Un’isola “comunista”: Anuta, arcipelago delle Salomone, Oceano Pacifico; le Reductiones gesuitiche e l’economia apostolica ai tempi di Simon Pietro, o degli unici “comunismi” plausibili e possibili
Anuta è un’isola nella provincia di Temotu delle Isole Salomone nel gruppo delle Isole Santa Cruz.
L’isola, in pieno Oceano Pacifico è di origine vulcanica, completamente circondata dalla barriera corallina.
Sin dall’epoca preistorica è stata abitata da una civiltà detta Lapita, mentre ospita attualmente due insediamenti: i villaggi Mua (di fronte) e Muru (sul retro). Storicamente gli abitanti di Anuta hanno utilizzato l’isola di Fatutaka, situata a circa 50 km, come “supplemento” di terra per la raccolta delle uova, la pesca e la coltivazione delle patate. Data la piccolissima superficie, l’isola ha una densità abitativa altissima, più alta di quella di Taiwan, di Gaza City e di Hong Kong.
Gli abitanti sono definiti antropologicamente Polinesiani e parlano una lingua comune anche agli altri arcipelaghi della Polinesia.
Gli “anutesi” sono comunisti. Lo sono poiché applicano il principio sociale dell’aropa, che significa collaborazione, condivisione e compassione reciproca: la pratica dell’aropa garantisce che le poche risorse disponibili sull’isola siano totalmente condivise e distribuite con equità (secondo i bisogni individuali e familiari) tra gli abitanti.
Altrimenti non è possibile vivere ad Anuta, in quanto le altre isole sono troppo lontane per condividere un’economia diversa da questa, magari con forme di commercio di scambio.
Lo studioso Jared Diamond parla dell’isola di Anuta nel suo libro Armi, acciaio e malattie nella prima parte del testo. Il riferimento è al fenomeno di popolamento della Polinesia, risalente a circa 30.000 anni fa. Egli mette in evidenza la grandissima efficienza produttiva degli abitanti dell’isola, che riuscirono a coltivare e ottimizzare una porzione notevole di terra in proporzione all’estensione dell’isola.
Un comunismo di fatto e di diritto comune.
Continuiamo con un altro esempio comunitario-comunistico, quello delle Reductiones gesuitiche del Paraguay e di altri luoghi del Sudamerica istituite nel XVI secolo.
Prima dell’arrivo dei missionari le tribù Guaraní vivevano secondo le loro antiche abitudini locali. Tutti i membri di un clan vivevano in un’unica grande capanna che fungeva da abitazione collettiva. L’agricoltura era molto povera e comprendeva solo la coltivazione della manioca. Le guerre con i villaggi vicini erano molto frequenti e giocavano un importante ruolo nella definizione delle differenti comunità indigene.
Quello delle Riduzioni è un esempio della difficoltà a conciliare indipendenza missionaria e governi locali. All’inizio del Seicento i superiori gesuiti dell’America Latina pensarono di creare queste “riduzioni” per indurre gli indigeni ad abbandonare la vita nomade e a sedentarizzarsi in modo stabile in alcuni villaggi bene organizzati. Le Riduzioni miravano alla promozione materiale, sociale e spirituale degli indigeni. I villaggi nati sotto l’impulso dei gesuiti si estendevano non solo in Paraguay, ma anche in Argentina, Brasile, Uruguay e Bolivia. Le riduzioni furono in tutto 33.
Esse godevano di una notevole autonomia: gli indigeni erano esenti dalla giurisdizione dei funzionari regi di Spagna e dipendevano direttamente dal viceré; erano liberi da ogni servitù e dovevano solo pagare un tributo al governo di Madrid (una certa quantità di jerba mate). D’altro canto, gli indigeni dipendevano totalmente dai gesuiti e il paternalismo fratesco era sviluppato al massimo.
Intorno al 1630 le Riduzioni subirono gravissimi assalti e perdite a opera degli schiavisti. Gli indigeni ottennero allora da papa Urbano VIII una viva protesta contro la schiavizzazione degli indios (bolla Commissum nobis del 1639). E inoltre, per evitare altri disastri del genere, i Gesuiti ottennero da Filippo IV di organizzare un corpo armato di indigeni, preparato e organizzato dagli stessi missionari.
Nelle Riduzioni il governo spirituale era in mano ai missionari mentre l’amministrazione civile, almeno de jure e in teoria, era affidata ad alcuni indigeni. L’ingresso nel villaggio era vietato a tutti, eccetto che al vescovo e al rappresentante del governo. Un minuzioso regolamento ordinava la vita delle Riduzioni. In meno di tre generazioni gli indigeni erano passati da un livello di vita estremamente primitivo a uno stadio di civiltà piuttosto elevato (per es. la prima tipografia dell’America latina è stata fondata in una riduzione). Tra l’altro, i Gesuiti fondarono la prima università del Sudamerica in Argentina, a Cordoba, dove qualche anno fa ebbi l’onore di tenere una prolusione sull’emigrazione friulana e italiana in Argentina (che per me è una seconda Italia).
Le Riduzioni erano organizzate secondo un ordine geometrico perfetto realizzato con poche variazioni in tutti i villaggi. Ognuna di esse si sviluppava intorno a una piazza quadrata al cui centro c’era una grande croce e un’immagine del santo patrono. Dall’altro lato si trovava la chiesa, con delle case per le vedove e gli orfani e la scuola, gli alloggi dei missionari e le officine; dietro la chiesa c’erano l’orto e il cimitero. Sul lato opposto vi erano le abitazioni degli indigeni, e nei lati restanti il Consiglio della Missione, una portineria, un ospizio, delle cappelle, un orologio solare e il carcere. Il villaggio era protetto da trincee e da un muro per salvaguardarsi attacchi degli altri indigeni e le incursioni degli schiavisti cosiddetti bandeirantes o paolisti. La chiesa era l’unico edificio decorato: gli indigeni che avevano appreso tecniche artistiche avevano la possibilità di applicarle.
Il governo civile era gestito dagli indigeni. Consisteva in un consiglio eletto per voto, composto da tre ufficiali, tre amministratori, alcuni ausiliari e i rappresentanti dei quartieri della Missione, tutti sotto l’egida di un caicco. L’amministrazione della giustizia restava a carico dei Gesuiti. I reati erano rari e di conseguenza le pene minime. Non si ricorreva quasi mai alla prigionia o a condanne all’esilio, ritenuta la somma disgrazia.
Ogni famiglia riceveva un terreno, ereditario, che forniva il sostegno alla famiglia: venivano coltivate patate, mais, manioca, legumi, frutta e mate. Le altre aree erano “proprietà di Dio” i cui frutti spettavano alla comunità, e dove gli indigeni dovevano lavorare due giorni a settimana. Una specie di corvée che ricorda molto il sistema socialistico dei kibbutzim israeliani attuali.
Il tabacco, il miele e il mais servivano a volte come moneta di scambio; questo sistema aveva però un ruolo poco rilevante, giacché i centri comunali d’approvvigionamento fornivano ciò che mancava. A volte erano ammessi dei mercanti stranieri, per un periodo non superiore a tre giorni. Il commercio esterno avveniva tra le Riduzioni e le altre provincie spagnole, mntre i ricavi erano destinati al pagamento delle tasse alla Corona e per comprare materiali e strumenti vari.
Col tempo aumentò l’allevamento del bestiame nelle Missioni, cosicché nel 1768 possedevano nell’insieme 656.333 capi di bestiame. Anche il commercio ebbe un incremento fino a disporre di un mercato centrale a Buenos Aires, da dove si esportavano per l’Europa cuoio e altri generi come miele, frutta, tinture e sculture in cambio di carta, libri, seta, tegole, aghi e ami, utensili, strumenti di chirurgia, metalli e sale. Nella metà del settecento le importazioni erano spesso limitate, poiché le Riduzioni erano diventate praticamente autonome.
La vita in una Riduzione seguiva una precisa routine: alle ore 4 suonava la campana, seguiva la preghiera individuale, tutti andavano alla messa, anche i bambini, e alle 7 erano distribuiti i lavori del giorno, mentre a quest’ora era data ai bambini la prima colazione. Dopo la preghiera alle 8 si facevano le visite ai malati o si seppellivano i morti, si prendeva il mate e ci si dirigeva ai diversi affari e i bambini andavano a scuola.
Tra le ore 11 e 12 c’era il pranzo, al seguito un’ora di riposo, poi si tornava al lavoro. Dalle ore 16 in poi c’erano il catechismo, nuove preghiere, la merenda, la recita dell’ufficio divino del giorno e la cena. Alle ore 20.30 i fuochi venivano spenti e il villaggio andava a dormire.
Nelle domeniche le messe erano più solenni e nei giorni delle grandi festività erano realizzate delle sceneggiature teatrali, danze collettive, processioni, professioni pubbliche di fede e a volte autoflagellazioni, finti combattimenti e concerti musicali.
La preziosa esperinza ebbe fine ai primi del XIX secolo per varie ragioni di carattere economico, politico e militare: non piacevano più alla Madrepatria spagnola.
Una specie di comunismo cristiano, dunque.
Perché riusciva a funzionare? Innanzitutto per le “dimensioni” contenute dell’esperienza, che fanno la differenza, in questi casi, sotto il profilo psicologico e organizzativo. Ed erano efficienti. Al contrario, la storia grande ha già dimostrato come le grandi strutture statuali, URSS in primis, sono inadatte al comunismo, non tanto per ragioni politiche o etiche, ché invece potrebbe ero essere i punti etici forti di una socializzazione dei beni, ma per ragioni antropologiche insuperabili: l’uomo non è adatto a governarsi mettendo in-comune tutto dell’economia e delle risorse, perché fondamentalmente sospettoso verso gli altri e tendenzialmente egoista.
Difetti che esistono anche ad Anuta e nelle Reductiones, ma molto meno, perché in quelle esperienze la semplicità organizzativa e le relativamente poche risorse non sono riuscite (non riescono) a suscitare appetiti insuperabili. Di contro, in strutture amministrative come quella dell’ex Unione Sovietica o della Cina social-capitalista attuale, sono ben presto diventate preda di élites di partito e/ o economiche che ben poco avevano (o hanno) a che vedere con le utopie ottocentesche di una giustizia sociale capace di dare equilibrio ed equità ai rapporti economici e sociali: Stalin e c., da un lato, Mao e c. dall’altro, per tacere dell’essenzialmente criminale Pol Pot, erano dei privilegiati, a spese di fame, paura e violenza nelle vite dei concittadini. Ricordiamo l’Holodomor ucraino, che causò oltre quattro milioni di morti, a mo’ di esempio. La leggenda dei comunisti che “mangiavano bambini” si fonda su dati di verità: per sopravvivere gli ucraini e anche altri abitanti dell’immensa Unione Sovietica effettivamente mangiarono bambini morti durante le grandi carestie: ma erano comunisti per obbligo, non per scelta.
E vengo all’ultimo esempio di comunismo possibile che si può rinvenire nella storia, quello raccontato in Atti degli Apostoli, ad esempio nell’episodio di Anania e Safira.
La storia: siamo a Gerusalemme attorno all’anno 35, un marito, Anania decide di vendere un podere ma, d’accordo con la moglie Saffira, tiene per sé una parte dell’importo della vendita, mentre il resto lo consegna agli apostoli per la destinazione comune.
Tale comportamento violava la norma di piena comunione dei beni che reggeva la Chiesa di Gerusalemme.
Pietro, accorgendosi dell’inganno, reagisce con veemenza, leggendo nell’operato il potere di satana e un peccato di menzogna nei confronti dello Spirito Santo. La condanna ha un finale terrificante, sul modello di certi giudizi divini veterotestamentari, con la morte di Anania (At 5, 5).
La vicenda si ripete anche per la moglie Saffira che, ignara dell’accaduto, si presenta tre ore dopo, ribadendo la stessa versione, e anch’essa riceve la stessa condanna, spirando ai piedi di Pietro (At 5, 7-10).
Si può notare come sia forse un po’ strano che nel Nuovo Testamento si presenti un episodio di tale cupa violenza teologica. Potrebbe trattarsi di un fatto legato ad una morte improvvisa di due coniugi cristiani, “chiacchierati” per un loro comportamento egoistico. Tuttavia, agli occhi di Luca, autore di Atti degli Apostoli, e secondo lo stile biblico, la vicenda ha soprattutto un valore simbolico. Chi viola per smania di possesso e per egoismo il precetto dell’amore nei confronti del prossimo è uno scomunicato, è come se fosse morto per la comunità, è fuori dal cerchio vitale della comunione ecclesiale e della grazia divina.
Si tratta quindi di un appello severo, che certamente non cancella la costante certezza che la Bibbia dichiara riguardo alla conversione-rinascita e al perdono.
L’impossibilità antropologica del comunismo è per me, a questo punto, evidente.
Evviva il Socialismo democratico, gradualista e moderato!
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