Il fucile dell’alpino
Il Mannlicher Carcano Parravicino 91 era il fucile che armava gli Alpini e gli altri Corpi militari italiani fino alla Seconda Guerra mondiale.
Gli Alpini hanno sempre avuto in dotazione un fucile, che oggi si è modernizzato in arma d’assalto, il Beretta 70/90, perché sono dei militari, che da circa centottant’anni hanno combattuto e possono combattere ancora per la Patria italiana e non solo.
Mio suocero non era un guerrafondaio, era un alpino friulano. Nel 1943 è uscito da una sacca nei pressi di Nikitowka sul Don (Donetsk), combattendo con bombe a mano e fucile, dopo aver terminato le munizioni del suo cannoncino 45 che aveva provato (inutilmente) a utilizzare contro i T34 sovietici. La Repubblica italiana lo ha insignito di medaglia bronzo al valore militare. In questo modo tirò fuori da una situazione di morte o di prigionia sé stesso e diversi suoi compagni che gli erano affidati. Senza il suo coraggio non sarebbe mai nata mia figlia Beatrice, perché Cesare sarebbe stato avviato, se non già morto, a una marcia del “Davai” (in russo “avanti!”) verso l’infinito Est bianco. Lui sapeva benissimo, durante e dopo, di essere stato coinvolto in una guerra sbagliata ma, “una volta al fronte, diceva, bisognava combattere, o morire“.
Mio padre era di guardia nella primavera del 1943 a un accampamento di Bersaglieri sul Lago di Konijc in Bosnia, dopo una aspra battaglia contro forze yugoslave. Nottetempo fu aggredito da un partigiano: non mi seppe mai dire se Cetnico o Titino, lui reagì e trafisse l’assaltatore con la baionetta inastata sul fucile 91, uccidendolo.
Me ne parlò che ero già grande, addolorato perché aveva “dovuto” uccidere un ragazzo yugoslavo, “che era a casa sua, mentre io no” (parole di papà Pietro). Mio padre era l’uomo più mite, buono e pacifico che ho conosciuto.
Ora stanno capitando queste cose. A Padova, qualcuno sta protestando perché sarà eretta una statua all’alpino, che tiene un fucile appoggiato a terra.
Alcuni membri della giunta di centro-sinistra “temono” una statua raffigurante un alpino, commissionata dal gruppo alpini di Padova e Rovigo in concomitanza con il centenario della fine della prima guerra mondiale e ormai prossima a essere collocata nel parco Tito Livio di Padova. “Pietra dello scandalo (ma forse meglio sarebbe parlare di “bronzo dello scandalo”), riferiscono i media, è il fatto che la statua dell’alpino, pensate un po’, sarebbe “armata” nientemeno che di un fucile. E non va certo bene che una statua “armata” sia mostrata ai bambini che giocano al parco, proprio mentre ci sono in corso ben due distinti conflitti, sanguinosi, alle porte dell’Europa. In fondo, gli alpini non saranno mica un reparto dell’esercito, no? E poi metti che il fucile improvvisamente si metta a sparare da solo…”
Gli alpini padovani sono rimasti sorpresi, ricordando l’impegno di pace delle penne nere, che viene espletato ovunque, nel mondo. Lo stesso artista che l’ha realizzato ha confermato che non c’è alcunché di bellicista o aggressivo nella sua rappresentazione: anzi, elmetto e fucile posati a terra intendono rappresentare proprio una allegoria della pace.
Mi sembra che la polemica sia del tutto priva di senso, insensata proprio in ambito educativo, poiché oggi i ragazzi hanno bisogno di modelli di riferimento positivi, modello che oggi anche gli alpini rappresentano egregiamente, con i loro interventi a soccorso di popolazioni colpite da disastri e cataclismi, contro i quali mi pare si siano mossi ancora una volta i rètori del pacifismo fasullo.
Altro esempio di stupido politically correct: a Milano vi è una statua raffigurante una madre che allatta un neonato (che, tra l’altro, sarebbe stata oggetto di donazione da parte della famiglia dell’artista) viene ritenuta portatrice di valori “non universalmente condivisibili” (…ma quale sesquipedale cretino non condivide la maternità in quanto fatto naturale di trasmissione della vita nei mammiferi umani, e non solo?) dall’apposita commissione preposta alla valutazione e, quindi, ne viene bocciata (dai cretini, beninteso) la collocazione in un luogo pubblico.
Ricordo che a Bologna, presso porta Lame, autore Luciano Minguzzi, ci sono alcune statue di partigiani in stato di guerresca vigilanza. A mio parere una postura corretta per rappresentare la lotta antifascista, che fu anche molto cruenta, perché diversamente non avrebbe potuto essere. La legittima difesa prevede anche la violenza, senza che ciò significhi praticarla per scelta etica o ideologica.
Non mi rassegno alla deriva ignorantemente dannosa di cui qui esemplifico fatti concreti.
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Povero Alpino! Disarmato come un prigioniero di guerra in nome di una ignoranza crassa straboccante. E povera maternità corretta e rivista dalla cultura woke, che contrariamente al suo significato ci sta obnubilando l’intelligenza e il buon senso.
Caro amico mio, non mi sorprende il tuo commento, Sergio! Sono contento che tu abbia condiviso questi sentimenti e riflessioni, che sono semplici, naturali, ancor prima che patriottici. Chi critica iniziative come quella di Padova, manca innanzitutto di intelligenza, di cultura, di umanità, grazie graciis, mandi Sergio, sta ben