Il tempo e il suo senso
Del concetto di tempo, di ciò che possa essere il tempo, se possa addirittura dar-si il concetto di tempo, l’uomo pensa, scrive e discute da sempre. Personalmente ne sono stato sempre interessato, ma…
Ha senso parlare del “tempo”? Domanda retorica, comunque in questo pezzo non intendo parlare delle due nozioni forse più note (della cultura occidentale) di “tempo”, quella agostiniana (cf. Libro 11 delle Confessiones), che illustra la misteriosità indicibile del concetto “tempo”, e quella einsteiniana, con la quale, specialmente mediante la tesi di relatività generale, lo scienziato tedesco ha collegato – in modo necessario – il tempo allo spazio. Né intendo citare le visioni non-lineari del tempo, come quella platonica o nitzscheana, oppure quelle orientali dell’induismo.
Ne ho già parlato in altri post, nel tempo di questo sito, il cui inizio risale oramai al 2007, a diciotto anni fa, a partire dal primo dei quasi 1800 articoli qui pubblicati.
Questa volta e in questo luogo parlerò del tempo e del suo senso in modo strettamente personale e affettivo, interiore, nel senso che cercherò di dire ciò che il tempo rappresenta per me e in rapporto alle altre persone, specialmente a quelle che tengono a me e a cui tengo. E in rapporto con il mondo.
Tempus fugit, e ciò può generare nell’anima molta malinconia, se non tristezza, che sono due sentimenti diversi, verbalmente non sinonimici, perché la malinconia è uno stato dell’anima, mentre la tristezza è uno stato psicologico generato da eventi non positivi. Si può essere tristi senza essere maliconici e malinconici senza essere tristi. Di anima io sono un tipo malinconico, ma raramente triste, perché io lotto contro le avversità con tutte le mie forze, sempre.
Un episodio di questi giorni strani di primavera: sono in stazione, uso il treno perché per un mese mi è stata sospesa la patente in grazia di due miei passaggi col rosso nel biennio per lo stesso semaforo. Vado a chiedere un paninetto, che una cameriera ordina e l’altra lo mette in caldo. Poi, la prima dice alla seconda “è per quel ragazzo” (che sarei io); la seconda si guarda in giro e non mi vede come “ragazzo”, quasi ovviamente, vista la mia evidente maturità, suppongo. Epperò la prima mi aveva visto “ragazzo”, perché, nonostante il tumore di sett’anni fa, sono ancora un metro e ottanta per poco meno di ottanta chili, pelle del viso quasi senza rughe. Incredibile.
Dico alla seconda “sono io il ragazzo, e ringrazio anche lei che non mi vedeva tale“. Con un sorriso mi consegna il panino.
Ecco, che cosa può essere il tempo: una sorta di apparire della sua essenza senza connotazioni numeriche. Chi non conosce la mia anagrafe solitamente non mi dà gli anni che ho, eppure il mio tempo lineare in secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, anni, decenni, è trascorso. Ma in modo differente dal tempo trascorso per altri o altre.
Un altro esempio: se vogliamo parlare dell’eccidio di Schio avvenuto nell’estate del 1945, laddove i partigiani comunisti trucidarono in carcere oltre cinquanta persone che non erano state assolutamente né processate né condannate. In quel tempo accadevano anche fatti esecrabili come questo, da considerare certamente nel contesto durissimo di un dopoguerra quasi interminabile, dove i sentimenti di militanza si agganciavano a, e si confondevano, talora, con criminali sentimenti di vendetta.
In questo caso, il tempo, ben lungi dal favorire memorie condivise, che non sono possibili se prima non si concorda sulla veridicità dei fatti, è una categoria decisiva per esprimere un giudizio morale su ciò che si considera.
Ancora: i diritti al femminile. Parto semplicemente dalla data del 1946, quando per la prima volta in Italia le donne poterono votare. Sembra tanto tempo fa, ma è un soffio, rispetto anche solo ai tempi della storia: neanche ottant’anni.
E oggi come siamo? Parlavo in questi giorni con una sottufficiale dei Carabinieri che mi stava rendendo la patente di guida (che era stata sospesa per un mese come ho raccontato sopra). Lei mi stava gentilmente spiegando la procedura, mentre stampava il verbale di restituzione del documento per raccogliere la mia firma.
Nel congedarmi le feci una domanda: “Appuntato A., come stanno le donne nell’Arma?” E lei sorridendo mi ha risposto: “c’è ancora molto maschilismo, nonostante come donne siamo state accolte ormai da alcuni decenni“. Un velo di tristezza nella sua risposta così schietta. Anche qui il tempo è il tempo.
I Nomadi cantavano cinquant’anni fa “…per fare un uomo ci voglion vent’anni,/ per fare un bimbo un’ora d’amore“.
A volte, considerando ciò che accade attorno a noi, vien fatto di pensare che non bastano vent’anni per fare un uomo, qui in Occidente, mentre in Africa e in Asia a volte è richiesto di avere solo dieci anni per doversi mantenere in vita.
Anche qui il tempo è il tempo, come quello di questo scritto, che qui finisce.
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