Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Chi tra le persone che fanno politica ai nostri giorni è dotato di “gravitas”, l’antica virtù latina che significa “misura” e “compostezza”? Una virtù di cui erano provvisti politici come Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. Caro lettore, forse che individui questa virtù in qualche politico odierno? (domanda retorica, ahimè!) E che diciamo della dignitas e della veritas? Sono virtù diffuse o no?

La gravitas (in particolare: dignità, serietà e dovere) è una delle più antiche virtù romane che la società prevedeva fosse in possesso degli uomini, insieme con SeveritasVeritas e Virtus. Severità, Verità e Virtù. Nientemeno.

(l’Imperatore Cesare “Ottaviano” Augusto)

Il termine gravitas non deve essere confuso con “gravità” inteso come importanza in negativo, anche se i due termini hanno una comune etimologia: entrambi derivano infatti dal termine latino “gravis” indicante pesantezza. L’immagine iconica dell’imperatore Augusto rappresenta assai bene questa gravitas.

Proviamo ad analizzare le posture e i linguaggi attuali della politica, e poi confrontiamoli con quelli di due giganti della politica italiana del Novecento, Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, senza andare nella contemporaneità aulica di personaggi ancora anteriori a questi due, come Giovanni Giolitti, Filippo Turati, Benedetto Croce, Leonida Bissolati, don Luigi Sturzo e Antonio Gramsci, tra altri.

Prima di fare dei nomi, proviamo ad annotare sinteticamente le posture e le fisiognomie, e poi i linguaggi e i lessici dei nostri politici contemporanei.

La camminata e i gesti: è importante osservare come un uomo / una donna cammina, come deambula, direbbe il fisiatra, poiché l’atto del camminare è sintomo ed effetto assieme di come-sta-la-persona, della sua salute fisica, anzi, psicofisica. Se una persona soffre agli arti o al dorso, manifesterà una qualche zoppia, oppure, se la persona è preoccupata o impaurita, avrà un incedere furtivo e ansioso.

Ciò detto, passiamo agli aspetti che la camminata di un essere umano suggerisce sotto il profilo psicologico-relazionale. Un incedere franco e sicuro, veloce, manifesterà, non soltanto un’eventuale frettolosità dovuta agli impegni, ma forse anche, talora, un’ansia di arrivare sul posto dove è atteso per operare; un incedere ciondolante e apparentemente incerto, non tanto per difettosità fisiche, quanto per un’evidente mancanza di premure per il da-farsi, manifesterà una sorta di superficialità e nel contempo una specie di presupponenza disinteressata per il da-farsi stesso.

Esaminando lo scenario politico attuale colgo nelle varie posture alcuni esponenti di primo piano (oggi, qualificandoli “di primo piano”, ché se li confrontassimo con i due che abbiamo scelto come pietra di paragone, incorrerebbero in una figura miserrima): ebbene, un esempio degno di nota dell’incedere gradevolmente – a mio avviso – veloce, è l’on. Malan. Osservare per credere. Esempi degni di nota dell’incedere strascicato e lento sono gli on.li Bonelli, che cammina assai lentamente, cioè passeggia sempre, e Lupi, che invece si sposta di qua e di là, sempre conversando. Non che i nominati non possano o non debbano passeggiare per Roma, magari per favorire la digestione postprandiale e anche la conversazione tra colleghi, in modo da essere lucidi in aula, ma costoro non danno certamente l’idea di una solerzia premurosa per i loro elettori e per i cittadini elettori in generale. Come si vede non faccio credito ad alcuno di simpatie o antipatie relative alla mia appartenenza politica.

In queste mie osservazioni mi sono utili (ebbene sì!), caro lettore, certamente gli studi più aggiornati di psicologia della comunicazione e di antropologia generale di un Paul Watzlavick, di un Gregory Bateson o di uno Steven Pinker, ma anche alcuni aspetti della fisiognomica di Cesare Lombroso. Non va bene quest’ultimo nome? Non mi interessa. Per me ciò è opinabile.

Il lessico, la semantica e la costruzione del discorso: ai tempi di Aristotele, oppure di Cicerone e di Seneca, l’uomo politico era innanzitutto un filosofo e poi era un giurista. Era filosofo per formazione e per postura civile, era cioè uno studioso di filosofia morale, cioè di etica pratica, da cui faceva derivare necessariamente ogni sua iniziativa legislativa e giuridica. Per gli antichi il diritto si fondava, secondo la sua natura precipua, sulla filosofia morale. Oggi tuttalpiù il politico può possedere una laurea in giurisprudenza o in qualche altra disciplina, magari la svenevolissima e disutile “scienze della comunicazione”.

Oggi, in generale, i politici sono meno preparati e meno colti, non solo a paragone con i due grandi di cui sopra, e di moltissimi altri, ma non si discostano più di tanto dal linguaggio medio in uso a livello popolare. Quando, talora adontandosi se non sono troppo considerati dall’interlocutore, cercano di usare un linguaggio più forbito, quasi sempre incespicano in svarioni macroscopici o in ridicoli infortuni linguistici. Non raramente indulgono all’uso di termini poco eleganti e quasi scurrili.

Alcuni esempi di linguaggi impropri. Salvini, che, oltre ad atteggiarsi spesso a sbruffone, sembra voglia spingere via chi vuole porgergli domande scomode; Renzi, che, pur provvisto di laurea, non evita di mostrare il suo inglese maccheronico, mentre, quando avanza lieto (e a volte anche un po’ toscanamente ridanciano) per le strade romane tra due ali di persone sempre meno plaudenti, parla alla sua destra e alla sua sinistra topografica, stringendo distrattamente qualche mano, non guardando in faccia alcuno, e dando l’impressione che nulla gli cali di chi incontra; Del Mastro, viceministro della giustizia fratellitaliano, che dice non riguardargli per nulla il destino dei detenuti, ma di importargli solo quello delle guardie penitenziarie, e lo dice con un tono sprezzante e definitivo; però, che fondamenti etici di qualità lo ispirano! Di Maio, ora scomparso alla vista, ma già vice capo del Governo italiano confondeva spesso date, nomi e luoghi, come quando affermò che Pinochet era un dittatore venezuelano, e o come quando chiamò “signor Ping” il presidente cinese Xi Jinping (“ping” è un suffisso di cortesia, in mandarino). E quando andò con Di Battista, di cui nulla dirò – ma lo meriterebbe – in questa sede, a trovare, lodandoli sperticatamente, i gilet gialli francesi per la loro “capacità di proposta” (parole sue al tempo, salvo poi pentirsene). Un’altra volta affermò che la Russia non aveva sbocchi sul mare!!! Ora rappresenta l’Unione Europea per lo sviluppo delle relazioni economiche con i Paesi Arabi. Immagino le competenze storico-politiche e socio-cultural-linguistiche, nonché filosofiche e religiose che sarebbero necessarie, che quest’uomo è in grado di stanziare per un ruolo del genere. Di Conte, ex sconosciuto assurto alla notorietà d’improvviso, potrei ricordare molte piccole e scadenti vicende. Ricordo solo la millanteria di un dottorato americano mai conseguito.

Se provassi a pescare nel mare magnum del Movimento 5 Stelle, e non lo farò, potrei cogliere migliaia di gaffes attestanti l’improvvisazione politico-culturale pericolosa di quell’ambiente. E ciò vale, in diverse misure, per tutti gli altri partiti, di destra, di centro e di sinistra.

E ora torniamo a De Gasperi e a Togliatti.

Alcide De Gasperi era un cattolico trentino la cui biografia è a quasi tutti abbastanza nota e a molti assai nota, mentre di Togliatti, chiamato Palmiro, perché nato la Domenica delle Palme nel 1893 da due maestri elementari, posso qui dire la medesima cosa. Pertanto non aggiungerò un verbo in tema di biografia dei due Magni Italiani del ‘900.

Invece, citerò momenti nei quali ambedue hanno manifestato la gravitas che manca attualmente, anzi da decenni, forse da quasi mezzo secolo, almeno da dopo le esperienze di Aldo Moro, di Pietro Nenni, di Giuseppe Saragat, di Ugo La Malfa e di Enrico Berlinguer, e perfino di Giovanni Malagodi e perfino, aggiungo, di Giorgio Almirante, “repubblichino”, ma capace di distinguere chi era provvisto di gravitas da chi non lo era (Almirante, avversario storico di Berlinguer, andò alla camera ardente a rendergli omaggio). Senza che niun si scandolezzi (aulico per “scandalizzi”).

Ricordo il De Gasperi che alla Conferenza di pace di Parigi nel 1946 esordì più o meno con queste parole, in un’aula dove la freddezza verso l’Italia ex fascista sconfitta si percepiva ovunque: “Mi rendo conto che voi, Signori, mi rivolgete la vostra attenzione con una comprensibile freddezza, che è temperata solo dalla Vostra personale cortesia verso la mia persona“.

E poi, cercò, riuscendoci, a far percepire l’Italia non come il Paese ex fascista sconfitto e desolato, ma come un Popolo che comunque meritava rispetto e fiducia per una rinascita. Solo un esempio fra innumerevoli, nei quali il grande Trentino ebbe la forza e il merito di battersi con forza e dignità su tutti i fronti, senza mai perdere di vista una compostezza e una dignità di fondo, che era sua, ma che rappresentava l’Italia migliore.

Ricordo il Togliatti che visse a Mosca per oltre un decennio riuscendo a non farsi travolgere neppure nei periodi più bui dello “stalinismo”, rimanendo vivo (!!!), impresa non facile e riuscita a pochi che vennero a contatto con la paranoia staliniana. E poi guidò i comunisti italiana sul terreno della democrazia parlamentare, calmando gli animi dei più “militanti”, quando tale Pallante gli sparò per ucciderlo, e assieme a De Gasperi e a Gino Bartali salvò la Patria Italia da più gravi e possibili sventure.

I due grandi Politici e il grande Campione di ciclismo furono il migliore esempio di una Italianità ancora capace di far capire al mondo che questa Terra Benedetta non era scomparsa nell’abiezione dopo il vergognoso ventennio del razzismo e dell’alleanza con il caporale Adolf.

Gravitas, dignitas e virtus dovrebbero essere di nuovo l’orizzonte nel quale riprendere ad esercitare il pensiero critico , oggi in gravissime difficoltà mentre subisce l’attacco della subcultura del politically correct e woke, e la lotta contro la strettamente connessa ignoranza diffusa, che è “tecnica”, nel senso che molte persona parlano senza conoscere i fondamenti degli argomenti che citano, diventando poi (l’ignoranza “tecnica”) ignoranza “morale”, quando dagli errori dell’agire sbagliato derivano danni per le persone e per le comunità civili.

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