Una relazione affettiva sana è la capacità di un uomo e di una donna (mi fermo qui, perché non sono completamente “attrezzato” per trattare di altri tipi di coppie umane, e questo è un mio limite) di unire due solitudini, o, meglio, due “solitarietà”
Ci si può amare, o “voler bene”, che – sotto un certo profilo – è la forma più completa dell’amore, poiché mette al centro di gravità il bene-dell’altro, non il proprio-bene, e in latino si chiama amor benevolentiae.
Questo tipo di amore si manifesta solo e solamente se si riesce anche talvolta a stare da soli, serenamente… e quando uno dei due vuole star solo o sola, lo può fare senza che l’altro o l’altra lo perseguiti nei mille modi possibili.
Da ragazzo avevo una fidanzatina che mi seguiva ovunque e non sopportava che stessi a volte con i miei compagni della squadra di basket, o il gruppo musicale di cui facevo parte, per una birra o una pizza tra maschi. E’ rimasta la fidanzatina dei miei vent’anni o poco più.
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La solitarietà è diversa dalla solitudine, perché ha un sostrato semantico più volontario soggettivo, rispetto alla solitudine, che può essere imposta anche da altri o da situazioni oggettive.
Innanzitutto occorre rigorizzare semanticamente due termini che a volte, sia pure in contesti diversi, sono erroneamente utilizzati some sinonimi: parlo dell’invidia e della gelosia. L’invidia, come già scrissi più volte in questo sito, è il secondo vizio capitale per gravità morale, a parere di autorevoli eticisti laici e non (e anche a mio avviso), e viene, in questa trista classifica, subito dopo la superbia: se la superbia è il vizio che ammorba spiritualmente chi crede di essere superiore a tutti gli altri, per cui pensa gli sia concesso di fare ogni tipo di atto, senza subire il giudizio etico e magari quello previsto dagli ordinamenti di legge (è il comportamento dei tiranni di ogni tempo, intendendo la tirannia non alla moda dell’antica Grecia, per cui era perfino una plausibile forma di governo dello stato, ma nell’accezione comune di atteggiamento di sopraffazione verso gli altri), l’invidia (deverbale dal verbo latino in-vidère, guardare di storto, con occhio malevolente l’altro) è un vizio, oltre che molto malvagio, perfin stupido, perché non comporta alcun vantaggio per chi lo prova.
La gelosia, invece, è un sentimento ambivalente, ambiguo, perché può avere certamente connotazioni sane, quando suggerisce l’imitazione di una persona valida e virtuosa (di questo genere si può considerare la gelosia del fratello o sorella minori per un fratello o sorella maggiori, che stanno mostrando particolari qualità, capacità o doti), mentre assume aspetti negativi in altri casi, così come accennati supra. Si può dunque parlare di una gelosia sana e di una gelosia in-sana o mala.
Non si può dire, però, che sia mala la gelosia di chi ritiene che il proprio partner non sia “fedele” al rapporto, allorquando giunga ad avere informazioni probanti su fatti reali. Si tratta, in questo caso, di una gelosia che può essere ritenuta “normale”, e anche socialmente accettata, perché cerca di essere proporzionata alla qualità e alla verità delle relazione che il “geloso/ gelosa” intende difendere.
Vi sono poi altri tipi di gelosia, che vengono definiti genericamente “patologici”, ma tale definizione merita un approfondimento rigoroso, poiché se ci si limitasse all’aggettivo medico-psicologico “patologico”, rischieremmo di “giustificare” oggettivamente ogni comportamento difforme da una normale qualità relazionale tra esseri umani.
Altrove e in altri contesti di riflessione ho più volte posto il tema della responsabilità morale dell’agire libero dell’uomo, distinguendo l’agire libero dall’agire stereotipato della malattia mentale, così come è classificata dalle ricerche più recenti e affidabili, e su ciò non mi ripeto.
La gelosia deborda da una “normalità” intesa come sentimento, potendo mostrarsi in modalità e dimensioni emotive abnormi, con comportamenti sempre più aggressivi, fino a diventare inaccettabili e pericolosi e – di fatto – incoercibili nell’ambito della relazione, come negli eventi omicidiari di cui si sta giustamente parlando da qualche tempo. Questo fenomeno accade anche quando ciò che lo costituisce come “credenza” è patentemente assurda diventando pressoché impermeabile ad ogni valutazione veritativa.
In altre parole, quando ciò che teme il “geloso” o la “gelosa” è clamorosamente falso ed è dimostrabile che è tale.
In questi casi la gelosia si manifesta a partire da un’attivazione anche inaspettata, quando il soggetto fa mente locale di un qualcosa che gli/ le sembra (e quindi, “sembrando”, pare essere vero) un fatto di “tradimento” della fiducia e quindi della verità del rapporto amoroso, che è – per definizione – esclusivo. Questo incipit può in seguito evolvere in una ossessiva e a volte parossistica, e veramente dolorosa, ricerca di conferme negative, cui a sua volte segue una (paradossalmente masochistica) ricerca di ulteriori prove dell’insincerità del partner, e del tradimento, che poi risulta, generalmente, non vero.
Il geloso “patologico” (si tenga sempre conto delle precisazioni di cui più sopra, che distinguono tra situazione nevrotica e situazione che tende alla psicosi, ovvero può essere già immersa nella sofferenza psichica oggettiva, che è distinzione di difficilissimo discernimento). A quel punto il geloso/ la gelosa dà inizio a comportamenti (in questo caso esemplificati dalla cronaca del caso Filippo Turetta/ Giulia), come: accuse e interrogatori, telefonate ripetute, controllo di telefoni e corrispondenza. Ma anche visite a sorpresa, comportamenti persecutori, divieti al partner di vedere i propri amici, andare fuori da soli o indossare certi abiti, frugare tra vestiti ed effetti personali. Fino all’ispezione della biancheria intima per cercare di trovare la prova schiacciante dell’infedeltà del partner.
Il / la geloso/ a, di per sé tende poi a isolarsi e a sviluppare una batteria di sintomi (senso di impotenza, isolamento, estrema passività, etc) e a sperimentare manifestare forme di ansia e di depressione. abuso di alcol e di farmaci diventano in questa fase e situazione un portato dello stato d’animo del soggetto.
Nel solito più volte da me citato Manuale dei disturbi mentali etc., si può trovare una diagnosi della gelosia patologica e ossessiva. Osserviamone i principali.
La gelosia veramente patologica presenta alcune caratteristiche che la differenziano dalla normale (e accettabile) gelosia.
Per essere tale deve essere eccessiva, intrusiva e ingiustificata. Il sospetto e la paranoia diventano tratti determinanti. Il geloso patologico è pervaso dal dubbio e l’incertezza è intollerabile.
Inoltre deve creare una forte compromissione della relazione di coppia in cui le rassicurazioni sono inefficaci e il controllo del comportamento del partner diventa ossessivo.
Nel sopra citato Manuale la gelosia patologica non ha un’entità nosologica specifica. Viene spesso rappresentata come parte della psicopatologia ossessivo-compulsiva o come disturbo delirante di tipo geloso.
Non è raro che essa dipenda anche da disturbi psicopatologici, come la dipendenza da sostanze o alcol, da forme schizofrenico-paranoidi o depressive, o può addirittura essere un effetto collaterale dei trattamenti farmacologici.
Per quanto concerne ciò che sta nell’ambito del libero arbitrio individuale e delle facoltà razionali e relazionali presenti e attivabili da ciascuno di noi esseri umani, possiamo e dobbiamo lavorare per migliorare noi stessi, donne comprese (perché anche le donne non sono esenti da forme di violenza verso gli uomini: basti pensare a certe forme di separazione e a risvolti economici che talvolta mettono sul lastrico uomini disperati), e per aiutare gli altri/ e a migliorare le proprie vite, se possibile con la benevolenza e la pazienza che dovrebbe rendere più virtuoso e generoso (direi perfino caritatevole) il nostro agire quotidiano.
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