La critica costruttiva fa migliorare le persone e i gruppi, mentre la denigrazione continua, o critica distruttiva peggiora i propri interlocutori, ma anche chi la usa, che a volte, purtroppo, non se ne accorge e dunque non si corregge, perché “accorgersi” è già un “correggersi” (cf. l’etimologia latina del verbo “corrigere”)
Sono sempre più sconcertato dai modi che la minoranza parlamentare attuale critica il Governo. Pensi il mio gentile lettore che io dovrei concordare con le critiche al Governo in carica, perché “storicamente” io sono sempre stato e sono (vorrei essere) “dall’altra parte”.
Eppure queste critiche mi disturbano quasi sempre, al punto da dovermene chiedere la ragione: forse che impercettibilmente mi sto “spostando a destra”, destino comune a molti quando gli anni della vita passano? Vero è che, come afferma il detto “in gioventù incendiari, in maturità pompieri“, con l’andare degli anni si tende ad essere sempre più riflessivi e a problematizzare tutto, non accontentandoci più di risposte semplici e immediate a domande che sono sempre difficili e complesse.
Oppure c’è qualche altra ragione? Mi interessa, dialogando con chi mi legge, cercare una risposta, o più risposte a un quesito che mi intriga, mi interessa e mi disturba, perfino.
Diamo uno sguardo assieme, caro lettore, alle due colonnine dell’immagine posta qui sopra.
La critica distruttrice ferisce, sminuisce, attacca l’identità, fa sentire inadeguati, è globale, deprime, mentre quella costruttiva aiuta a migliorarsi, è specifica, non sminuisce, fa sentire capaci, aiuta a migliorare, è circoscritta.
Ringrazio per la sintesi la dottoressa Nicole Adami che ne è l’autrice.
Potrei anche finirla qui, poiché il mio attento lettore non ha bisogno d’altro, in quanto possiede il mio medesimo uso di ragione.
Facciamo solo un piccolo lavoro, chiosando i sei principi negativi e positivi sopra riportati, citando ambiti e ambienti dove si esercita soprattutto la critica distruttiva, quella politica in particolare.
Se sei all’opposizione tutto quello che fa la maggioranza è, innanzitutto, del tutto sbagliato, e poi a volte anche vergognoso o pericoloso. Mai che si oda qualche critica non-assoluta diretta a un aspetto della riforma proposta dal Governo in carica, magari approfondendo un aspetto che non era stato tenuto in considerazione a sufficienza dal legislatore del momento. Mai. L’intervento, a volte spot preparati alla bisogna del video, trenta o quaranta secondi di espressioni apodittiche e assolute, stroncano del tutto e totalmente la proposta della maggioranza, a volte condendo le espressioni critiche con termini ai limiti dell’insulto personale.
Anche nelle aule parlamentari accade altrettanto, magari nei dieci minuti concessi agli interventi e alle dichiarazioni di voto. Negli ultimi anni non sono mai riuscito a sentire un intervento dell’opposizione che suonasse, a sua volta, come proposta diversa, non necessariamente alternativa, ma costruttiva, che accettasse magari l’impianto proposto sul quale si fosse in grado e si avesse la voglia di proporre modifiche, non la cassazione netta e secca di tutto.
Nella realtà fattuale della scienza e dell’economia, per non dire della riflessione filosofica, accade il contrario. Ognuno che opera, scienziato, responsabile di funzione, filosofo che sia, opera su materiali già esistenti e propone stati di avanzamento o ragionamenti più articolati senza “buttare via” nulla, ma costruendo, come si dice, il nuovo sul vecchio, lavorando costantemente e pazientemente per prove ed errori, try and error, tecnica conoscitiva ed epistemologica conosciuta fin dall’Antico Egitto e resa metodo dalla Rivoluzione filosofica e scientifica della Modernità, con Galileo, Francis Bacon e Descartes sopra tutti.
La politica no, in politica i “nostri” non sbagliano mai, gli “altri” sbagliano sempre. La politica non possiede o comunque non pratica un’epistemologia, specialmente negli ultimi decenni.
Invece prima di oggi, quando in politica vi erano persone di statura culturale incommensurabile rispetto agli attuali, si potevano vedere disegni strategici, come quello di Moro e di Nenni per costruire il primo centrosinistra, ad esempio. Un disegno che prevedeva un processo, una serie di riforme progressive e moderate che coinvolgevano nel tempo e in successione diverse forze politiche e sociali, riforme che hanno prodotto, ad esempio, il diritto del lavoro migliore del mondo ancora cogente, se pure in parte modificato, e un diritto di famiglia paritario e paritetico tra uomini e donne. Ancora imperfetto e in parte inattuato, ma esistente e vigente.
Tutto ciò è stato il frutto di un percorso paziente, non rivoluzionario o palingenetico, ma dell’applicazione di una delle maggiori virtù, la pazienza del costruire, che assieme all’umiltà dettata dalla consapevolezza dei propri limiti, è riuscita a produrre l’Italia contemporanea.
Imparassero i politici attuali dai loro predecessori, ma soprattutto studiassero gli esempi teorici e pratici dei principali saperi umani che le varie scienze e la filosofia propongono da migliaia di anni.
Non sono quindi diventato “uno di destra”, ma questa sinistra, rappresentata da due partiti più grandi e da un paio di meno consistenti, non mi piace per nulla.
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