Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

I tre tipi di “padre” rimasti (dopo la morte omicidiario-eutanasica del “PADRE”) nella società contemporanea, nella cultura e nella politica. In generale, il “padre”, da qualche decennio, è stato sostituito dallo smartphone, ora coadiuvato dall’Intelligenza Artificiale! Occorre condividere bene questi concetti perché di questi tempi le parole sono sempre più semanticamente confuse come ad esempio: genocidio, su cui girano idee manichee, come il parallelismo semantico tra l’innominabile, ma fatta-da-esseri umani, Shoah, e le tragicissime stragi di Gaza. Bisogna stare molto attenti alle parole che si usano, perché “le parole sono le cose”. La dico in inglese: WARNING!

Per “padre” correntemente si ritiene, in ambito umano (homo sapiens sapiens) la struttura bio-fisico-psico-spirituale di sesso maschile (il mas, maris latino), possedente gonadi in grado di produrre cellule rigenerative della specie – detti spermatozoi (vale a dire “vivente-animale”) – utilizzabili in atti istintual-culturali cui si dedica al fine (c’è dunque un fine nella sessualità o attività erotica) di evitare l’estinzione della specie stessa. Solitamente provando piacere, siccome la natura è sapiente, a differenza di molti umani dei tempi nostri (parlo dei wokisti, del cancelculturalisti, dei politicallycorrettisti, di quelli o quelle che ballano sui carri allegorici LGBTQ+RSFGHKIMNERT etc.), che son non poco stupidini/e, ovver masochisti anzichenò.

Il primo tipo di padre è quello di un uomo che picchia la sua compagna/moglie/donna e i figli/figlie (senz’altro “alla bisogna”, dice lui, se qualcuno gliene chiede ragione) quando torna a casa, anche se non è ubriaco, che comanda sempre su tutto e tutti coloro che vivono con lui, che rutta rumorosamente dopo aver bevuto un paio di birre da 0,66, indugiando senza tema di far brutta figura anche negli altri rumori corporali, che torna a casa quando vuole ma pretende che tutti gli altri familiari siano a casa per le 7 di sera, che usualmente non si lava, per rispetto dei suoi familiari e di sé stesso, che può frequentare qualsiasi altra persona (donna/uomo/trans) oltre alla propria compagna/o/donna/moglie/uomo/trans/, pretendendo che questa/o/schwa (come puoi constatare, caro lettore, sono politicamente correttissimo, ma con conati di vomito spirituali) non lo faccia a sua volta.

Spesso ha nome, ad esempio, Pietro (Petrus, Pierre, Pedro, Peter, Petar, Piotr…) (mio papà nulla c’entra in questo caso) oppure Cesare (Caesar, Cesar, Csar-Zar, Kaiser…) perché i suoi genitori, quando è nato maschio, hanno pensato di evocare con il nascituro il simbolo della grande politica chiamandolo come il più grande capo della Storia politica e militare, Caio Giulio Cesare, oppure con il simbolo della più grande struttura religiosa della storia, chiamandolo come il suo primo capo, la Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana, cioè Pietro. Perché è nato maschio, masculus, musculus, guai se fosse nata una femmina! Ovviamente siamo collocati nella Kultur occidentale, ma altrove è anche peggio, con altri termini e altre semantiche sociologiche, come vedremo più avanti.

Ancora: questo padre è uno che decide se vendere o comprare beni familiari, che gestisce finanziariamente quanto la moglie/donna/compagna ha portato in dote, che decide quale scuola faranno i figli e le figlie, anzi, prima del “che scuola”, semmai andranno a scuola, che decide quale tipo di risposte si devono dare a chiunque inter-loquisca con qualcuno della famiglia, che non si “confronta” mai su nulla, che non discute, che non dialoga mai con i propri familiari, che decide, che comanda, che definisce, che dà e toglie la parola, che-ha-sempre-ragione in qualsivoglia momento e situazione, in famiglia (quel tipo di famiglia), che possiede anche lo ius capitis (il diritto di togliere la vita) sui familiari, che, infine – però – è anche – talvolta – capace di combattere per difendere i suoi familiari, …e potrei continuare a lungo.

Domanda: esistono ancora padri di questo genere? Ebbene sì: in alcune culture patriarcali presenti in ambienti tribali, in alcuni di religione islamica, in alcuni ambiti popolati in isolamento assoluto o quasi, et similia. Ma anche dalle nostre parti. O no? Basti pensare che in Italia quasi il 70% degli omicidi si consuma in ambiti familiar-parentali o affettivi (per modo di dire). Ho in mente come te, caro lettore, il nome di vittime, ragazze e donne del nostro tempo, e non li riporto qui.

Che cosa salviamo e che cosa buttiamo di questo tipo di padre? (sempre che vi sia qualcosa da salvare).

Vorrei dire: nulla. Ma forse salviamo – in parte – solo il suo coraggio di combattere per difendere i propri familiari, anche se lo fa prevalentemente per orgoglio e gelosia. Null’altro.

Questo tipo di padre non è un buon educatore.

(San Pietro)

Il secondo tipo di padre si chiama (talvolta) Poldo oppure Mansueto (si noti che nei due nomi non vi sono “erre”, consonante robusta ed evocante forza, di per sé, ma sto un po’ scherzando), ed è sempre disponibile a tutto, non comanda, cede sempre, accetta chiunque in qualsiasi situazione anche suo scapito, dà sempre ragione a moglie/compagna/donna e figli/figlie, è morbido nei tratti formali e obbedisce sempre al suoi superiori senza discutere, si avvale quasi sempre della facoltà di non rispondere, annuisce anche quando non è d’accordo, ritiene che votare sia solo un dovere, non anche un diritto, porge l’altra guancia anche se potrebbe evitare di farlo, è un po’ vigliacchetto,…

Che cosa salviamo e che cosa buttiamo di questo tipo di padre? (sempre che vi sia qualcosa da salvare).

Salviamo qualcosa? NULLA (a mio avviso).

Questo tipo di padre non è un buon educatore.

(Caio Giulio Cesare)

Il terzo tipo di padre, che si chiama in qualsiasi modo, è consapevole di sé nel mondo e tra gli altri, si rende conto – ogni giorno che viene – del valore di sé e degli altri, cerca di difendere sé stesso e i propri cari – senza arroganza – nel mondo, cerca di interpretare il proprio ruolo alla luce delle conquiste culturali e morali anti-autoritarie post ’68, che a volte non conosce neppure, ma gli sono proprie, intrinseche, si occupa sempre del mantenimento della propria famiglia, non alza le mani su moglie/donna/compagna e figli/e, si informa sul cambiamento culturale che riguarda figli e figlie, è disponibile all’ascolto ma giustamente pretende di essere ascoltato, è curioso su tutto e su tutti e quando può aiuta gli altri senza sentirsi un eroe…

Che cosa salviamo e che cosa buttiamo di questo tipo di padre?

Penso che si possa salvate tutto, ma non perché questo modello sia perfetto, perché nulla è perfetto (ed è cosa buona) nell’umano. La perfezione è un po’ la fine, lo dice la parola stessa: perfectum in latino significa anche “finito”. Lasciamo sempre spazi di miglioramento alle cose umane.

Questo tipo di padre è un buon educatore.

Chi o cosa è intervenuto per modificare in questo modo il concetto e la figura del “padre”, sia in senso positivo sia in senso negativo? La risposta: il ’68 e dintorni, in tutte le sue sfumature. La Rivoluzione culturale del 1968.

Affermazione scandalosa questa mia, e incomprensibile soprattutto tenendo conto delle mie opinioni politiche? Direi proprio di no, anche solo perché antepongo sempre il pensiero critico-filosofico all’appartenenza politica, metto sempre prima la documentazione storico-critica e la logica argomentativa davanti all’appartenenza ideologica, che per me non deve mai diventare ideologismo, pena la perdita di vista della realtà. Perché si deve sempre partire dal REALE, non dalle proprie opinioni e passioni. O no?

Il ’68 ha avuto il merito di sconfiggere l’ipse dixit, cioè il “lo dice lui (e se lo dice lui è vero)”, che proveniva da tempi ancestrali, e quindi anche l’ipse dixit del “padre” omnipotente, ma anche di altre figure primarie di cui dirò brevemente dopo.

Di contro, oggi a distanza di oltre mezzo secolo, a mio avviso, si può dire che quella indispensabile Rivoluzione Culturale, che però non ha agito ovunque nel mondo allo stesso modo (non in Cina, dove è stata ben altro pur chiamandosi allo stesso modo, non in Russia, non in Corea del Nord, non nelle nazioni africane in larga parte gestite da élite formate a Oxford, a Harvard o alla Sorbonne, che sono state e sono largamente corrotte, e a volte tribalmente crudeli, non in molti paesi musulmani, dove la “paternità” è ancora pura oppressione e violenza), ma solo nell’emisfero “occidentale”), ma ha, assieme con la democratizzazione dei rapporti, finito con l’indebolire la specificità e l’autorevolezza naturale, semantica, della figura del padre.

Filosoficamente, a mio avviso, si può far risalite a molto addietro i prodromi di questa prevalenza dell’io-giudicante, anche oltre la logica del realismo, a René Descartes. Il grande pensatore francese, filosofo e matematico, ha avuto il merito storico-culturale, assieme con altri grandi più a meno a lui contemporanei, come Galileo galilei, Francis Bacon, e poi Johann Gottfried Leibniz, Baruch (Benedetto) Spinoza e Isaac Newton, di separare (sempre da buon cristiano) la teologia dall’antropologia e della politica, togliendo alla Bibbia il senso di essere la fonte di ogni sapere umano, per collocarlo nella nuova antropologia, nella nuova scienza, ma soprattutto – più in generale – nelle facoltà intellettuali dell’uomo. Ciò facendo, però, l’uomo ha fatto della nuova libertà individuale, soprattutto con la lezione dell’idealismo ottocentesco ispirato all’illuminismo, un assoluto. l’IO è diventato un assoluto prendendo il posto di Dio, come in Hegel, in Fichte e in Schelling, meritevoli di ogni ammirazione, ma da “maneggiare” con cura e rispetto, anche per le loro ispirate conseguenze come ciò che segue: l’antropologia marxiana, idealista fin nel profondo, pur sostituendo il singolo con il collettivo e il benessere individuale con il benessere collettivo, si è illusa e ha illuso che l’uomo potesse uscire (emergendo e nobilitandosi) dalla sua propria natura, che è anche istintuale, oltre che razionale, ricercando la giustizia sociale assoluta, anche a costo della libertà (il comunismo).

Si è posto di nuovo il tema del bene e del male in termini manichei, cioè nettamente separati nell’uomo e tra gli uomini, che Agostino aveva superato con la sua intelligenza razionale, 1600 anni prima.

Altrimenti detto: vi sono uomini (e donne etc.) buoni e vi sono uomini (e donne etc.) “cattivi”, o meglio dire, malvagi. In toto, in assoluto. E ciò può apparire plausibile, se ci riferiamo a certe figure storiche abbastanza vicine ai nostri tempi, nomi noti pressoché a tutti, ma non basta. Propongo un esempio estremo: nell’ambito della struttura sanitaria nazista, che era ferocemente razzista e disumana (si pensi al tristemente celebre dottore Mengele), aveva nei propri ranghi anche persone che non hanno accettato tale disumanizzazione e hanno agito di conseguenza pagando con la vita. Stricto sensu non si può dunque dire che tutti i medici nazisti erano malvagi, o totalmente malvagi. Un altri esempio, per non parlare dei gulag staliniani o del genocidio cambogiano perpetrato da Pol Pot e dai suoi mezzo secolo fa, voglio pensare che nel regime dell’orrendo dittatorucolo coreano del Nord vi siano anche persone che conservano un minimo di umanità nei loro comportamenti carcerari.

Vado oltre: sono convinto che anche nel più bieco e violento essere umano, vi sia un residuo lume di umanità in particolari situazioni. Per questo si deve sempre dire se si tratta di filosofia morale o di etica generale che “il bene e il male sono nell’uomo”, come strutture intrinseche alla sua natura. Dopodiché bisogna lottare fino alla fine dei nostri giorni per far prevale il bene sul male.

Per questo i nostri Padri e Madri costituenti hanno scritto nell’articolo 27 della Costituzione repubblicana che la pena comminata, la sanzione, deve tendere al recupero morale e al reinserimento sociale dell’individuo, sottintendendo che la pena di morte è disumana e inutile.

Il non-positivo della cultura “moderna” è stato, ovviamente, non l’abbandonare le Sacre scritture come fonte di conoscenza umana (si veda in proposito il ritardo del mondo musulmano, che ancora fonda il proprio sapere socio-politico e morale sul Corano!), ma l’abbandonare l’oggettività del reale, la sua ex-sistenza (e sussistenza) anche indipendentemente, cioè non-in-relazione con l’essere singolo, con me e con te, caro lettore. In altre parole, il mondo esiste anche prescindendo da me e da te, non solo nella-misura-in-cui (espressione sessantottina di scarso valore semantico). L’idealista cartesian-hegeliano (perfino nella modalità estrema del vescovo George Berkeley, per il quale la realtà era l’essere-percepito: esse est percipi) può dire che se l’uomo non conosce individualmente il mondo è-come-se il mondo non esistesse.

Trovo che l’idealismo sia stato un pensiero sublime, epperò connotato da enorme arroganza.

In ciò, la cultura post-sessantottina da una ventina d’anni è ulteriormente aiutata dalla orrenda sub-cultura woke, che ci vuol fare diventare imbelli e senza “attributi” (mi si perdonino gli scivolamenti linguistici ad imum, ma non riesco a mantenere costantemente toni alti, quasi “scientifici”).

Dopo il “padre”, vi sono altre tre figure che iniziano con la “p”: il prete, il padrone e il professore, tutte e tre figure diversamente in crisi come quella del padre.

Il prete è diventato, dopo il pure ultra necessario Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, che ha aperto la Chiesa cattolica al mondo – in molti casi – più un operatore sociale che un uomo spirituale e maestro di morale (caro lettore, non vi è nulla di lefebvriano, ovviamente, in queste mie affermazioni!);

il padrone ha dovuto ammettere (giustamente) che i suoi dipendenti hanno diritti che fino al 1966/1970 (Leggi sulla Giusta causa di licenziamento e Statuto dei diritti dei lavoratori, Leggi sulla sicurezza del Lavoro, etc.) non erano riconosciuti. E questa è stata buonissima cosa;

il professore, i maestri, i docenti in genere, dalle scuole medie all’università hanno perso, non soltanto la prepotenza dei tempi passati, e questo va bene, ma anche la dignità del ruolo di educatori adulti, in una riconoscibile differenza antropologica e funzionale, che non pochi allievi e genitori di questi, altrettanto e più colpevolmente ignoranti, non riconoscono più, fino al punto da aggredire malcapitati mal pagati e impauriti.

Molte cose sono andate oltre il necessario, aprendo la strada alla confusione linguistico-semantico-filosofica del woke, e a comportamenti assurdi. In nome e nello strumento dello smartphone, nuovo padre del/nel nostro tempo. Vero satàn, diàbolos, cioè separatore degli uomini, se non viene usato come strumento. Cos’ì come la sua sorellina Intelligenza Artificiale.

Lo scrivo e lo ripeto ancora, annoiando anche me stesso. Lavorerò contro questa deriva finché ne avrò le forze e fino a quando sarò a questo mondo, facendolo soprattutto per i giovani di oggi, a partire dalla mia Beatrice.

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