il superbo, debbono solo obbedire senza discutere, perché a suo avviso non hanno un’intelligenza originale: la battuta del superbo è questo: “tu non devi pensare, ché a quello ci penso io, tu devi solo eseguire i mei ordini“. Espressione altamente irrispettosa, offensiva e idiota, oltre che arrogante e fomite di inefficienza, perché laddove, ad esempio, il lavoratore, o comunque il subordinato, non conosce i fini per cui opera, tende ad essere demotivato e perfino svogliato. Un ricordo di anni fa: un dirigente che, quando qualcuno “osava” anche solo, non tanto obiettare, ma solamente interloquire per capire meglio i desiderata del “capo” o “boss” (così amava essere definito il grand’uomo), si batteva con la mano destra sulla spalla sinistra per mostrare senza proferir verbo le mostrine da altissimo ufficiale, e così facendo zittiva di brutto il malcapitato. In qualche caso ho sentito questo “capo” definire brutalmente “scannatoio” la stanza nella quale usava maltrattare un dipendente, quando avesse deciso di “farlo fuori” (ecco il linguaggio prediletto di quelli che sono criminali dentro), cioè di farlo dimettere. Vergogna.
Nella mia esperienza di formatore e docente, ho provato a proporre queste riflessioni anche in ambiti dove la gerarchia è riconosciuta e stringente per ragioni organizzative di efficienza ed efficacia delle operazioni da svolgere, come le aziende. Non conosco, in generale, i risultati nel tempo di questi miei interventi formativi, ma, laddove ho potuto successivamente indagare, ho constatato che piuttosto raramente quegli interventi di formazione antropologico-morale hanno avviato una riflessione interiore nei superbi, prepotenti, arroganti e protervi, capace di portare a un cambiamento degli atteggiamenti. Più spesso il superbo etc. è rimasto tale, perché il vizio era troppo interiorizzato e profondamente incistato nella sua anima (psiche).
Comunque non si deve mai rinunziare a proporre una formazione di questo tipo, dialogando, interpellando, ponendo questioni e fatti pratici per favorire una riflessione auto-consapevole anche nei più riottosi e scettici.
Proviamo ad esaminare l’etimologia dei termini trattati. L’arroganza: con questo termine latino (arrogantia) si definisce un senso di superiorità nei confronti di un altro soggetto, manifestato attraverso un costante disdegno e un’irritante altezzosità. Il termine ha origine giuridica: l’espressione ad rogare, in latino, indica la richiesta e l’appropriazione di ciò su cui non si possono vantare diritti. L’arroganza è anche in qualche modo sinonimo di una certa vanità egocentrica, che è dettata, secondo Karen Horney, dall’avere un’immagine di sé gonfiata, certamente diversa dall’immagine che gli altri hanno del soggetto arrogante e vanitoso. Si pensi che arrogare significa “rivendicare o sequestrare senza giustificazione… affermare indebitamente di avere”, o “pretendere o sequestrare senza diritto… o attribuire senza motivo”.
La prepotenza: come quasi sempre accade, anche questo termine deriva dal latino praepŏtens –entis, che significa molto potente, dotato di grande forza e potere, specialmente in rapporto ad altri, quindi anche, talora, soverchiante o egemonico. Nell’uso comune è detto prepotente chi tende a imporsi a ogni costo sugli altri, a far prevalere il proprio punto di vista, la propria volontà, il proprio interesse, anche con atti di prevaricazione e di coercizione della volontà altrui. Con riferimento a desiderî, bisogni, stimoli, sentimenti et similia, la prepotenza è così forte e impellente da non poter essere trattenuta, frenata; irresistibile, insopprimibile. Con la conseguenza del non riconoscimento della pari dignità dell’altro.
La protervia: dal latino protervia (da protervus), è una forma di superbia insolente, di arroganza ostinata, sfrontata, petulante, spesso accompagnata a ira, a rancore.
Quante persone di questo tipo conosciamo? Come ci difendiamo? Come possiamo intervenire per frenare questi impulsi altrui (che possono anche essere i nostri)? Innanzitutto riconoscendone le caratteristiche, e poi cercando di contrastarli con l’uso di argomentazioni logiche, pacate e ferme nel contempo. Se ciò non basta, magari in ragione del ruolo/ posizione superiore del soggetto vanaglorioso, superbo, arrogante, prepotente, protervo, evitarlo accuratamente, allontanandoci da lui/ lei e dall’ambiente che frequenta.
Ciò significa anche cambiare lavoro, ambito frequentato o partner, ma ne va della nostra salute mentale e fisica.
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