Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Una asimmetria inutile e, ciò che per me è ancor peggio, noiosa, quella tra Meloni e Schlein

Si comprendono i ruoli diversi e per certi aspetti opposti, quello di governo (Meloni) e quello di opposizione (Schlein), ma trovo inutilmente retorici, e per me molto noiosi, gli aspetti oppositivi della loro trombonesca narrazione, rispettivamente, quella di difesa della “Nazione Italiana”, laddove l’uso del lemma “Nazione” è a volte sostitutivo del più generico, di derivazione anglo (country) – germanica (land) “Paese”, o dell’istituzionale “Repubblica”, oppure dello storico-romantico “Patria”, e quella dei “diritti”, dove ogni desiderio diventa diritto, anche quando è (almeno, se non chiaramente) assai discutibile sotto il profilo etico o politico o culturale.

(il politico odierno è frantumato come la politica)

Da uomo incolcucabilmente (avverbio bruttino ma veridico) di sinistra, storica e socialista, non mi sento rappresentato da Schlein, che non era neanche nata quando io già “pensavo socialista” (per che cosa significa tale sintagma); da uomo di sinistra non posso stare dalla parte di un governo di centro-destra. Un bel dilemma, anzi un bel problema per me, perché dilemma sembrerebbe essere un ambito logico nel quale si può scegliere tra due posizioni, mentre io non mi riconosco in alcuna delle due disponibili oggi. Dovrei sentirmi vicino al PD che tiene dentro (assai malamente) ciò che resta della tradizione precedente del pensiero progressivo, sia laico-socialista, sia cattolico. Ma non sento assolutamente questa vicinanza. E non la sento da ben prima di Schlein. Forse c’è stato un momento per me abbastanza positivo ai tempi della segreteria Veltroni, che rinunziò al ruolo, per me ancora incomprensibilmente, dopo aver ottenuto con il “suo” PD il 33% alle elezioni politiche del 2008.

Il seguito è stato un deliquio di incertezze e contraddizioni. Le segreterie di Epifani, di Franceschini, di Bersani, di Renzi e di Zingaretti (non so se le ho poste in ordine temporale) sono state un continuo recedere da una visione riformista coerente. Ricordo che un D’Alema oramai “rottamato” da Renzi, ebbe a dire che quasi c’era da rimpiangere Bettino Craxi, in fatto di leadership. Di Renzi dico questo: è stato quello che ha portato il PD al 40 e passa per cento, ma è anche quello che tutt’oggi cammina tra le folle parlando con lo specchio, con movenze da divo (Alain Delon che era uomo assai-assai-assai più bello e piacevole di Matteo Renzi, non s’è mai visto camminare come l’uomo di Rignano sull’Arno, anche se, fosse stato stupido, l’attore francese ne avrebbe avuto un certo titolo, faccio per dire) e presunto vate di una presunzione destinata alla sconfitta. Ora si vanta di avere fatto cadere i due governi Conte, ma si tratta (se ne faccia una ragione) di assai scarsa gloria.

Far cadere Conte non stata un’impresa, né la prima né la seconda volta, stante la confusività politica del Movimento 5 Stelle e la mediocrità dello sconfitto, anche lui noto per insopprimibile vanità presuntuosa, e aspirante – sine ulla spe – alla dominanza a sinistra. Non lo voglia mai Dio.

E allora torno a Schlein. Quando il PD la ha scelta, anzi no, la ha fatta scegliere dalla “società civile”, questa informe entità sacralizzata ingenuamente dai fautori dei dirittismo a ogni costo, mi sono accorto dei suoi enormi limiti politici e culturali. Neanche da paragonare agli ultimi epigoni degni di nota e ricordo, già sopra citati, i “dioscuri”, per “disturbare” la mitologia greco-latina, D’Alema e Veltroni, a loro a volta piuttosto mediocri rispetto ai loro predecessori (Berlinguer, Nenni, Lama, Craxi, Ingrao, lo stesso Napolitano, Pertini, per tacere di decine d’altri…).

Oggi stare da una parte o dall’altra per molti è un dilemma. Per me, non tanto essere di sinistra, posizione da cui mai defletterò, ma stare con la sinistra attuale, è oggi difficilissimo, perché non riconosco più la mia casa, che non può essere quella di una Schlein (lo ho spiegato sopra), né quella della coppia molto ciondolante per le vie di Roma (più o meno come il sotto citato Lupi) Fratojanni&Bonelli, inutilmente radicale, e non nel senso pannelliano, i cui epigoni sono anche peggiori di questi due per arroganza e strafottenza (cito per questa tipologia la neo deputata europea Benedetta Scuderi, che ho ascoltato in tv utilizzare toni irridenti verso un interlocutore e ho pensato: speriamo di non avere mai governanti come questa gradevole giovane signora), né quella degli eredi del grande Marco abruzzese (Riccardo Magi a me sta antipatico anche nell’incedere, prima ancora che nell’eloquio), né di Calenda, sempre pariolino nel suo lessico ritrito dove l’uso pletorico dell’aggettivo “serio” e derivati prevale di gran lunga su qualsiasi eventualmente utile concetto politico esplicitato, né di Renzi, di cui non apprezzo posture e comportamenti (vedi sopra). Non cito altri pidini per me insopportabili, come l’ex presidente della regione Friuli Venezia Giulia o FVG (come la chiamava lei, perché per questa signora la mia regione era solo un acronimo) per carità di patria.

Tornando dall’altra parte, ma solo per la cronaca, trovo il “moderato” ex democristiano Lupi, che stancamente ciondola per le vie della capitale, e altro non pare faccia, trovo Salvini che non è mai riuscito ad uscire dallo stile sguaiato e latrante ad imitazione del primo Bossi, ma di cui non possiede il carisma, e trovo Meloni, che ha “studiato” i dossier e li studia, da perito turistico, ed è circondata da una congerie di mediocrità che la fanno perfino brillare di luce propria: tipologie umane e politiche mediocrissime come il suo ex cognato Lollobrigida, come Del Mastro, come l’arrogante Santanché sono l’espressione di un partito del (quasi) trenta per cento che usufruisce ancora del lascito obiettivamente meritorio di Alleanza Nazionale, opera del fin troppo vituperato Fini, capace di tirarlo via dalle macerie del fascismo almirantiano. Dopo la triste e ridicola “vicenda Sangiuliano”, Meloni è riuscita in un’altra cappella che rasenta il teatro dell’assurdo, la nomina di un ministro alla cultura sine laurea (ma questo non è un problema), che parla come se dovesse (per forza) mostrare di essere in possesso di un raffinato Dottorato di Ricerca (PhD) in epistemologia, o filosofia della scienza, conseguito con due relatori à la Carmelo Bene quando scherza, e come Dario Fo quando non scherza (oppure il Celentano di prisencolinensinaciusol), il Signor Giuli, manifestamente affetto da un gravissimo complesso di inferiorità nel confronti del mondo radical chic di sinistra. Non di Gramsci, che comunque cita a sproposito.

E intanto gli Italiani stanno sempre più diventando un popolo di egoisti disattenti e auto-centrati, indifferenti alla politica, per cui oramai va a votare uno su due.

Una situazione che dà da pensare.

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