“Devo perché devo, devi perché devi, deve perché deve”, etc. via coniugando il verbo (che è identico al sostantivo) “dovere”, o della deontologia come parte dell’etica, secondo Immanuel Kant e Giuseppe Mazzini, a confronto con le prassi contemporanee
Un episodio da me vissuto come consulente di direzione racconta, in pratica, il tema del “dovere”.
Un ragazzo appena assunto da un’azienda mostra poche settimane dopo l’assunzione un vizietto non da poco: resta assente per quattro lunedì quasi consecutivi. Viene convocato dalla Direzione del personale per parlarne. Il dirigente gli chiede la ragione delle assenze e il ragazzo replica in questo modo: “Penso di essere libero di non venire al lavoro quando non mi va di venire“.
A quel punto il responsabile del personale non risponde, ma gli dice che gli farà vedere una carta, un documento, e stampa una copia della lettera di assunzione archiviata. Si siede accanto al ragazzo (si noti il gesto che richiama una relazione inter-soggettiva di qualità) e, invitandolo a leggere il testo con lui, gli spiega il contenuto, in questo modo. “Vedi Carlo, qui leggi la data della tua assunzione, l’orario, la mansione, l’inquadramento, lo stipendio, e il richiamo al contratto nazionale e alle leggi del lavoro per tutte le altre regole e norme“. Carlo annuisce ma non capisce.
Allora il responsabile gli fa notare un passaggio nel testo della lettera di assunzione, dove si esplicita l’orario giornaliero e la presenza settimanale da lunedì a venerdì.
Ebbene, gli chiede: “Noti nulla?” Siccome il ragazzo non si esprime, il dirigente gli fa notare come nel testo sia scritto che si lavora per otto ore al giorno dal lunedì al venerdì, e poi richiama l’attenzione di Carlo sulle firme poste in calce al documento. “Vedi, gli dice, qua in fondo a destra c’è la firma dell’Amministratore e il timbro dell’azienda, e a sinistra c’è la tua firma autografa per presa visione e accettazione… ma di cosa?” Gli chiede ancora. Carlo pare come svegliarsi e risponde: “…dell’assunzione, è chiaro“.
Allora il capo del personale gli fa notare i contenuti dell’insieme della lettera, sottolineando come la firma apposta dal lavoratore sia una presa d’impegno formale e morale di rispettare tutto il contenuto della lettera, e pertanto anche l’obbligo di presentarsi puntuale al lavoro dal lunedì al venerdì all’ora stabilita e per le otto ore previste, e conclude: “E allora, caro Carlo, ti pare logico dire che tu puoi anche essere libero di non venire a lavorare?” Carlo rimane zitto. Ha capito.
Ha capito che con quella firma lui “si è LIBERAMENTE OBBLIGATO a un impegno assunto con l’azienda“, e che pertanto DEVE venire a lavorare, perché… DEVE.
Ecco come il dovere e il dover fare si collega logicamente ed eticamente alla libertà. Questo insegnava il filosofo Immanuel Kant nella sua Critica della Ragione pura pratica, dove si trova anche una frase del genere: “Agisci come se la massima (intesa come regola) del tuo agire possa costituire legislazione universale“. Come dire: comportati in modo moralmente esemplare anche per gli altri (uomini, o colleghi in qualsiasi ambiente si operi).
Nei nostri tempi, invece, sull’onda di una lunga stagione di conquista di diritti che non erano riconosciuti si è registrato il seguente processo normativo: ad esempio, in Italia certi diritti relativi ai rapporti di lavoro previsti in Costituzione, fino al 1970 erano rimasti pura lettera costituzionale, e hanno trovato applicazione solo con l’emanazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori, la Legge 300 del 1970, che ha equilibrato i rapporti tra dipendenti e datori di lavoro, che in precedenza erano nettamente squilibrati a favore di questi ultimi (anche se già con la Legge 604 del 1966, quella che dispone la normativa della giusta causa e del giustificato motivo, oggettivo e soggettivo, di licenziamento, iniziò a cambiare il trend precedente).
Un altro aspetto del senso del dovere in ambiente economico aziendale è il seguente. Un’azienda ha bisogno di lavoro straordinario o da prestare al sabato, e chiede la prestazione supplementare o straordinaria. La domanda è la seguente: i lavoratori devono sentire come un dovere irrefutabile il rispondere positivamente alla richiesta? Certamente sotto il profilo morale sì, ma con dei limiti, che sono le esigenze personali di ciascun lavoratore, perché il dovere e il dover-fare si riferisce, invece, sotto il profilo formale e giuridico essenzialmente a quanto previsto dalle norme sull’orario ordinario.
Pertanto, la direzione non-può pretendere che i dipendenti si sentano assolutamente obbligati alla prestazione ulteriore. Che si fa in questo caso? Rispondo in questo modo: occorre sviluppare e migliorare la qualità relazionale tra direzione e dipendenti con un’attività costante da parte della direzione, dei capi e responsabili e del servizio Risorse umane di un follow up motivazionale, dove si contemperino due esigenze, quella aziendale e quella individuale personale del dipendente.
Successivamente, la legittima e doverosa (si noti l’ossimoro apparente) battaglia per i diritti è andata avanti in Italia fino… fino al dirittismo, per cui ogni desiderio tende a diventare diritto, configurandosi il dirittismo come una patologia della teoria dei diritti.
In altre parole, come ho scritto più volte in questo sito e altrove, si tratta di qualsiasi tendenza socio-culturale che emerga nella società e sui mezzi di comunicazione di massa, anche se minoritaria od essenzialmente super-mediatizzata, soprattutto da posizioni di sinistra sempre meno legate al sociale e sempre più legate alle mode del momento, come nel caso dell’assurda (scientificamente e moralmente) teoria del gender, oppure come le tesi antistoriche e anti-culturali del woke e della cancel culture americanizzanti.
A questo punto dovremmo far entrare in campo, oltre a Kant, anche Giuseppe Mazzini con il suo “Dei Doveri degli Italiani“, nel quale libello il grande Genovese richiama tutti a un’attenzione più forte e costante verso ciò che costituisce la scelta morale dell’agire libero dell’uomo, che costituisce anche il fondamento della responsabilità individuale verso sé stessi e verso il consorzio umano nel quale si vive (territorio, nazione, continente, pianeta Terra e seguenti territori e spazi che l’uomo sta iniziando a visitare), cioè il Fine buono per l’uomo e la natura tutta.
Suggerisco dunque una lettura, anche sintetica, degli scritti etici di Kant e di Mazzini, le cui tesi andrebbero riprese nei programmi scolastici fin dal ciclo obbligatorio, e anche nei processi di formazione aziendale.
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