“Fight, fight, fight”: il sangue, Dio, il pugno chiuso e l’America, una metafisica del male che può farsi o si fa (Dio non voglia) tragedia
Trump “The Donald” non è un’educanda e ora, dopo l’attentato, è quasi un eroe. Domando subito brutalmente: che forse Trump sia stato vittima di una forma di violenza anche da lui stesso alimentata con un linguaggio che usa da oltre un decennio e con i fatti del 6 gennaio 2021, quando fomentò l’assalto a Capitol Hill?
A me pare di sì, ma non solamente, perché l’America è un luogo, un soggetto socio-politico molto più complicato, per cui lo sono altrettanto le ragioni e le cause generative del fatto.
Questa è la campagna elettorale del proiettile e dell’obiettivo mancato. Lo stesso sangue che scorse dal mio orecchio anni fa quando il barbiere mi tagliò con le sue forbici. Stesso effetto fisico su me e su Trump, diversa importanza politica. Scherzo.
Ora leggo sulla stampa americana: “Trump colpito, Biden affondato“. Le cose sono molto più complesse.
(Matthew Crooks)
Portato via dagli agenti dopo essere stato colpito, “fight, fight, fight” urla stentoreamente a favore di telecamere, Donald: il sangue, Dio e l’America. E il pugno chiuso, che in quel gesto ha smesso di essere simbolo della sinistra combattente. Ecco, la metafisica del sangue e della religione! Sullo sfondo, nella foto, la gloriosa bandiera stelle e strisce degli Americani.
Del tirannicidio, perché questa ipotesi (anche) evoca il tentativo del ragazzino Matthew Crooks. Del tirannicidio si è scritto fin dall’antichità, riconoscendone spesso il valore morale. Anche Tommaso d’Aquino lo scrive esplicitamente e ne proclama la legittimità, quando un sovrano o un potente di qualsiasi genere opprima il popolo e questo non abbia altre possibilità di difendersi.
Giulio Cesare fu ucciso da congiurati aristocratici il 15 marzo del 44 a. C., tra i quali si annoverano Casca (il primo a colpirlo al collo), Decimo Giunio Bruto (legato di Cesare in Gallia, ufficiale della flotta nella guerra contro i Veneti), Marco Giunio Bruto (figlio di Servilia, amante di Cesare) e Gaio Cassio Longino e altri, per i quali era già un tiranno, perché – a loro parere – voleva instaurare una monarchia. Ipotesi non remota, ma à la “cesariana”, al modo di Caio Giulio Cesare, che era il capo dei populares, cioè del partito del popolo A volte il sovrano è invocato (storicamente) dal popolo contro i baroni, che solitamente vogliono mantenere i loro privilegi di casta e di classe.
Ricordo altri quattro omicidi di regnanti europei: nel 1871 un gruppo di anarco-socialisti rivoluzionari russi uccisero lo zar Alessandro II, nonostante fosse stato autore di alcune non banali riforme sociali; il 29 luglio 1900, l’anarchico Gaetano Bresci ammazzò nel parco della villa reale di Monza re Umberto I: voleva vendicare il popolo dell’eccidio di popolo che il generale Bava Beccaris compì nella Milano del 1898; il 26 giugno 1914 a Sarajevo Gavrilo Princip uccise l’Arciduca d’Austria Francesco Ferdinando d’Asburgo e sua moglie Sofia, il prodromo più noto della Prima Guerra mondiale; nel 1931 a Marsiglia, un nazionalista macedone assassinò il re di Serbia, Croazia e Slovenia Alessandro Karađorđević.
Il fatto che io qui citi uccisioni di persone di potere non significa che li qualifichi come tiranni (neanche Trump lo è in senso proprio); in tema porto tre esempi di capi di governo di grande livello ammazzati: il premier giapponese Shinzo Abe, il generale israeliano socialista Istzak Rabin e il primo ministro socialista di Svezia Olaf Palme, uccisi negli ultimi tre decenni.
Nella storia degli Stati Uniti d’America si registrano quattro uccisioni di Presidenti, a partire da quella di Abraham Lincoln (1865) fino a John Fitzgerald Kennedy (1963), passando per gli omicidi di James A. Garfield (1881), William McKinley (1901). Altri tredici presidenti hanno subito attentati, tra i quali i più recenti hanno riguardato Reagan e Gerald Ford.
L’America è una nazione armata: 400 milioni di armi da fuoco per 330 milioni di abitanti, più di una pistola o un fucile per persona, che significa che ogni famiglia ne possiede almeno quattro o cinque, in media.
L’America è una nazione dove il protestantesimo ne costituisce il filo rosso ideologico-morale. Trump, dopo aver guidato l’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio del 2021, ora può proclamare di essere stato graziato da Dio stesso e pertanto di essere l’uomo provvidenziale per il popolo americano.
Biden, nonostante il suo stato personale, si è mosso da grande leader.
Il suo discorso ha segnato una cesura della campagna elettorale, che finora era stata caratterizzata, da un lato dalle defaillance di Joe, e dall’altro da linguaggi di feroce e reciproca inimicizia. E’ stato un discorso da statista responsabile, che ha riportato il confronto sui binari di una possibile dialettica democratica.
Anche Trump ha annunziato che parlerà alla Convenzione repubblicana in modo differente da come aveva previsto fino a prima dell’attentato. Vedremo.
Quello che pare certo è che Trump, se era favorito prima dell’attentato per la vittoria alle prossime elezioni presidenziali, ora lo è ancora di più. Questo su un versante.
Sull’altro, i democratici devono affrontare il non-risolto tema della sostituzione di Biden come candidato, scelta difficilissima per un difficile (e ora – immaginiamo – improbabile) successo.
L’America è diversa dall’Europa, e anche dall’Inghilterra, di cui è storicamente erede, ma fino a un certo punto. Gli USA sono una nazione-bambina, fatta da Inglesi, Olandesi, Irlandesi, non molti Francesi, molti Italiani, e soprattutto Afro-Americani e Ispanici.
Gli USA sono una Confederazione di Stati molto autonomi per leggi, fisco, sanità, giustizia. Il Nord è molto diverso dal Sud fin dai tempi della Guerra civile del 1860/1865; l’Ovest è simile all’Est (di qua e di là vi sono le grandi città, solo Chicago è un po’ nel mezzo), ma c’è l’immenso Middle West, che è fatto in modo ancora diverso.
I democratici (i blu, al contrario dei colori europei), cioè la “sinistra” sono più forti nella borghesia intellettuale e accademica, mentre i repubblicani (cioè i rossi, al contrario dei colori europei) sono oramai, dai tempi di Reagan, più forti tra gli operai e gli agricoltori. Destra e sinistra sono collocati al contrario della tradizione socialista-marxiana di stampo europeo, che comunque da un paio di decenni si è profondamente modificata, assomigliando sempre più alla “sinistra” americana, privilegiando i “diritti” civili, che spesso sono solo dei desiderata culturali, a danno (a parer mio) della tutela dei diritti sociali.
Di più: i repubblicani aborrono il linguaggio progressista, la cultura woke, che invece sono di casa a Yale e a Harvard, a Stanford e a Princeton; i democratici dialogano con il mondo evoluto di cui condividono il linguaggio dell’A.I., mentre i repubblicani preferiscono la tradizione del country e dei rodei, che ancora si tengono tra il Texas e il Middle West.
La sanità che, prima il presidente Johnson e poi Obama tentarono democratizzare all’europea, è ancora pietra d’inciampo tra ricchi e poveri.
Vi sono cesure terribili tra le classi sociali, quasi simili a quelle dell’Ottocento europeo, in una società informatizzata e globale.
Tra Boston e Tucson o Abilene vi sono più differenze socio-culturali che tra Roma e Tunisi, e potrei fare decine di esempi analoghi.
In questa situazione anche i sentimenti possono essere estremi, come quelli che hanno guidato Matthew Crooks nella decisione di sparare a Donald Trump, che pochi minuti prima aveva dichiarato di odiare in un video su youtube, mi sembra.
This is America!
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