Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

L’educazione e l’eleganza, dai tempi di Petronio Arbitro ai nostri

Più o meno tutti sanno che cosa siano l’educazione e l’eleganza, almeno nel significato corrente. L’educazione è la virtù del buon comportamento verso gli altri, una manifestazione di rispetto e di riconoscimento dell’altra persona, certamente, è così; l’eleganza è la manifestazione di uno stile esteticamente gradevole nel vestire, nel gestire e nelle posture. E anche nelle espressioni. E’ un muoversi, un vestire e un parlare bene.

(Gaius Petronius Arbiter)

Tutto qui? Domanda retorica: evidentemente, no!

Etimologicamente “educazione” è un deverbale latino dal verbo e-ducere, che significa condurre-fuori, tirare-fuori. Nella pedagogia filosofica dei Padri latini, specialmente in Lucio Anneo Seneca, l’educazione è un’attività fondamentale che serve a crescere i giovani con l’istruzione e l’acquisizione di una cultura sempre maggiore, al fine di creare le condizioni per fare una vita pubblica (politica) di successo, sia in ambito civile, sia in ambito militare, che nella cultura romana si rafforzavano reciprocamente: si pensi ad esempio alla figura di Giulio Cesare, che era, nel contempo, un grande politico, un eccelso militare e un ottimo letterato.

Filippo II di Macedonia attribuì talmente tanta importanza all’educazione che chiese ad Aristotele (!!!) di occuparsi in qualità di precettore di suo figlio Alessandro. Pare che i risultati di tale educazione si videro ben presto. Altri esempi potrei citare in analogia.

Petronio Arbitro, il grande scrittore autore del Satyricon, formalmente forse il primo romanzo della cultura occidentale, era chiamato “Arbiter elegantiarum”, sia per il portamento e il comportamento che teneva in società, sia per lo stile scrittorio.

Nei nostri tempi, che sono spesso caratterizzati dalle sguaiataggini dei linguaggi parlati, scritti e trasmessi sulla grande rete mondiale, educazione ed eleganza potrebbero essere virtù da considerare primariamente.

Prima di essere implicato nella congiura pisoniana, Petronio Arbitro divenne famoso alla corte di Nerone come intellettuale e raffinato esteta e si guadagnò l’appellativo di elegantiae arbiter, una locuzione latina che tradotta significa “giudice di raffinatezza”. Petronio amava il lusso, l’eleganza e i vizi, e quando cadde in disgrazia organizzò un suicidio molto diverso e meno tragico rispetto a quelli degli altri oppositori di Nerone coinvolti nella cospirazione, lo racconta molto bene Tacito nei suoi Annales(…) non volle tuttavia rinunciare precipitosamente alla vita; si tagliò le vene e poi le fasciò, come il capriccio gli suggeriva, aprendosele poi nuovamente e intrattenendo gli amici su temi non certo severi o tali che potessero acquistargli fama di rigida fermezza. A sua volta li ascoltava dire non teorie sull’immortalità dell’anima o massime di filosofi, ma poesie leggere e versi d’amore. Quanto agli schiavi, ad alcuni fece distribuire doni, ad altri frustate. Andò a pranzo e si assopì, volendo che la sua morte, pur imposta, avesse l’apparenza di un fortuito trapasso. (…)”.

Sull’eleganza. Proviamo ad andare oltre l’accezione corrente. Può anche significare comportamenti capaci di attenzione, non solo in presenza di altri, specialmente di donne, e anche qualcos’altro? Che cosa?

L’eleganza ha a che fare con l’estetica, e questa ha a che fare con la metafisica, come manifestazione primordiale dell’essere. E viene prima dell’etica. Non confondiamo l’estetica con l’estetismo vieto di certi ambienti!

Dolce e Gabbana, come mi spiega una Beatrice bravissima, che con loro ha lavorato, sono auspici e aruspici dell’eleganza, come Valentino Garavani e Giorgio Armani. Un’altra Beatrice, mia figlia, è molto credibile in tema.

Andiamo ancora oltre.

Ad esempio: se una persona adempie per un lungo tempo valorosamente e con grande competenza ad un ruolo in un contesto associato, in un reparto militare, in una struttura ecclesiale, in una facoltà universitaria o in un’azienda, solitamente gli viene riconosciuto il titolo di “emerito”, cioè “ricordato-per-il- riconoscimento-di-un-merito”, che si dice e-merito, cioè da-un-merito. E dunque: professore emerito, vescovo emerito, colonnello che viene promosso generale all’atto della quiescenza. Sono riconoscimenti di valore.

Se ciò non accade ritengo si possa dire che chi-di-dovere, cioè il principale fruitore del lavoro della persona di cui si è riconosciuto – per comune sentire e per risultati conseguiti – un valore certo e cospicuo, è persona priva di eleganza, priva di tratti e di contenuti di eleganza, non di altro.

In realtà nessuno è obbligato ad essere elegante, ma l’eleganza si pone comunque, ed è dettata da alcuni fattori virtuosi che, se mancano, la elidono e illustrano (per modo di dire) chi-non-è-elegante, per cui manca dei seguenti fattori: l’intelligenza naturale, la gratitudine, l’umiltà, la generosità, il disinteresse, l’assenza di timore di essere negletto, o in qualche modo superato dalla persona riconosciuta per i suoi meriti, caratterizzandosi – di contro – per una gelosia tendente all’invidia, cioè il vizio in assoluto più stupido tra i vizi capitali: l’invidia è non solo il non auspicare o il non desiderare il bene dell’altro, ma addirittura l’auspicare o il desiderare il male dell’altro, senza conseguire alcun vantaggio personale.

Ebbene, abbastanza recentemente non ho percepito una particolare eleganza (ma forse mi sbaglio io) nei comportamenti di persone che avrebbero dovuto esserlo (magari anche solo per mera convenienza formale sine affectu), nei miei confronti. Pazienza.

Non mi sento per niente sminuito, perché non ho bisogno di riconoscimenti forzati o forzosi per sapere ciò che sono e quanto valgo.

Caro lettore, ti viene in mente qualche situazione o qualcuno?

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