Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Poco più che ventenni, annoiati, ricchissimi, fragili, ingenui, ignorantelli, “stupidelli”, un po’ soli, con un solo talento, quello calcistico

Sono i calciatori che giocano on-line per guadagnare ancora soldi, perché non sanno cos’altro fare. ??? Distinguiamo pure i vari tipi di giocate, dalle più gravi moralmente e giuridicamente, come lo scommettere sulla propria squadra adoperandosi concretamente di persona, come calciatore, per falsare il risultato in campo, a quelle più irrilevanti come giocare su altri sport per particolari definibili come inezie.

Fagioli, Tonali, Zaniolo, chi altri? Tal Corona dice di avere ancora una cinquantina di nomi (finora l’affermazione è stata una balla!) da evidenziare al pubblico. Corona, noto “sciacallo” pre-giudicato, pare godere nel gettare fango con la sua attività gossipara. Il livello morale della sua assenza di vergogna è inesistente.

Costoro sono ragazzi giovanissimi, nati attorno al 2000, spesso sprovvisti di una cultura generale cui anche il recente passato è sconosciuto, per carenze di scolarizzazione e di contesto familiar-amicale.

A volte sono certamente un po’ soli, nelle lunghe notti della trasferte o semplicemente della loro vita da single. La solitudine giovanile può portare a cercare la compagnia di ciò che scorre inopinatamente sul web, su internet, nei social, e dunque… se c’è scarsa capacità di discernimento critico può accadere quanto abbiamo constatato.

Natura li ha dotati di un corpo atletico, e di un potenziale che, se ben allenato, gli permette di accedere ad un gioco-lavoro professionistico, da subito bene pagato, in generale troppo pagato, che li illude di poter vivere una vita speciale, al di sopra delle vite degli altri.

Il giovane Jamal (Lamine Yamal Nasraoui Ebana), ispano-marocchino, sedici anni, è già titolare nel Barcellona, una delle migliori squadre di football al mondo. Il suo ingaggio, dai trecentomila euro dell’anno passato (lo stipendio corrente di un Amministratore delegato di un’azienda italiana medio-grande), molto rapidamente, in ragione dei suoi prossimi goal e assist, che probabilmente saranno numerosi e in crescita, entro l’anno entrante sarà di alcuni milioni euro, più premi partita etc..

Sarà il suo personale rischio esistenziale e morale. Chi diventerà Jamal a vent’anni? Che giocatore (probabilmente uno dei migliori di Spagna)? …ma soprattutto che giovane uomo?

Anche mezzo secolo fa c’era qualche calciatore sedicenne che esordiva nella Seria A italiana, Gianni Rivera, nell’Alessandria, dove iniziò una carriera che lo portò a vincere tutto con il Milan, fino ad essere considerato uno dei più grandi giocatori di sempre. Lo ricordo, lui giovane (io bambino), capelli a spazzola, esile, elegante nel suo incedere e nel suo dribbling, che spesso ricordava le veroniche dei toreador, un pensiero calcistico fulmineo, ma ragazzo anche attento all’interlocutore e capace di ragionamenti non banali: tant’è che in carriera non ebbe pochi problemi, in un mondo dove non era (e non è) richiesto un particolare “approccio culturale”, per dirla in modo generico. Rivera, che non era – da adolescente – inferiore a Jamal (e questi dovrà ancora dimostrare di valere l’alessandrino), non è diventato ricchissimo, ma solo benestante, da figlio di un ferroviere e di una casalinga, che era.

Ovviamente, i sopra citati due bravi calciatori (Tonali e Zaniolo), per opportunità giuridico-morali, sono stati inviati alle rispettive squadre, dal ritiro della Nazionale italiana, nella quale avrebbero potuto giocare contro gli avversari di questi giorni (Malta e Inghilterra).

La domanda: come si possono aiutare quei due ragazzi, ed eventualmente altri che siano incappati nel medesimo comportamento psico-sociale?

E’ ovvio che questo quesito deve appartenere prima di tutto a loro stessi e ai loro cari… ma immediatamente dopo, è una domanda appropriata per le strutture sportive cui appartengono, le rispettive squadre (peraltro ambedue presenti nell’inglese Premier League), e la Rappresentativa nazionale italiana.

Questi ragazzi vanno prima di tutto aiutati come persone. Non considererei immediatamente la cosa, il loro stato, i loro comportamenti, come nevrotici, tali da potere essere considerati nelle tassonomie e negli algoritmi del DSM-V-TR per la Medicina generale (il Manuale psichiatrico in uso in Occidente), che tengo per mia costante documentazione sul mio tavolo da lavoro.

Poniamo subito un tema comparativo: sopra ho citato lo stipendio di un Amministratore delegato di condizioni medio-basse italiano, comparandolo a quello del giovane Jamal del Barcellona. Parlandone, sento giustamente dire da persone di tutti i ceti e di ogni livello culturale che “prendono troppi soldi, soldi che invece meriterebbero medici, infermieri, insegnanti, vigili del fuoco, e anche tutte le altre categorie di lavoratori“, ma di contro, proprio un Amministratore delegato tra i maggiori della mia Regione mi spiega che gli emolumenti, ingaggi, stipendi, li fa il mercato, e che quindi “è giusto” (nel senso che è “comprensibile” nell’ambito delle politiche stipendiali del football più ricco ed esente da norme) che don Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro percepisca duecento milioni all’anno dalla sua squadra saudita, l’Al-Nassr di Ryiad.

Lasciamo dunque perdere, per il momento, un giudizio morale comparativo tra gli emolumenti attuali di Ronaldo e il 2024 (presuntivo) di Jamal. Lo riprenderò in seguito. E torniamo alle persone dei due ragazzi italiani, cui pare non basti essere profumatamente pagati, Tonali dal Newcastle (mi pare sei milioni/ anno), Zaniolo dall’Aston Villa di Londra (quattro milioni/ anno?). E Fagioli, alla Juventus? Ottocentomila euro/ anno?

Oppure non è neanche per questa ragione, che potrebbe essere un’altra: la noia? Come passa una sua giornata tipo un giovane campione di football? Se è giornata di partita, ovviamente sonno, risveglio, alimentazione è tutto orientato ad arrivare al confronto sportivo nelle migliori condizioni di benessere psicofisico; se è giornata infra settimanale, più o meno è la stessa cosa, con la differenza che invece di andare allo stadio della partita (viaggio di trasferimento compreso, che a volte si svolge il giorno prima se la compagine avversaria è di una città lontana, alternando l’uso degli autobus sociali o dell’aereo), il giovanotto si porta con i suoi mezzi (spesso auto di grossa cilindrata: mia osservazione non moralistica, beninteso!) al Centro di allenamento della sua squadra.

E nel mezzo di questi impegni? Ovviamente la situazione è diversa se il ragazzo vive con moglie/ compagna o è single (situazione prevalente nei più giovani). Intanto, in generale, deve fare una vita da atleta, evitando serate infrasettimanali, il fumo, l’alcol, se non in misure morigerate (temperanti, si potrebbe dire) e gli stupefacenti. La storia recente di questo sport racconta, però, anche biografie diverse, che portarono celebrati campioni a una fine molto triste (cito con rispetto due nomi tra altri, Gerd (Gerhard) Müller, il più grande centravanti tedesco di sempre, e George Best, nordirlandese, uno dei più grandi calciatori di sempre). Ricordo, per citare un calciatore che si distingueva non per i vizi ma, potremmo dire, per scelte di estetica esistenziale, morto a ventiquattro anni travolto da un’auto mentre camminava lungo un viale di Torino, Luigi Meroni. Meroni non era un vizioso, ma un ragazzo intelligente e originale (a volte lo vedevano passeggiare con una gallina al guinzaglio), per mostrare che anche se si vive lussuosamente di calcio si può evitare di essere un giovane ricco annoiato.

Mezzo secolo fa i calciatori professionisti avevano la licenza media (qualcuno la quinta elementare come uno che è diventato uno degli allenatori più vincenti di sempre), ma non mostravano una povertà di comportamenti, o una superficialità dettata da un nuovo e inaspettato benessere (post bellico). Solo pochi erano diplomati (ad e. il citato Rivera e il suo collega interista Sandro Mazzola). Non era casuale che fossero tra i più capaci di dialogare con criterio. Di laureati in quegli anni non vi era traccia: non serviva studiare.

Invece, negli ultimi decenni, non solo pressoché tutti i calciatori professionisti possiedono un diploma di scuola media superiore, ma stanno crescendo di numero i laureati, magari in discipline affini allo sport come scienze motorie o in economia (Giorgio Chiellini), magari prospettandosi una carriera dietro la scrivania di un club.

Anche negli altri sport professionistici, lo studio non è stato molto popolare, se non non in alcune discipline che nel primo dopoguerra non erano molto accessibili fuori dai centri urbani, come l’atletica leggera (ricordiamo il grande Livio Berruti, occhiali da studente timido, primatista del mondo sui 200 metri e vincitore indimenticabile alle Olimpiadi Roma nel 1960 aveva conseguito la laurea in chimica); rese note dalla tv sono le gag del corridore ciclista che, intervistato dalla Rai, saluta la mamma lontana con un clamoroso “Mama ciao, son contento di essere arrivato uno” (Raimondo Vianello).

Il sommo Pietro Mennea è l’eccezione grande tra gli sportivi, con le sue tre lauree ed attività varie di docente e commercialista-giurista.

E dunque, oggi potremmo dire che l’aumento della scolarizzazione, cresciuto sociologicamente assieme alla società intera, dovrebbe aiutare i ragazzi fortunati e ricchi del football ad essere più capaci di scelte intelligenti e costruttive per le loro vite individuali e familiari. Pare che così non sia, visti i fenomeni di cui qui sto trattando. E allora?

Se sopra ho affermato che non occorre, a mio avviso, un immediato accesso all’aiuto della psichiatria o alle psicoterapie, vorrei dire che si potrebbe pensare a sviluppare, nei club e in Nazionale delle modalità di ascolto dei ragazzi di tipo dialogico, filosofico-morale, ma senza moralismi vieti, capace di aiutarli a individuare le criticità e i rischi che derivano da un accesso al web privo dell’esercizio di sufficienti capacità di discernimento.

I ragazzi di oggi sono vittime di un tempo che non dà tempo e, vorrei dire, tregua, alle possibilità di discernimento, perché tenta di imporre un modello (in parte inconsapevole) di insensatezza post-umanistica, fatta di banalità, sensazionalismo, superficialità, di una sorta di “in-ascolto” e di una fretta senza ragioni. Quei ragazzi là devono essere aiutati anche se sono ricchi, poiché spesso, nella stessa misura, sono “poveri-dentro”, forse non di umanità o di generosità, ma certamente di capacità di comprendere il senso (della vita) e delle loro vite individuali.

Cerco di trovare un senso alla conclusione con due parole concernenti possibili comparazioni stipendiali di valore secondo una giustizia generale: fossimo in società ancora semplici come fino, all’incirca, a un trentennio fa, potremmo dire che i trattamenti economici dei “campioni” del football dovrebbero essere “temperati”, aggregandoli a quelli delle persone di riferimento direzionale nelle aziende.

Siccome ciò non è attualmente plausibile, né ragionevolmente possibile, poiché le società e le economie si sono ulteriormente complicate in dimensioni e modalità operative, allo stato attuale, incontrollabili, il lavoro da fare è sul piano culturale di un vero sapere morale, per una crescita a livello sociale, e, “a caduta”, anche in ambiti come quelli dei giovani sportivi professionisti, che sono (stati e sono) illusi dal mito contemporaneo che sia possibile guadagnare denari senza fatica e senza merito.

Forse poi anche Fagioli, Tonali e Zaniolo, e speriamo non (troppi) altri, potrebbero cominciare a riflettere.

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