Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Roma, ottobre 1943, e il bambino sul tram. Pericolose tracce redivive di anti-semitismo (con la scusa di un anti-sionismo, che oggi diventa quasi fattualmente sinonimo) nella Roma e nell’Europa odierne

Maledetta la data del 16 ottobre 1943!

Quel giorno le autorità naziste a Roma, il colonnello Kappler e i suoi superiori (il generale Von Mackensen) vogliono mostrare ai conniventi fascisti che neppure a Roma gli Ebrei sono al sicuro, visto che qualche autorità mussoliniana esita talvolta ad applicare rigorosamente le oscene leggi razziste del 1938, che anche la sciagurata Nazione italiana (che è il regno d’Italia, a me – perciò – ben poco caro re Vittorio Emanuele III!!!) si è data sulle tracce di analoghi spaventosi orrori giuridici e pratici legiferati e operativi in Germania già da tre anni prima.

Il Ghetto è sottosopra. Le SS sono scatenate per le vie, le piazze e i vicoli a catturare giovani, vecchi, donne, uomini e bambini, bottegai e artigiani. Alla fine della retata sono quasi millequattrocento le persone caricate sui camion e portate via. Molti pensano che si tratterà di un arresto di breve durata, quasi dimostrativa, ma la realtà sarà un’altra, tragica, dentro la tragedia immane della Shoah.

Le persone si guardano attorno, c’è chi si affretta a rincasare, chi aspetta un mezzo pubblico, chi si dirige verso l’ufficio, chi apre l’uscio di casa o il portoncino della propria attività, e chi attende un collega provvisto di auto personale per farsi accompagnare fino al medesimo posto di lavoro.

Si vede un gruppo di ragazzini che gioca a pallone con una palla di stracci dentro un vicolo. A un certo punto uno di loro li allerta dicendo a un compagno: “David ci sono i soldati!” Allora David, un morettino olivastro un po’ più piccolo degli altri si affaccia allo spigolo del vicolo e si fa piccino piccino. E’ spaventato. A casa gli hanno detto di non dare retta agli estranei e di stare alla larga dai soldati, specialmente da quelli in uniforme grigio ghiaccio e stivaloni neri.

Sentendo avvicinarsi un paio di questi, il piccolo si lancia verso un mucchio di scatoloni messi alla rinfusa in un angolo della piazzetta e si caccia lì dentro.

Non sa cosa fare e allora gli viene in mente di aspettare il tram che passa lì davanti ogni venti o trenta minuti. Ha pensato di prenderlo al volo anche se non ha i soldini per il biglietto. Salire sul tram e via scappare! Sente ancora la lontana i comandi di qualche militare “Stop, raus, raus!”. Il tedesco possiede una fonetica che in certe situazioni è di per sé spaventevole, tanto è secca e consonatica.

Sentito il rumore del mezzo, David scatta verso il bus che nel frattempo ha aperto le porte. Un salto e il bimbo è dentro, ansimante. L’autista lo vede e capisce. Lo nasconde in fondo al mezzo, che stava andando, fortunatamente, al deposito, alla fine dei giri quotidiani. Quell’uomo si mise d’accordo con i colleghi per proteggere il piccolo. Ce la fecero e quel bambino è ancora vivo, ultraottantenne.

Non so se si chiama David, e non so se il mio racconto è preciso, ma non importa.

Il drammatico racconto a lieto fine rinvia a ciò che sta accadendo in questi giorni, nel tempo della guerra scatenata da Hamas contro Israele e della guerra. Israele ha però un problema, che sembra incredibile per un paese democratico: Netaniahu, lì al potere da due decenni, salvo brevi periodi. Si deve riuscire a rimuovere questo oramai ottuso reazionario, che con i suoi atti di governo sta da anni mettendo pietre d’inciampo a ogni progresso nelle relazioni tra i due mondi. La sua alleanza con le destre più retrive dello scenario politico israeliano, che sta ottusamente seguendo, sta portando la situazione generale a una deriva senza sbocco.

Il rischio è che nell’opinione pubblica delle grandi plaghe musulmane, che non coincidono con i terroristi, vinca proprio l’idea che Israele è il cancro da estirpare, come si trova nelle tesi di Hamas e degli ayatollah iraniani, con conseguenze devastanti non solo per il Vicino Oriente.

Pare che la lezione della Storia non sia stata bastante, non sia servita.

Aggiungo: ancora l’ignoranza storica e il pregiudizio politico sembrano vincere su una corretta conoscenza dei fatti e degli eventi di quella plaga del Vicino Oriente. Un evidente e sordido antisemitismo sta manifestandosi in queste drammatiche giornate che ci tengono col fiato sospeso.

A Roma qualcuno ha profanato le “pietre d’inciampo” messe lì per ricordare a tutti quello che accadde quel lontano 15 ottobre di ottanta anni fa.

A Parigi compaiono sui muri in modo minaccioso le stelle di Davide, che ricordano ciò che successe in quegli anni.

Nelle manifestazioni “pacifiste” gli slogan sono quasi tutte a senso unico, non limitandosi a gridare la condivisibile tesi “due Popoli, due Stati“, ma convergendo su un sentimento anti-israeliano che odora di anti-semitismo.

Su questo gioca un ruolo fondamentale l’ignoranza storica e l’ideologismo, malattia culturale e morale dei nostri tempi difficili.

Serva, anche solo nel mio piccolo, a fare riflettere qualcuno, questo scritto della memoria, del ricordo, come monito.

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