La “PAURA DELLA LIBERTA'” dell’Occidente, che né destra né sinistra comprendono, rischiando – ambedue – di esserne travolte come distinte storie politiche, entrambe frutto del ‘900, come secolo di conflitti civili, guerre dichiarate e no, rivoluzioni, stragi e disastri politici e naturali, ma anche di conquista di diritti umani insiti nella struttura ontologica dell’uomo stesso e nei principi etici dove si prevede che l’uomo sia sempre considerato un fine e mai un mezzo del suo proprio “agire” (e “pensare”, atto volitivo troppo spesso negletto)… anche per un confronto con il nobile nihilismo classico, moderno e contemporaneo
C’è un fantasma sconvolgente che vaga per l’Occidente, e si percepisce nel resto del mondo, anche se in modo differente, quasi in analogia a quel fantasma che nel 1848 vagava per il mondo, quello del comunismo, come allora annunziarono i “compagni” Karl Marx e Friedrich Engels.
Il fantasma, che oggi circola ovunque, è la “PAURA DELLA LIBERTA'”. Sembra assurdo, ma è reale.
Intellettuali vari, università prestigiose (soprattutto americane), femministe e docenti, opinionisti e altri parlanti, pare – invece di apprezzare il risultato di una conquista epocale, anche se non ovunque presente e diffusa, la libertà, – amino il nulla degli estremisti, soprattutto quando attaccano Israele, confondendo i vari fattori in campo, ignoranti di che cosa sia stato e sia il sionismo, evidentemente antisemiti, di destra e di sinistra (come è sempre storicamente stato), che su questo sembrano saldarsi in coalizioni rosso-brune assai inquietanti, (Israele) che è un Paese libero ed è l’unica democrazia presente nel Vicino (non Medio, perdio!) Oriente.
Ciò dicendo non taccio su ciò che sta succedendo al Popolo palestinese, vittima sacrificale prima di tutto del terrorismo islamista e poi del militarismo di Netaniahu, che rappresenta malamente l’eterna paura di Israele di non farcela a sopravvivere. Si pone sempre il caso di trovare un equilibrio tra legittima difesa propria e tutela della vita degli altri. Ma non confondo le lacrime di dolore per chi colà perde la vita con il giudizio politico su tutto il caso.
Il “nulla”, in senso filosofico, è l’ambiente essenziale del nihilismo, dei nihilisti, di coloro che, come il defunto capo (o vicecapo) di Hamas, Isma’il Haniyeh, amano la morte, piuttosto che la vita, dicendolo apertamente. Ricordiamo infatti, le sue aperte dichiarazioni in questo senso dopo la reazione di Israele al terribile, vergognoso, criminale pogrom del 7 Ottobre 2023: “Noi amiamo la morte, noi vogliamo che muoiano uccisi vecchi donne e bambini, perché in questo modo aumenta nel mondo l’odio per Israele“. Riporto quasi alla lettera.
Queste persone amano il dolore e la sofferenza, ma quella degli altri, in funzione dei loro obiettivi politici. Si tratta di una forma di nihilismo, ma assai diversa da quello storica, che mantiene una sua notevole dignità culturale e filosofica. Vediamo.
Il nihilismo storico.
Il termine nichilismo, o nihilismo (dal latino medievale nichil, “nulla”), nella lingua tedesca Nihilismus, fu adottato in Germania dalla fine del XVIII secolo nell’ambito della polemica sulle conclusioni della filosofia di Kant; si diffuse in seguito ampiamente con la pubblicazione della lettera di F.H. Jacobi a J. Fichte del 1799 nella quale propose una critica abbastanza radicale di ogni filosofia che pretendesse di possedere un reale contenuto di verità.
Nella comune accezione, nihilismo significa anche rinunzia a ogni possibilità di riforma positiva delle cose e del mondo umano, delle sue istituzioni e dei suoi valori. Così come si pone produce un sentimento disperante e privo di senso.
Il nihilismo è però assai vario nelle accezioni e nei movimenti politico-culturali che lo riguardano. Storicamente, il nihilismo non è stato solo ciò-che-è-diventato più recentemente, ma ha avuto spesso enormi qualità teoriche e morali di carattere filosofico e teologico, come nel caso originario della sofistica (cf. Gorgia) e delle filosofie scettiche dell’antica Grecia, in seguito della mistica renana del XIII secolo di un Meister Eckhart, oppure, più vicino a noi, nelle dottrine di un Arthur Schopenhauer o dello stesso nostro grande filosofo-poeta Giacomo Leopardi e il suo pessimismo cosmico, con i “corollari” successivi di figure come Martin Heidegger, di Louis Ferdinand Céline, di un Max Stirner, di un Emil Cioran, di un Friedrich Nietzsche, di un Albert Camus.
Per curiosità del lettore, riporto di seguito una frase del famoso sofista Gorgia, che attesta uno scetticismo formidabile:
«Nulla è; se anche qualcosa fosse, non sarebbe conoscibile; se anche qualcosa fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile agli altri.»
Un altro filosofo greco antico, Egesia di Cirene di scuola cinico-scettica, scriveva:
«La felicità è […] irrealizzabile. Vita e morte sono da prendersi senza preferenza […]. Per l’insensato vivere può essere vantaggioso, per l’uomo saggio indifferente.»
Si potrebbero in qualche modo poi includere tra i teorici del nulla anche alcuni autori medievali di primo livello come Fredegiso di Tours (VIII sec.), che fu allievo di Alcuino di York, il quale nel suo De substantia nihili et tenebrarum ritiene che il nulla esista, non distinguendo il concetto tra la sua dimensione logica e quella metafisica, e che quindi debba avere una sua sostanza; Giovanni Scoto Eriugena, che nel IX secolo inizia il terzo libro del suo De divisione Naturae con la Quaestio de nihilo tentando un’interpretazione che soddisfi la filosofia greca e la teologia cristiana; richiamo di nuovo il teologo mistico renano Johannes Meister Eckhart (XIII secolo), che nel suo radicale e assoluto misticismo afferma che Dio e il nulla, «l’angelo, la mosca e l’anima» sono la stessa cosa. Intesi nel senso di “nulla-d’altro”.
Anch’io, dunque, e tu, caro lettore, siamo “nulla”, in quanto “non-noi-stessi”. Consola il fatto che io sia “non-Renato”, perché ciò mi convince di esistere e di avere avuto in dono dai miei genitori (e da Dio creatore) il mio essere fragile e resistente.
Anche Leonardo da Vinci ebbe in un caso scrivere nel suo Liber de nihilo (1509); «Infralle cose grandi che infra noi si trovano, l’essere del nulla è grandissimo».
J. G. Leibniz nel XVII secolo si avventurerà nella definizione del nulla quando si chiederà in francese: «Pourquoi il y a plustôt quelque chose que rien?», trad.: «Perché esiste qualcosa invece che il nulla?» rispondendo: «le rien est plus simple et plus facile que quelque chose», trad.: «Perché il nulla è più semplice e più facile che [concepire] qualche cosa»
Mentre l’inglese Thomas Hobbes, noto filosofo scettico e un po’ cinico, diversamente scriveva: «Dopo la morte, il nulla; e nulla è la morte».
Abbiamo già (supra) citato alcune linee di pensiero relative al nihilismo teorico, moderne e contemporanee interessanti (che ora riprendiamo in sintesi), come successe dopo il periodo dell’Illuminismo con la lettera di Jacobi a Fichte che è del 1799, nella quale il filosofo tedesco in qualche modo “accusava” il Trascendentalismo di Immanuel Kant, che risolveva il tema dell’essere-delle-cose, quasi dissolvendole con il concetto della fenomenicità (del phainòmenon, o cosa-che-appare) contra la fatticità del noùmeno, o cosa-che-è-(cf. Critica della Ragione pura, in molti passaggi).
Rimanendo in “zona” crono-filosofica, troviamo Schopenhauer, che ne Il mondo come volontà e come rappresentazione (1819) cercò di proseguire nella linea teorica aperta da Kant, dicendo chiaramente e nettamente che i fenomeni percepibili dai sensi umani sono “pura-apparenza”, mentre solo la “volontà” esiste veramente, soprattutto quando si nega come noluntas (dal verbo latino nolo, cioè non-voglio). Il paradosso del gran tedesco richiama l’esigenza di una riflessione dell’uomo sulla (pressoché contemporanea) verità/falsità di tutto ciò che è percepito dall’uomo stesso, che non-può cogliere la verità (tautologicamente) vera della realtà, poiché essa si manifesta (come suggerisce l’antica sapienza filosofica indiana, con l’immagine del Velo di Maya), in quanto pura illusione, parvenza, quasi oggetto onirico della rappresentazione sensibile.
Tale ispirazione orientale si può anche connettere con l’eterno platonismo della cultura filosofica europea, che era – ai tempi di Schopenhauer – in forte contrasto con lui, per il tramite dei grandi autori dell’idealismo germanico, come Hegel, Fichte e Schelling. Il mondo delle idee platonico, una realtà vera (la domanda è: come si può dare una realtà-non-vera?) secondo il grande Ateniese, possono essere collegate con le forme classiche dell’induismo, che prevedono concetti come “brahman” e “atman”, così giunti a rapportarsi con le visioni mediterranee di Platone attraverso il pitagorismo, che ad esse è antecedente. Si tratta di un plesso filosofico chiaramente di tipo greco-indiano, di cui da sempre si occupa con fervore e competenza il caro amico professore Giorgio Giacometti (successore mio alla Presidenza di Phronesis, l’Associazione Italiana per la Consulenza Filosofica).
Rappresentazione, copia, calco (tòpos), immagine, forma sensibile (la morphé), sostanza come natura e come forma, anima del mondo (concetto che in seguito sarà ripreso da Carl Gustav Jung): tutti termini, lemmi, parole, concetti correlabili fin dai tempi delle grandi scuole ermeneutiche dei Padri della Chiesa, sia di indirizzo platonico, sia aristotelico, da Origene di Alessandria ad Agostino.
Il mondo dunque sarebbe solo una rappresentazione soggettiva, un’illusione ottica, una copia imperfetta celante la vera realtà delle cose (da questa asserzione traspare l’influenza dello studio di Platone).
Lo stesso induismo e buddismo hanno a che fare con questi tipi di nihilismo, con il concetto di Nirvana, soprattutto, come senso di estinzione-di-ciò-che-è (da nir + √va, cessazione del soffio, estinzione), o, secondo la scuola Theravada è una sorta di ‘libertà dal desiderio (nir + vana), anche un po’ come vacuità.
Un’ultima declinazione della “cultura nihilista” la possiamo trovare nell’immenso e profondo mondo russo, nella Russia eterna, nella sua malinconia, del suo freddo strutturale… nel suo anarchismo. Significati di nihilismo come «chi non sa e non capisce nulla», oppure «colui che non crede a nulla», ma «Se si guarda al cosmo, posti di fronte a due atteggiamenti estremi, è più facile diventare mistico che nihilista». Una figura come quella di Ivan Turgenev c’entra, e molto, con queste temperie e queste temperature estreme, che hanno sconfitto i più grandi presuntuosi della storia, Napoleone Bonaparte e Adolf Hitler.
In Padri e figli (1862), il grande scrittore disegnò una figura di rivoluzionario nihilista, Bazarov, un uomo «che non s’inchina dinanzi a nessuna autorità, che non presta fede a nessun principio, da qualsiasi rispetto tale principio sia circondato», così come fece, sempre in chiave letteraria, o fors’anche più in quella esistenziale Federico Dostoevskij nel romanzo I demoni, narrando di come quelle di Verchovenskij e di Stavrogin, nihilisti tipo.
Turgenev: «Ogni tanto mi viene in mente che molti di questi stessi giovani delinquenti, che vanno attualmente in putrefazione, finiranno un giorno per diventare degli autentici e solidi počvenniki, e cioè dei veri russi? Quanto agli altri, che finiscano pure di marcire! Finiranno pure per tacere anche loro, colpiti da paralisi. Ma che autentiche carogne!»
Di ben altro nihilismo, e per nulla dignitoso, parlo sotto.
…venendo ai manifestanti “pro-pal”, che sono inquietanti, oltre che pericolosi e criminali, quando sfilano per strade e piazze spaccando tutto e augurandosi la morte, la fine di Israele, l’uccisione degli Ebrei. Esattamente come Adolf Hitler, Heinrich Himmler, Reynhardt Heydrich, Adolf Eichmann, et similia. Ciò che duole, sconcerta e preoccupa è che le sinistre parlamentari, non solo non prendono nettamente e chiaramente le distanze da costoro, ma a volte paiono titillargli il mento. Non si sa mai che siano utili, in qualche modo, in qualche momento futuro (pensiero inconfessabile e sempre pubblicamente smentito).
Così come preoccupano le donne militanti che parlano del patriarcato italiano, ma non spendono una parola per la situazione delle donne che a decine di milioni si trovano sotto regimi oppressivi, sessisti e antidemocratici.
E altrettanto stupiscono e preoccupano i professori, gli intellettuali non-docenti e i giornalisti (questi ultimi pullulano nei fogli e nelle tv di proprietà Cairo o Exor-Elkann) che la pensano come i ragazzotti ignoranti di cui sopra, e che trovano nei seguenti loschi figuri i principali ispiratori: Stalin, Hitler, Mao, Pol Pot, Putin etc., mèntori occulti (neanche tanto) di questa linea culturale, così come filosofi à là Michel Foucault.
In politica, nel suo piccolissimo (se ne faccia una ragione) si registra un Giuseppe Conte, le cui idee sono più ballerine delle gambe che si ammirano al Moulin Rouge di Paris, che è di quelli che dicono meno armi all’Ucraina, salvo non dire come fare per fermare la Federazione Russa, o ammettere onestamente (atteggiamento intellettuale in lui difficilmente rilevabile) che questa metta l’Ucraina sotto il suo tallone zarista-sovietico-putinano.
Consiglio a tutti di rileggere Eric Fromm, con il suo Fuga dalla libertà. Testo degli anni ’60, lettura utile, prodromica, pro-fetica, preambolare, nel senso tradizionale del termine.
La sinistra ha un problema con la libertà.
La destra ha un problema con la libertà.
Post correlati
0 Comments