Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Finalmente lo hanno arrestato! Il signor Antonello Lovato, quello che ha abbandonato Satman Singh senza un braccio messo in una scatola, è stato arrestato per omicidio… TURPITUDINI, CRUDELTA’, STUPIDITA’, FOLLIA: 1) Alessia Pifferi abbandona la figlioletta di diciotto mesi che muore di sete e di fame per andare a trovare il “fidanzato”, e 2) una quarantottenne, Antonella qualcosa, abbandona la madre di ottantaquattro anni, non autosufficiente, che muore di stenti, 3) un padrone di terre in quel di Latina, tale Antonello Lovato, lascia un dipendente indiano assunto “a nero”, Satman Singh, col braccio tranciato da una macchina operatrice davanti a casa, non in ospedale, e quest’uomo, migrante trentunenne, con famiglia, muore dissanguato: INDIFFERENTI. Pazze, pazzo, stupide, stupido, tutti e tre crudeli, criminali? TURPI! Quanti/ quante indifferenti ve ne sono in giro? Voglio dire: quante persone indifferenti a ciò che accade nel mondo, a chi non ha più casa, a chi soffre per le guerre, a chi deve fuggire, perché dove si trova non c’è futuro? Le tre persone citate sopra sono solo la punta dell’iceberg dell’indifferenza, come vizio orribile del nostro tempo?

Nel titolo parole forti, fortissime, di indicibile rabbia personale. Mia.

Nel 1929 Alberto Pincherle, cioè Moravia, pubblicò “Gli indifferenti”, un romanzo per quei tempi emblematico, anche se non compreso, visti i tempi. Ciò nonostante la lettura di quelle pagine sarebbe salutare anche ai nostri tempi.

Moravia spiega in questo modo le ragioni della sua opera: “Essendo (io, ndr) nato e facendo parte di una società borghese ed essendo allora borghese io stesso, Gli indifferenti furono tutt’al più un modo per farmi rendere conto di questa mia condizione. […] Che poi sia risultato un libro anti-borghese è tutta un’altra faccenda. La colpa o il merito è soprattutto della borghesia.”

Potrei aggiungere che Moravia, come lui stesso scrive, era borghese ed è rimasto un borghese per tutta la sua vita, pur essendo di sinistra. Infatti, c’è anche una sinistra borghese, che oggi mi sembra addirittura prevalente rispetto a quella storica che rappresentava soprattutto le classi lavoratrici, in Italia, come negli USA, dove la base elettorale di Trump si fonda molto sui lavoratori, sugli operai (la vecchia classe che, non marxianamente, invece di appoggiarsi alla sinistra politica, si appoggia a un funambolo imprevedibile, di destra), e lo sostiene con il voto, forse paradossalmente, ma neanche tanto, perché Trump parla con (la sua) e alla pancia del popolo, e dice, spesso, urlando, ciò che moltissimi vogliono sentirsi dire. Ancora, paradossalmente, quando i suoi avversari politici, che lui apostrofa senza riguardi come “nemici”, lo bollano come razzista, sessuofobo, “cattivo” (lato sensu), fanno il suo gioco, perché lui ama sentirsi definire in questo modo, e perché chi lo vota, lo vota proprio per questo. Mi meraviglio che i tanti e potenti think thank democratici non siano, a parer mio, arrivati a comprendere questo paradosso psico-sociale e sociologico.

Brevemente torniamo alla storia raccontata nel romanzo, che qui riprendo dal web:

“I fratelli Carla e Michele Ardengo sono due giovani incapaci di provare veri sentimenti, in balia della noia (tema fondamentale, collegato alla sua opera La noia, per una comprensione totale dell’opera) e dell’indifferenza di fronte al declino sociale ed economico della loro famiglia. Mariagrazia, la madre rimasta vedova, trascorre una vita abitudinaria e legata ai clichés morali della borghesia, in uno stato di inconsapevolezza. Nel giorno del ventiquattresimo compleanno di Carla, Leo Merumeci (l’amante della madre Mariagrazia) tenta di approfittare della giovane, facendola ubriacare. Il tentativo però fallisce perché Carla si sente male e vomita.

Mariagrazia intanto, visto che l’amante la trascura, è convinta che egli abbia un’altra donna, e senza rendersi conto della situazione pensa che questa sia la sua amica Lisa. Lisa è invece invaghita del giovane Michele che, come sua sorella Carla, non è che un debole: pur insofferente di ciò che lo circonda, consapevole che Leo circuisce sua madre per impossessarsi della loro villa di famiglia, è incapace di reagire. Michele s’accorge dell’attrazione che Lisa prova per lui, quindi si lascia passivamente corteggiare, senza manifestare alcun segno di coinvolgimento sentimentale. Lisa intanto, piccata per la sostanziale indifferenza di Michele nei suoi confronti, vuole punzecchiarlo, sicché l’informa della segreta relazione di Carla con l’amante della loro madre. Michele ne rimane colpito, ma la rabbia che dimostra non è sincera: nemmeno l’immagine della sorella violata da Leo riesce a scuoterlo dalla sua indifferenza.

Comunque Michele si sente in dovere di affrontare finalmente Leo per vendicare l’onore familiare. Comprata una pistola, si reca a casa di Leo con l’intenzione di sparargli. Ne esce umiliato e perdente, poiché gli spara dimenticandosi di caricare l’arma. Per evitare che la villa sia venduta a un miglior offerente, Leo, timoroso di vanificare quanto ha cercato di ottenere, chiede a Carla di sposarlo. Carla, nonostante lo disprezzi e non lo ami, è attratta dall’idea di una nuova vita benestante e borghese che assicuri il benessere a se stessa, alla madre ed al fratello. Con freddezza accetterà la proposta di matrimonio, rinunciando al sentimento, ma forse non alla passione. Il romanzo si chiude con un finale sospeso: Carla e Mariagrazia che si recano a un ballo in maschera, con la figlia che ancora deve comunicare alla madre la sua decisione di sposare Leo.

Nel romanzo Moravia riesce a rendere con perfetto realismo le meschinità e le ipocrisie di una società, come quella della borghesia, inautentica, convenzionale, sdoppiata falsamente da ciò che ciascuno pensa e da ciò che viene detto in un clima di costante menzogna. I due giovani fratelli soffrono, ma si adattano passivamente mentre Leo, personaggio immune da qualsiasi remora o crisi di coscienza, è disposto con ogni mezzo a raggiungere i suoi scopi. Egli rispecchia, nella descrizione che ne fa Moravia, la sgradevolezza anche nei tratti fisici: coperto da precoce calvizie, rosso in volto, volgare e in preda spesso alla libidine.”

1) E ora parliamo di una “indifferente” vera, non abbiamo capito se più stupida, pazza o crudele: Alessia Pifferi, quella madre che ha lasciato morire di sete e di fame la figlioletta Diana, fragile creaturina di un anno e mezzo, lasciata sola per andare a trovare il “fidanzato”. Dopo un processo assai breve i giudici, presieduti da Ilio Mannucci Pacini, hanno condannato la 38enne all’ergastolo, e a versare provvisionali da 20mila e 50mila euro rispettivamente alla sorella Viviana e alla madre Maria. mentre il difensore della Pifferi Alessia Pontenani, aveva chiesto l’assoluzione perché “è evidente che non volesse uccidere la bambina“, affermando che Pifferi “non ha mai voluto uccidere la figlia. Esiste il reato di abbandono di minore ed è il nostro caso“. Pifferi, che già in passato aveva lasciato a casa la bimba per andare dal compagno per il weekend, “lo ha commesso più volte“. Per il difensore avvocatessa Pontenani: “non è una psicotica, ma una ragazza che è cresciuta in assoluto isolamento morale e culturale“. Da piccola “ha subito abusi, è stata vittima di violenza assistita, non è andata a scuola, ha un deficit cognitivo, è vissuta senza avere un lavoro, era in condizioni di estrema indigenza. Partorisce in un bagno, non sa di essere incinta. Una donna cresciuta in questo modo può non avere problemi?”.

La perizia psichiatrica eseguita nel corso del processo dallo specialista Elvezio Pirfo aveva però accertato che la 38enne era capace di intendere e volere al momento dei fatti. Un aspetto, questo, che è stato sottolineato anche dal pm Francesco De Tommasi, replicando che Pifferi “non ha nessun deficit“. Per il pm “c’è una sola vittima e si chiama Diana. E c’è una bugiarda e un’attrice, che è Alessia Pifferi“.
Lo stesso pubblico ministero, fuori dall’aula dopo la condanna, ha sottolineato che si tratta di “una sentenza giusta, la prima tappa per l’accertamento della verità. Ci ho sempre creduto – ha detto – e con questo verdetto hanno riportato al centro del processo la vittima“. Della stessa idea è la sorella Viviana Pifferi: “penso che i giudici abbiano fatto quello che è giusto – ha osservato -, perché per me non ha mai avuto attenuanti, non è mai stata matta o con problemi psicologici“.

L’avvocato Alessia Pontenani ha già fatto sapere che farà ricorso e che chiederà “la riapertura dell’istruttoria e una nuova perizia“. Pifferi “era molto dispiaciuta per l’atteggiamento della sorella e della mamma” le quali “quando il presidente ha detto ‘ergastolo’ hanno festeggiato“. “Alessia – ha riferito – ha pianto tantissimo“. 

Che dire? Per me: quella donna avrà pur avuto un’infanzia difficile, altri, altre la hanno avuta, ma non hanno agito in questo modo turpe, crudele, stupido. Pazza? No.

2) In questi giorni una donna, tale Antonella, ha abbandonato la madre invalida da sola in casa per andare in vacanza in Abruzzo con i figli. L’anziana, che aveva 84 anni e non era autosufficiente, è stata trovata priva di vita dai carabinieri nella sua abitazione di Montelibretti. Stando ai primi accertamenti, la signora sarebbe morta di stenti. La figlia di 49 anni è stata arrestata: inizialmente portata nel carcere di Rebibbia, adesso si trova ai domiciliari. È accusata di abbandono di incapace.

Si legge sul web: “Abbandona l’anziana madre da sola in casa a Montelibretti per andare in vacanza con i figli minori in Abruzzo. Una donna di 48 anni è stata arrestata dai carabinieri con l’accusa di abbandono di incapace; dopo che gli stessi militari dell’Arma lo scorso 12 giugno hanno trovato il corpo dell’anziana donna riverso in camera da letto; sul pavimento, coperto da un lenzuolo. Una notizia agghiacciante che lascia ancora una volte senza parole. La notizia agghiacciante fa venire in mente, a ruoli rovesciati, ad Alessia Pifferi, la donna condannata all’ergastolo per avere fatto morire di fame e di sete la figlioletta. Era partita per alcuni giorni in vacanza assieme ai figli minori.”

Abbandonata a se stessa senza acqua né cibo, l’anziana è morta di stenti. La figlia doveva accudirla, in quanto  la madre non era autosufficiente. Era partita per alcuni giorni in vacanza assieme ai figli minori. Tornata in casa ha trovato l’anziana madre già priva di vita e – senza chiamare le forze dell’ordine – l’ha coperta con un lenzuolo lasciandola in terra, leggiamo su “Roma Today”. A fare la drammatica scoperta i carabinieri, arrivati nell’abitazione di Montelibretti, in provincia di Roma, per notificare un atto giudiziario alla figlia: una donna di 48 anni poi arrestata con l’accusa di “abbandono di incapace”.

Che dire? Forse quanto già affermato sopra, né più né meno.

3) Un padrone di terre in quel di Latina, tale Antonello, figlio Renzo Lovato, lascia un dipendente assunto a nero col braccio tranciato da una macchina operatrice davanti a casa, non in ospedale, e quest’uomo, indiano migrante poco più che trentenne muore dissanguato. Il Lovato padre, già inquisito da anni per caporalato, spiega che il bracciante si era preso la libertà di usare una macchina cui non era addestrato. E la vigilanza che spetta, per morale e per legge al datore di lavoro? Lei dove era? i suoi preposti che cosa facevano?

Per il momento pare che questo signore sia stato accusato di omicidio colposo, ma l’inchiesta è in corso. Indifferenza, crudeltà, che altro? Non certo stupidità, né follia. Peraltro il lavoratore era stato assunto a nero e prendeva tre o quattro euro all’ora.

Quanti casi del genere ci sono? Quanti padroni criminali, turpi e crudeli possono a tutt’oggi operare impunemente? Vi sono delle connivenze da parte di ispettori infedeli e venduti?

Ora, tra uno osceno stracciarsi di vesti e nuovi impegni da parte di ministra del lavoro, preposti dei servizi di prevenzione (Inail, Asl, etc.), enti di controllo tutti, sindacati, vedremo che cosa succede. Nessuno prometta palingenesi, che sono primariamente oscene, quando promesse, perdio! E poi sono insulti all’intelligenza di chi la accende, e a una morale semplicemente umana.

E di tutti gli altri indifferenti a ogni cosa che possa accadere al prossimo che cosa possiamo dire?

Che termini come solidarietà, fratellanza, giustizia sociale, … sono meri flatus vocis clamans in deserto morale, sempre più vasto?

L’indifferenza, e non voglio fare fervorini inutili e sentimentaloidi, è una specie di malattia morale che pervade soprattutto chi vive bene, chi sta bene, chi non ha problemi. Si può dire che è umano rattrappirsi nel proprium privatum, se non si hanno problemi. Sì, ma è tristemente e pigramente umano il disinteressarsi di tutto ciò che di negativo e a volte di criminale accade attorno a noi. Chi poi ha responsabilità dirette, se non supera il muro dell’indifferenza, si associa direttamente al crimine.

Da ultimo, indifferenti potremmo esserlo anche noi, come consumatori di quei prodotti raccolti a quattro euro all’ora, a nero, guadagnati da persone senza diritti, che dormono in slums degni dell’Alabama ottocentesca.

Ci rassegnamo? Siamo dei rassegnati o dei protagonisti positivi del nostro futuro?

Lo dico qui ai giornalisti e ai politici che parlano genericamente di un “paese” malato di indifferenza. NO! Vi sono singole persone “non” malate di indifferenza, troppo comodo “essere malati!”, ma turpemente, crudelmente e a volte stupidamente indifferenti.

Facciamo due cose: la prima è quella di leggere o di rileggere il romanzo di Alberto Pincherle, la seconda è quella di non voltarci dall’altra parte.

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