Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Dio non ci ama perché siamo “buoni e belli” (è il significato della parola “tob” (un vero “campo semantico”), che troviamo in Genesi nel primo capitolo), ma siamo “buoni e belli” perché “Dio ci ama”. Per grazia divina, e per la fede nostra che la richiama. Frate Martino Lutero, seguendo il pensiero e l’insegnamento teologico di san Paolo e di sant’Agostino, antepone la fede alle opere, che pure sono importanti, ma sono pura vanità umana (“io faccio, io dico, io scrivo, io comando, io decido, io salvo, io conquisto, io vinco, io merito, io capisco, io, io, io, …”) senza la fede e la grazia, per la salvezza spirituale

(Diversi amici e conoscenti, alcuni colleghi e studenti, mi hanno chiesto da tempo qualcosa su Martin Lutero e la Riforma protestante, anche per cercare di comprendere molte cose del nostro tempo. Con l’aiuto di una documentazione bibliografica, cartacea e telematica, ho approfittato di questo tempo di “ferie”, che significa – paradossalmente – sia festa sia non-festa, caro lettore, se ci pensi bene, per scrivere questo modesto “centone” sul grande frate agostiniano, controverso e coraggioso, peccatore timoroso e fiducioso, tedesco ed europeo, riformatore e conservatore, uomo libero ancorché impaurito dalla libertà, condizione che pone l’uomo di fronte al mistero del suo destino, di cui è, sia autore, sia… necessaria vittima. Con fiducia nelle mie forze, pubblico, e nella pazienza di chi leggerà)

Martin Lutero, o Martin Luther è nato ad Eislieben in Turingia nel 1483 ed ivi è morto nel 1546. E’ stato uno dei riformatori-rivoluzionari (il sintagma appare come un ossimoro, ma non lo è, come si vedrà più avanti) più importanti della Storia occidentale.

Frate Martino iniziò la sua esperienza religiosa e teologica come monaco agostiniano e docente universitario, in quel di Wittenberg, una piccola città tedesca. Aveva una personalità vigorosa e decisa, in grado di muoversi con libertà nei complessi e ardui territori della teologia. Il punto più importante della sua visione era che non fosse necessaria l’intercessione della Chiesa ai fini della salvezza dell’anima, considerando la salvezza come “un libero dono di Dio”, una “giustificazione” accordata all’uomo per sola fides, quasi senza l’ausilio delle opere della legge, su questa linea riferendosi soprattutto al pensiero teologico di san Paolo e di sant’Agostino.

Lutero si mosse, fin da molto giovane, con pesanti critiche ai comportamenti della Chiesa di Roma, come la vendita delle indulgenze praticata da papi come Giulio II (che sicuramente utilizzò per il suo mecenatismo: potremmo dire che Michelangelo Buonarroti da Caprese e Raffaello Santi d’Urbino furono pagati per le loro eccelse prestazioni artistiche anche con i proventi di tale pratica!) e Leone X. Soprattutto questa motivata avversione lo spinse a scrivere le famose 95 tesi, che sono considerate l’inizio dello scisma de facto dal cattolicesimo romano, riconosciuto nel 1521 dalla Dieta di Worms convocata dall’imperatore Carlo V, e l’inizio della Riforma protestante.

Quando frate Martino fu invitato a ritrattare le sue tesi e le sue posizioni critiche contro Roma, si rifiutò e nel 1521 fu scomunicato per eresia da papa Leone X (un Medici) con la bolla Decet Romanum Pontificem.

Era per certi aspetti un uomo del Medioevo, ma inconsapevolmente annunziava un nuovo modo di vivere la religiosità e la fede, più soggettivo e autonomo. E quindi moderno, e prodromo di tutto un nuovo modo di approcciare la conoscenza. Antico e innovatore nel contempo, frate Martino

(frate Martin Luther)

Secondo lui l’uomo giusto vive solamente in base alla sua fede.

Un episodio si staglia nelle memorie di Lutero. Fu quando, leggendo la Lettera ai Romani di Paolo, si imbatté nella parole e nel concetto di “giusto” (iustus/iustitia), e ne fu letteralmente terrorizzato, poiché gli si parò dinnanzi la giustizia divina, di fronte alla quale, l’uomo, intrinsecamente peccatore, non può che essere perduto, dannato per l’eternità. Non gli pareva di poter amare quel “Dio giusto e vendicatore/ vendicativo”, che gli riusciva perfino di odiare e di bestemmiare.

Rifletté in particolare su alcuni passi delle Lettere di San Paolo:

  • «Il mio giusto vive mediante la fede; ma se indietreggia, la mia anima non si compiacerà in lui» («iustus autem meus ex fide vivit: quod si subtraxerit se, non placebit animæ meæ» (dalla Lettera agli Ebrei 10, 38 riprendendo Abacuc 2,4 e dalla Lettera ai Romani, 1,17)
  • «poiché non c’è distinzione: tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, essendo giustificati gratuitamente per la Sua grazia, mediante la redenzione in Gesù Cristo, che Dio ha esposto per espiazione col Suo sangue mediante la fede» (dalla Lettera ai Romani 3,23-25);
  • «poiché noi riteniamo che l’uomo è giustificato per mezzo della fede, senza le opere della legge» (dalla Lettera ai Romani 3,28);
  • «giustificati dunque per la fede, abbiamo pace con Dio, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi e ci gloriamo, nella speranza della Gloria di Dio» (dalla Lettera ai Romani 5,1-2);

considerando questi passi, frate Martino cominciò ad apprezzare i termini della “giustizia divina”, che parvero allora «dulcia et iucunda», e che il suo travaglio spirituale era stato un dono dello Spirito Santo.

Furono allora lo studio della Bibbia, la preghiera e la meditazione ad aiutare Lutero a pervenire a un intendimento diverso di come Dio considera i peccatori. In lui nacque l’idea che il favore di Dio non si può guadagnare, ma viene concesso per immeritata benignità divina a coloro che manifestano fede.

Dalle posizioni teologiche di san Paolo, si evince che solo se avremo fede saremo salvati, perché giustificati (cioè resi-giusti, iustum facere, da ingiusti, come siamo tutti e sempre, per la nostra stessa natura) da Dio stesso, per i meriti di Nostro Signore Gesù Cristo. La grazia, secondo san Paolo, viene solo da Dio, ma alle condizioni di cui sopra. Si tratta di una manifestazione dell’omnipotenza divina, che è in grado di rendere-giusto ciò che non può esserlo con le mere forze umane e con le opere stesse dell’uomo.

In queste condizioni, per Lutero, non è più necessaria la mediazione del sacerdos (che è colui-che-dà-il-sacro), dell’uomo di Dio. Solo l’omnipotenza divina è in grado di far ciò. L’uomo è fin dall’inizio reso imperfetto e cagionevole dal peccato originale, che è il peccato dell’uomo, quello della superbia, per cui Dio ha deciso di salvarlo ab aeterno (dall’eternità), apò katabolès kosmou (fin dalla fondazione del mondo, Apocalisse 13, 8; 1 Pietro 1, 19-20). Lutero, con questo indirizzo teologico radicale si collegò direttamente alle precedenti posizioni di John Wycliff, condannate da papa Alessandro V nel 1409 e del prete boemo Jan Hus, condannato e morto sul rogo a Costanza nel 1415. Mi pare interessante riportare una frase di Jan Hus, qui di seguito.

«Perciò, fedele cristiano, cerca la verità, ascolta la verità, apprendi la verità, ama la verità, di’ la verità, attieniti alla verità, difendi la verità fino alla morte: perché la verità ti farà libero dal peccato, dal demonio, dalla morte dell’anima e in ultimo dalla morte eterna.» (Jan Hus, Spiegazione della Confessione di fede

Può essere interessante anche esaminare le principali differenze della Riforma luterana con la Teologia cattolica.

Se per Lutero (e Hus), solo Dio può salvare le anime poiché – in quanto onnipotente – può” (se vuole) trattare come giusto ciò-che-per-sua-natura-è-ingiusto. Per i Protestanti è solo la grazia di Dio che salva, attraverso la fede, mentre invece la Chiesa cattolica, circa la giustificazione, crede nella necessità sia della grazia divina sia della cooperazione umana, fatta di fede e opere.

L’uomo, per i Cattolici, è sì corrotto dal peccato originale, ma il suo libero arbitrio non è completamente annullato, e dunque trova, con l’aiuto della grazia divina, la forza per risorgere.

La Chiesa cattolica fonda la sua teologia della salvezza sui testi dei Vangeli secondo Matteo (25, 31-46) e Giovanni (2,14-16). L’interpretazione corretta di questi testi, sempre per la teologia cattolica, bisogna tenere conto anche di alcune indicazioni teologiche di san Paolo, come scrive nella Lettera ai Romani, al capitolo 3. Ivi l’Apostolo spiega e sue lettere, ad esempio nella Lettera ai Romani al capitolo 3, dove spiega , sì, la salvezza sarebbe per “opere”, ma non le nostre, che sono tutte macchiate dal peccato (come sostenuto, dopo Paolo, e prima di Lutero, da sant’Agostino, con il concetto di massa damnationis, (la massa dannata, dove emerge il fondamentale pessimismo-realista del vescovo di Ippona. Detto qui, come potremmo fare, quest’oggi, come – per ieri e per l’altro ieri – a dare torto a sant’Agostino? …con 200 guerre e dunque altrettante stragi in corso?), così come scritto nella controversia dialogica con il vescovo Simpliciano (De diversis quaestionibus ad Simplicianum).

E allora, salvezza-anche-per-opere, cioè per un agire concreto, ma di chi? Frate Martin spiega che si tratta delle opere di Cristo (non delle nostre… ma ciò è forse un po’ deresponsabilizzante per ciascuno di noi?), che, sole, bastano alla salvezza del mondo, a patto che si abbia fede in l(L)ui. Grazia e misericordia di Dio, per il tramite di Gesù Cristo. Potremmo dire, esattamente come per i musulmani, che invocano sempre “Allah omnipotente e misericordioso“, ma – per loro – senza le opere di Cristo. Ecco che troviamo, nettissima, anche una tra le differenze essenziali tra cristianesimo (cattolico e protestante), e islam.

Una seconda differenza tra cattolicesimo e protestantesimo è la seguente, soprattutto dopo il Concilio di Trento, che fu convocato anche (forse soprattutto) per rispondere alla Riforma, sia luterana, sia calvinista: la giustificazione, cioè l’essere-resi-giusti è un effetto reale operato nel fedele dalla grazia di Dio, mentre per la teologia luterana (e per parte della teologia cattolica anteriore al Concilio di Trento), la giustificazione del fedele è la grazia stessa di Dio, come uno dei modi in cui – liberamente – Dio può decidere di considerare un peccatore. In ogni caso, sia per i cattolici, sia per i protestanti, l’uomo da sé stesso non merita la grazia, per cui la sua salvezza è comunque legata alla grazia.

Ancora: da un lato il cattolico, tramite i sacramenti (che sono segni e strumenti della grazia) può (presumere di) avere ottenuto il perdono ed essere in grazia di Dio, dall’altro il luterano ne è certo, basato sulle stesse promesse divine nelle Scritture ispirate da Dio stesso, che non può mentire. Tuttavia il protestante non può, in vita, sapere se la sua fede è stata “salvifica”, perché nemmeno la fede dell’uomo è un suo merito.

Negli ultimi decenni, comunque, il dialogo inter-religioso tra cattolici e protestanti è proseguito molto, al punto di avere attenuato di molto le differenze sul tema della giustificazione.

Il 31 ottobre 1999 ad Augsburg si sono incontrati il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e la Federazione mondiale Luterana, e hanno sottoscritto una Dichiarazione congiunta sulla dottrina della Giustificazione, quasi un recupero della proposta risalente al lontano 1541 nei Colloqui di Ratisbona dal cardinale Gasparo Contarini, Dichiarazione sulla quale si sono detti in disaccordo i Luterani cosiddetti Confessionali.

I capisaldi della dottrina luterana possono essere così riassunti e sintetizzati:

  • salvezza per sola grazia attraverso la fede (Sola fide, Sola gratia): la salvezza non si ottiene a causa delle buone azioni, si ottiene solamente avendo fede in Cristo e nella Sua opera salvifica.
  • L’uomo compie azioni pie poiché è giustificato, cioè reso-giusto: non è giustificato a causa delle sue azioni pie.
  • Libero esame delle Sacre Scritture (sola Scriptura): chiunque, illuminato da Dio, può sviluppare una conoscenza delle Scritture (“sacerdozio universale”).
  • Sufficienza delle Sacre Scritture: per comprendere le Sacre Scritture non occorre la mediazione di concili o di papi; ciò che è necessario e sufficiente è la grazia divina.
  • Sacerdozio universale: per ricevere la grazia divina non occorre la mediazione di un clero istituzionalizzato. Il cristiano cerca di vivere assieme ai fratelli nel corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa invisibile, attraverso l’attiva partecipazione nella chiesa visibile.
  • Negazione dell’infallibilità papale e del ruolo del papa come successore di san Pietro e capo temporale
  • I sacramenti cristiani sono solo il Battesimo e l’Eucarestia, gli unici secondo Lutero a essere menzionati nel Vangelo come istituiti da Cristo stesso. Degli altri cinque sacramenti della Chiesa Cattolica, Lutero ha opinioni differenti; alcuni, come la Confessione, sono mantenuti anche se senza l’intermediazione di un ministro, altri, ad esempio l’Estrema Unzione, sono relegati a pure superstizioni. Essi sono in ogni caso validi solo se c’è l’intenzione soggettiva del fedele, quindi perdono il loro valore oggettivo.
  • Lutero inoltre ritiene che nel sacramento eucaristico, a differenza della dottrina cattolica che afferma che si manifesti la transustanziasione, cioè la reale conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue, avvenga che il pane e il vino al tempo stesso mantengano la loro natura fisica e divengano anche sostanza del corpo e del sangue del Cristo: questa dottrina viene denominata da Lutero Unione sacramentale (sakramentliche Einigkeit), e in ambito perlopiù non luterano è nota come consustanziazione
  • I luterani e i protestanti in genere ammettono quindi anche il divorzio, non essendo il matrimonio celebrato come un sacramento. Il celibato ecclesiastico viene eliminato, assieme con il sacerdozio ordinato cattolico. I pastori sono dei laureati in teologia e filosofia.

Il “letteralismo” è sempre stato un criterio insufficiente per comprendere i testi antichi, sia quelli letterari, sia quelli filosofico-teologici. Già gli antichi ermeneuti proponevano, oltre alla lettura nuda e cruda del testo, altri tre metodiche: quella metaforico-allegorica, che forniva un primo ampliamento del campo semantico del testo; quella morale, atta a dare indirizzi comportamentali al lettore, al fedele, e infine la prospettiva anagogica, capace di dare un senso salvifico al testo stesso.

Con il luteranesimo si torna a un letteralismo spinto e autentico, stante che ogni fedele, secondo il frate tedesco, avrebbe potuto e dovuto comprendere il senso profondo della Scrittura, senza l’ausilio di teologi, sacerdoti, e magistero romano.

La sua storia in sintesi

Lo scontro verso la Chiesa Cattolica Romana iniziò, dunque, sulle basi teologiche sopra esposte e, sul piano pratico, come lotta contro la vendita delle indulgenze che Lutero aveva scoperto essere un’attività assai lucrativa per il “Sistema romano”. Infatti, proprio a Wittenberg, il Principe Elettore Federico di Sassonia aveva ottenuto di esercitare la pratica delle indulgenze una volta all’anno, nelle festività di Ognissanti. Lutero affermò in modo netto e con parole taglienti che il semplice pagamento di un’indulgenza non poteva garantire il reale pentimento dell’acquirente, né che la confessione del peccato costituisse di per sé una sufficiente espiazione. La situazione degenerò nel 1517, quando un altro esempio di vendita delle indulgenze dalle amplissime ramificazioni richiamò l’attenzione di Lutero.

Un esempio di questa compravendita fu la questione della nomina del principe Alberto di Brandeburgo ad arcivescovo di Magonza, contro il versamento di una somma di duemila ducati d’oro. Uno dei detti promossi dal vescovo compratore era il seguente: “come il soldino nella cassa risuona, ecco che un’anima il purgatorio abbandona“. Questo metodo portava spesso a comportamenti del genere: talvolta gli stessi parrocchiani di Lutero si mettevano in viaggio per acquistare indulgenze. Di conseguenza, al momento della confessione, i fedeli presentavano la pergamena benedetta sostenendo che non dovevano più pentirsi dei loro peccati poiché il documento sanciva la remissione plenaria delle pene.

Proprio a seguito di tutto ciò, Lutero (lo narra la tradizione) nel 1517 affisse sulla porta della chiesa di Wittenberg, com’era uso a quel tempo, 95 tesi in latino riguardanti il valore e l’efficacia delle indulgenze. Il testo era indirizzato, oltre che al suo ordinario, il vescovo del Brandeburgo Hieronimus Schulz, proprio all’arcivescovo Alberto, a cui Lutero intendeva mostrare il pessimo comportamento del suo incaricato, un certo frate Tetzel. Lo scontro con le alte gerarchie ecclesiastiche romane fu inevitabile.

La fama di Martin Luther si diffuse ovunque in Germania del monaco, trovando attenzione tra teologi, semplici religiosi, artigiani, studenti, e perfino il principe elettore e la sua corte. Un elemento soprattutto aiutò il monaco agostiniano a diffondere le sue idee critiche sulla Chiesa di Roma: l’invenzione della stampa a caratteri mobili di Johannes Gutenberg. Nel 1518 iniziò formalmente la controversia teologica con Roma, che papa Medici (Leone X) riteneva di poter contenere come una delle tante controversie che la Chiesa aveva conosciuto nell’arco dei suoi mille cinquecento anni di storia.

il frate domenicano Johann Tetzel attaccò il Sermone sul’indulgenza e la grazie che Lutero aveva nel frattempo diffuso in lingua tedesca, fatto che diede un notevole incremento al successo dello scritto. A quel punto il suo stesso Ordine agostiniano convocò Lutero presso il capitolo di Heidelberg, ma non lo condannò, anche perché chi lo attaccava, fra’ Tetzel, era un domenicano, appartenente ad un ordine con il quale gli agostiniani, pur condividendo le medesima “regola” del padre comune sant’Agostino (che Domenico Guzman aveva scelto come più adatta all’Ordo Predicatorum), a volte erano un po’ in polemica. A Heidelberg Lutero illustrò in quaranta tesi la sua Teologia della Croce, mentre dava alle stampe dei commenti sulle 95 tesi di Wittenberg, con un profluvio di citazioni scritturistiche a sostegno, che furono poi inviate a papa Leone.

Questi, ovviamente per nulla convinto, autorizzò l’apertura di un processo nei confronti del monaco ribelle, convocandolo nell’Urbe. Ma il monaco agostiniano non accettò “l’invito” (che già immaginava avrebbe potuto essere pericoloso, per lui, poiché la “Santa” Inquisizione già funzionava a pieno regime).

Lutero, lasciati passare i sessanta giorni di tempo per presentarsi a Roma e contestare l’accusa di aver diffuso idee erronee, si rivolse al “suo” principe Federico di Sassonia per ottenere garanzie e protezione. Si decise allora di spostare il processo in Germania, ad Augsburg, Augusta, presso la Dieta che si sarebbe tenuta in loco al tempo. Colà frate Martin sarebbe stato accolto dal cardinale legato pontificio Tommaso De Vio, detto il “Caetano”. Al fine di tutelare l’incolumità di Lutero, il principe Federico ottenne un salvacondotto dal futuro imperatore Carlo V che ne garantiva l’intoccabilità, fino al ritorno a Wittenberg. Il colloquio si svolse a metà ottobre.

Il cardinal Caetano cercò di ottenere da Lutero una pubblica e completa ritrattazione, ma poiché quest’ultimo non si considerava un eretico, rifiutò la richiesta del legato invocando inizialmente la protezione del Papa contro i calunniatori e i nemici. Va detto, infatti, che fino a quel momento Lutero non aveva mai auspicato una frattura del mondo cristiano e tutti gli scritti di quel periodo dimostrano un chiaro intento di riformare dall’interno la dottrina della Chiesa, che ai suoi occhi aveva smarrito la missione assegnatale da Cristo. Non deve quindi stupire il suo appello al Papa, come non deve stupire il fatto che tale appello venne rifiutato e le tesi di Lutero respinte dal Caetano. Poi, incalzato abilmente da quest’ultimo, Lutero si spinse fino a negare la supremazia del Papa: “non solo un concilio è superiore al papa, ma lo è qualunque credente che sia fornito di maggiore autorità e ragione“. Lutero si sentiva forte del sostegno popolare e della protezione del Principe elettore Federico III di Sassonia, ed evitò un arresto imminente fuggendo di notte.

La morte dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo nel 1519, diede un periodo di requie a Lutero, e un problema di più a papa Leone, che alla fine, dopo un periodo di incertezze, scelse come successore al ruolo Sacro Romano Imperatore Carlo V degli Asburgo di Spagna, mentre Federico di Sassonia, il “protettore” di Lutero, restava molto influente in Germania, impedendo, di fatto, che Roma riprendesse il processo teologico-giuridico contro il frate agostiniano.

In questo periodo di relativa calma Lutero radicalizzò sempre più le proprie opinioni, sostenendo che l’unica fonte di verità fosse la Sacra Scrittura, e non i papi o i concili (che, a suo dire, si erano contraddetti nel corso dei secoli, e ciò non era falso!, ndr). La sua fama, però, a crescere anche molto oltre Wittenberg, la Sassonia e l’intera Germania. Tra le persone che si incuriosirono delle tesi di frate Martin fu tra i primi Filippo Melantone (Philipp Schwarzerdt), filosofo e filologo grecista, un laico di indole più pacifica e conciliante rispetto al frate agostiniano. Più combattivo e violento era invece il professore Andrea Carlostadio (Andreas Rudolph Bodenstein von Karlstadt ), uomo di chiesa, che aveva laureato come “Dottore in Teologia” lo stesso Lutero: questi era nettamente a favore di una ribellione armata contro il clero e la nobiltà tedesca legati alle politiche e alla teologia romane.

Quest’ultimo dovette allontanarsi da Lutero, proprio per il suo “estremismo” riformatore, mentre Lutero iniziava il suo straordinario dialogo con Erasmo da Rotterdam, l’altro massimo intellettuale e filosofo del tempo. Erasmo criticava, con i suoi modi dialogici, il clero e la Chiesa di Roma, e quindi condivideva molte posizioni del frate tedesco, ma non voleva assolutamente staccarsi dal papa di Roma, per il quale nutriva il massimo rispetto, così come aveva per Lutero, da questi ampiamente ricambiato.

Questo mostra come (ed è lezione per molti del nostro tempo, soprattutto per i politici maschi e femmine), se si privilegia il dialogo rispettoso tra posizioni anche molto diverse, in luogo della rissa incapace di ascolto dell’altro, si può procedere, pure per strade diverse, alla ricerca di una verità più avanzata sulle “cose umane” e anche sulle “cose divine”. E’ evidente che il dialogo tra diversi non dipende solo dal carattere, più o meno conciliante degli stessi (attori/ attanti, cf. E. Husserl), ma anche dalla rispettiva cultura. Con ignoranti tecnici, che solitamente sono anche presuntuosi, non sono possibili dialogi informati e razionalmente fondati.

Nonostante Lutero cercò di coinvolgere Erasmo in una battaglia per la Riforma, addirittura affiancandolo, Erasmo non “ci stette”, perché riteneva che si potesse contribuire a una positiva riforma purificatrice della Chiesa di Roma, che era comunque “Cattolica” (non ci si dimentichi mai, quando si parla della Chiesa Cattolica, che il termine greco, anzi il sintagma “chiesa-cattolica“, significa semanticamente “assemblea-rivolta-a-tutti-secondo-il tutto-universale“), e dunque “non-settaria” o solamente confessionale ed escludente. Questa la posizione di Erasmo, che riteneva di poter operare per una “riforma generale” della Chiesa, operando dall’esterno con la riflessione e il dialogo per l’inclusione di tutti.

Lutero, che era un passionale, fu deluso dal filosofo olandese, che ritenne – a quel punto – quasi privo di decisione e di fermezza, quasi un codardo. La Chiesa di Roma, nel 1518 fece un ultimo tentaivo di rabbonire Lutero, con l’invio a Wittenberg del giovane nobile sassone Karl von Miltitz, parente del principe Federico, con l’incarico di convincere Lutero a rinunciare alla polemica pubblica, in cambio del silenzio degli avversari di Lutero in Germania, garantito dal papato.

Il monaco riformatore accettò e promise di pubblicare uno scritto per invitare tutti a rimanere obbedienti e sottomessi alla Chiesa cattolica; questo testo fu intitolato Istruzione su alcune dottrine. A fare le spese di questo accordo fu il predicatore domenicano Tetzel, accusato da von Miltitz di condurre una vita dispendiosa e di avere due figli illegittimi: fu costretto a ritirarsi permanentemente in convento, dove morì di crepacuore (il dolore psicologico-morale può uccidere, lo sappiamo) poco tempo dopo. La tregua formale non durò che qualche mese giacché le altre università cattoliche della Germania continuarono ad attaccare l’opera di Lutero e dei suoi seguaci, i quali replicavano per iscritto o partecipando a dispute teologiche in luoghi prestabiliti.

Il più famoso di queste dispute accademiche si svolse a Lipsia nel febbraio del 1519 tra Lutero, Carlostadio e un professore proveniente da Ingolstadt, Johann Eck. Nell’occasione Lutero ammise di condividere alcuni aspetti della dottrina hussita (dal nome del teologo boemo Jan Hus, condannato e ucciso sul rogo nell’ambito del Consilio di Costanza del 1414). Dopo Lipsia il papa lo condannò, così come il Concilio di un secolo prima aveva condannato Jan Hus. Lutero mostrò ancora una volta il suo fervoroso impegno a spiegarsi, con la redazione e la diffusione di un libello dal titolo “Resolutiones Lutherianae super propositionibus suis Lipsiae disputatis (trad. it.: Le Risoluzioni luterane sulle tesi sostenute da lui stesso a Lipsia), senza alcun effetto.

Nel gennaio del 1520 le cose si fecero più difficili per frate Martin. Un Concistoro (che è una riunione di alti prelati, di solito cardinali e vescovi costituiti in assemblea o in tribunale) appositamente convocato dal papa emanò la Bolla (che è una lettera del papa, in materia spirituale o temporale, spedita per vie diverse, compilata con determinate forme ed autenticata col sigillo pontificio nella cancelleria apostolica) Exurge Domine, con la quale il papa stesso intimava a Lutero di ritrattare ufficialmente le sue posizioni o di comparire a Roma per fare altrettanto, pena la scomunica.

Dopo avere ricevuto la Bolla papale, Lutero pubblicò una replica con una lettera indirizzata ai principi tedesci dal titolo An den christlichen Adel deutscher Nation von des christlichen Standes Besserung (trad. it.: Alla nobiltà cristiana della Nazione tedesca: del miglioramento dello Stato cristiano), con la quale invitò i nobili, i capi, i tutori della Germania alla lotta contro la Chiesa di Roma contestando l’infallibiltà del papa (che allora non era ancora un dogma di fede ma una tradizione ben consolidata; sarebbe stato un dogma, anche se non di fede, a partire dal Concilio Vaticano I del 1870, papa regnate san, purtroppo, ndr, Pio IX), il monachesimo e il celibato sacerdotale, e in cui nuovamente stigmatizza i mali di Roma e confessa di aver voluto “assalire violentissimamente il papa, come l’Anticristo“.

A quel punto la guerra tra Lutero e il papa di roma era dichiarata.

Lutero scrisse pubblicò successivamente il trattato De captivitate babylonica ecclesiae praeludium (trad. it.: Preludio alla cattività babilonese della chiesa), nel quale Lutero analizza i sette sacramenti, validandone solo tre: il Battesimo, l’Eucarestia e la Penitenza (ossia la Confessione, ovvero, dopo il Concilio Vaticano II, Riconciliazione). Nell’anno medesimo, il 1520, Lutero pubblicò un trattato che fu molto importante negli anni e secoli: Von Freiheit eines Christenmenschen (trad. it.: Della libertà del cristiano), in cui egli divide nettamente una separazione tra la vita spirituale, che è completamente libera, e quella corporale, che è soggetta all’amore per il prossimo e quindi vincolata.

In molte città e paesi della Germania, da un lato i testi di Lutero venivano arsi nelle piazze, mentre in altre aree dell’Impero si alimentavano focolai di rivolta, seguendo le sue idee. Alcuni principi tedeschi, i quali (anche “nazionalisticamente”) non erano disposti a vedere condannata e dispersa l’opera di Martin Luther; tra costoro vi era anche Federico il Saggio.

Nel novembre 1520, Carlo V d’Asburgo, il nuovo imperatore, cattolico e molto geloso delle sue prerogative imperiali in tema ecclesiastico (che era anche politico), pretese dall’elettore di Sassonia che Lutero comparisse dinanzi alla Dieta imperiale di Worms per cercare di dirimere la questione. I fatti si susseguono in un crescendo drammatico. Il 10 dicembre dello stesso anno Lutero fece bruciare nella piazza di Wittenberg i testi del diritto canonico, la bolla papale e alcuni scritti, tra i quali la Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino (peccatum grave adversus culturam philosophicam plus quam contra Ecclesiam, che – personalmente – io non gli perdòno) e la Summa Angelica di Angelo da Chivasso, ai quali testi facevano riferimento i suoi avversari, che lo accusavano in questo modo giudicando il suo intento: (…) in suo pravo et damnato proposito obstinatum (trad. it.: ostinato nel suo malvagio e dannato proposito).

Carlo V, all’atto dell’elezione imperiale, aveva promesso che nessun suddito sarebbe stato condannato senza prima esser sottoposto a processo e il principe Federico il Saggio aveva ottenuto dall’imperatore la promessa che a Lutero, una volta giunto a Worms, non sarebbe stato fatto alcun male e che gli si sarebbe stato consentito di esporre le sue ragioni.

Il 16 aprile del 1521 Lutero giunse alla dieta salutato festosamente dalla popolazione. Nel corso dei successivi due giorni il monaco riformatore spiegò i contenuti dei suoi scritti all’assemblea composta dall’imperatore e dai principi, compresi alcuni delegati papali. Ciononostante gli fu imposto di abiurare, ma Lutero rifiutò e Carlo V lo condannò come nemico della cristianità tedesca ed eretico. Lutero spiegò che, sulla base del principio di sola Scriptura, si rifiutava di ritrattare le proprie tesi a meno che qualcuno non avesse potuto confutarle in base a quanto espresso esclusivamente nelle Sacre Scritture.

Il giorno dopo la Dieta venne informata delle decisioni dell’Imperatore: egli si dichiarava disposto a rispettare il salvacondotto che aveva concesso a Lutero e quindi gli concedeva d’allontanarsi; nel contempo però affermava di essere deciso ad “agire contro di lui come contro un eretico notorio” e chiedeva agli ordini che tenessero fede alla promessa che gli era stata fatta, cioè che avrebbero collaborato alla cattura del monaco qualora si fosse rifiutato di ritrattare.

Il salvacondotto imperiale che il principe Federico aveva ottenuto per il suo protetto impedì l’immediato arresto di Lutero a Worms. Per salvarlo dalla condanna che ormai era stata emessa, il principe organizzò un falso rapimento di Lutero allo scopo di tenerlo nascosto nel castello di Wartburg, ad Eisenach (la città natale di Johann Sebastian Bach!), dove rimase per dieci mesi, nel corso dei quali si dedicò alla sua più importante opera: la traduzione tedesca del Nuovo Testamento, partendo dal testo greco redatto pochi anni prima da Erasmo da Rotterdam. Pubblicata anonima nel settembre 1522, divenne nota come il “Nuovo Testamento di Settembre“. Costava un fiorino e mezzo, pari al salario di un anno di una domestica. In dodici mesi se ne stamparono 6 000 copie in due edizioni e almeno altre 69 edizioni seguirono nei successivi 12 anni.

In assenza di Lutero, la responsabilità di portare avanti il movimento riformatore ricadde su Melantone e Carlostadio mentre sia a Wittenberg sia in altri luoghi della Germania iniziarono a scoppiare disordini e si riscontravano comportamenti contrari alla dottrina cattolica da parte dei sacerdoti. L’8 maggio 1521 Carlo V proclamò l’editto di Worms, con il quale le tesi luterane venivano ufficialmente condannate e perseguite in tutti i territori dell’impero. Lutero era considerato un fuorilegge e un nemico pubblico, chiunque poteva ucciderlo impunemente, sicuro dell’approvazione delle autorità. La situazione di Lutero si fece estremamente pericolosa e c’era chi temeva, e chi sperava, che l’intera vicenda si concludesse, come tante altre volte in passato, col rogo. Il 1 dicembre 1521 era intanto morto papa Leone X.

Nel marzo del 1522 Lutero rientrò a Wittenberg.

Dal 1522 in poi vi furono dei movimenti e lotte assai sanguinarie. Il movimento riformatore assunse una svolta rivoluzionaria, cui seguì (come la storia dimostra ad abundantiam, quasi come regole) seguita poi da una tendenza reazionaria. La figura di Thomas Muentzer, un teologo allievo di Lutero, emerge e spicca per la sua attività violenta, oramai in un aperto scontro con il suo maestro, quando abbandonò la scelta moderata di Lutero. Egli, Muentzer cominciò a guidare una delle numerose bande armate (notiamo analogie con il comportamento delle bande armate dello Jihād“, cioè di una “Chiamata alla vera religione, predicazione e conversione soprattutto attraverso mezzi energici” attuale?) che volevano portate la Riforma luterana, che era – più ancora – esplicitamente, contro la Chiesa di Roma, per fare affermare un nuovo Ordo Politicus Christianus, quasi proto-comunista, basato sull’eguaglianza assoluta di tutti gli uomini.

Posso far notare come questa intentio ricordi, se pure per analogia postuma o posteriore, il successivo mito marxista della rivoluzione, anche violenta, per realizzare l’assoluta uguaglianza tra gli esseri umani… ma immediatamente faccio notare a me stesso, come Muentzer, e come gli stessi Karl Marx e Friedrich Engels erano a digiuno dell’antropologia tommasiana (di Tommaso d’Aquino), che riconosceva l’uguaglianza in dignità tra tutti gli uomini (superando in ciò l’antropologia aristotelica, che ammetteva ancora la schiavitù, come peraltro lo stesso san Paolo, se pure mitigata), ma nel contempo ammetteva le differenze soggettive di ruolo tra tutti gli uomini e tutte le donne.

Senza una corretta antropologia filosofica, il comunismo muentzeriano e marxiano diventa dis-umano, nel senso di essere incapace di capire l’intero dell’umano. Ed è una quaestio philosphica primaria, che i nepotini dei citati non padroneggiano (non penso a Schlein e a Frate Janni, troppo piccini, ma a Lenin, a Trotskij, a Fidel, a Guevara, a Stalin, a Mao, a Pol Pot, diversissimi tra loro, ma accomunati da un’ignoranza antropologica fondamentale, che solo in Gramsci non era presente al modo di codesti altri “dei della sinistra”: infatti, Gramsci, e ciò che gli capitò…)

Lutero, borghese e ora vicino ai nobili protettori della Riforma, era molto contrariato; sostenne sempre la versione paolina del cristiano libero dentro ma buon suddito fuori, secondo il famoso detto evangelico “date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio“.

Altri soggetti e categorie sociali intervennero a pro di Lutero, e per ragioni affatto differenti. La classe dei cavalieri stava vedendo vide le proprie prerogative e fonti di reddito già ridotte a causa dell’avvento degli eserciti moderni, composti in prevalenza da mercenari, ulteriormente erose dalle decisioni della Dieta di Worms, che aveva bandito le guerre private, una delle principali fonti di reddito di tale classe sociale. Tra le proposte elaborate dai leader della rivolta troviamo l’abolizione dei principati indipendenti, l’unificazione delle terre di lingua tedesca, la secolarizzazione dei principati e delle proprietà ecclesiastiche e infine la creazione di un regime a guida monarchica ma che prevedesse la partecipazione su base paritaria di tutti gli esponenti dell’aristocrazia. I cavalieri si battevano anche per partecipare all’espropriazione delle terre della Chiesa di Roma, e ottenere un feudo (da cui, in quanto figli cadetti[erano rimasti esclusi).

La situazione rimase tale per alcuni anni, durante i quali la riforma protestante andò diffondendosi oltre i territori dell’impero. In questo periodo Lutero continuava la sua opera teologica, pubblicando nuovi scritti. I suoi lavori, in conformità con le teorie, specialmente quelle sulla Grazia, prettamente “agostiniane”, da lui mai rinnegate, invocavano la pace e la separazione delle faccende temporali da quelle spirituali. i Cavalieri Hutten e Sickingen, vicini alle idee di Lutero, diedero alla rivolta ulteriori connotazioni di rivolta contro le gerarchie ecclesiastiche. I cavalieri attaccarono con un pretesto l’arcivescovo di Treviri Richard von Greiffeldau zu Vollrads, ponendolo sotto assedio. Non riuscendo a penetrare le difese della città e non avendo ottenuto il supporto sperato dalla popolazione, i leader della rivolta si ritirarono dopo una settimana, accampandosi a Ebernberg. Nel frattempo Sickingen veniva colpito da un bando imperiale dichiarato dal consiglio imperiale di reggenza. Rinforzato dall’arrivo di truppe fresche guidate da filippo I d’Assia (avo dell’omonimo marito della povera Mafalda di Savoia) e Ludovico V del Palatinato l’arcivescovo di Trier passò all’offensiva, ponendo Sickingen sotto assedio nel suo castello di Landstuhl, dove questi si era ritirato. Hutten era invece fuggito a Zurigo sotto la protezione di Huldrich Zwingli (sarebbe morto pochi mesi dopo di sifilide in un monastero). Il 6 maggio del 1523 Sickingen si arrese ai tre principi dell’impero, morendo il giorno successivo a causa di ferite ricevute nel corso dell’assedio.

Benché temporalmente vicina alla rivolta dei contadini e caratterizzata da alcuni elementi comuni, la rivolta dei cavalieri rimase un fenomeno fondamentalmente distinto, i cui obiettivi erano di natura conservatrice e tesi alla preservazione dell’ordine feudale minacciato dall’emergere di nuove dinamiche sociali ed economiche. Le insurrezioni contadine (interessante in proposito è la lettura del loro “Manifesto in dodici articoli”) si connetterono alle rivolte dei cavalieri e, assieme, contribuirono a modificare profondamente l’assetto dei regni germanici.

Per il movimento dei contadini, però, finì assai male, perché nell’aprile del 1525 Lutero pubblicò l’Esortazione alla pace a proposito dei dodici articoli dei contadini di Svevia. In questo scritto, con cui dimostrava di aver scelto ormai definitivamente l’alleanza coi signori feudali, egli prendeva le distanze da quel movimento, esortando i principi tedeschi alla soppressione delle “bande brigantesche ed assassine dei contadini“, che “disobbedendo all’autorità costituita, si macchiano di tali peccati da meritare di essere uccisi come cani rabbiosi.”

E ancora… (testi che mostrano anche il volto opportunista e poco evangelico di Lutero, per la qual ragione, oltre che per profonde ragioni teologiche, mi sento profondamente cristiano cattolico, cioè seguace-del-Cristo-attento-a-tutti-e-tutte-al-tutto-e-totalmente, e non luterano), frate Martin Luther scrive:

Che ragione c’è di mostrare clemenza ai contadini? Se ci sono innocenti in mezzo a loro, Dio saprà bene proteggerli e salvarli. Se Dio non li salva vuol dire che sono criminali. Ritengo che sia meglio uccidere dei contadini che i principi e i magistrati, poiché i contadini prendono la spada senza l’autorità divina. Nessuna misericordia, nessuna pazienza verso i contadini, solo ira e indignazione, di Dio e degli uomini. Il momento è talmente eccezionale che un principe può, spargendo sangue, guadagnarsi il cielo. Perciò cari signori sterminate, scannate, strangolate, e chi ha potere lo usi (…) lasciate che tutti quelli che possano, colpiscano, uccidano e pugnalino, segretamente o apertamente, ricordando che nulla può essere più velenoso, offensivo o diabolico di un ribelle… Perché il battesimo non rende gli uomini liberi nel corpo e nella proprietà, ma nell’anima; e il Vangelo non rende comuni i beni, tranne nel caso di coloro che, di loro spontanea volontà, fanno ciò che fecero gli apostoli e i discepoli in Atti 4,32–37. Non esigevano,come fanno i nostri folli contadini nella loro furia, che i beni degli altri – di Pilato ed Erode – fossero comuni, ma solo i loro beni. I nostri contadini, tuttavia, vogliono rendere comuni i beni di altri uomini e mantenerli propri. Ottimi cristiani sono! Penso che non sia rimasto un diavolo all’inferno; sono andati tutti tra i contadini. Il loro delirio è andato oltre ogni misura.”

Fu un gesto importante e dalle terribili conseguenze (le fonti dell’epoca parlano di 100.000 morti); con esso Lutero aveva garantito la sopravvivenza della Riforma, ponendola al riparo dalle posizioni estremiste e garantendole la protezione di un buon numero di prìncipi tedeschi. Hanns Lille, vescovo luterano di Hannover, osservò che questa risposta costò a Lutero “la perdita della straordinaria popolarità di cui aveva goduto fino a quel momento tra la gente“.

E’ utile non dimenticare che anche papi (in occasione di Crociate) o re e santi cattolici come Luigi IX di Francia si espressero o si comportarono con “eretici” come i catari (i “puri”, dal greco kàtharos) con altrettanta durezza, avendone il potere, e non si tratta (solamente) di un tratto crudele del carattere di Lutero ma rientrante nel tipico quadro delle tragiche guerre di religione (cf. supra!) a sfondo politico, unito al pragmatismo e al carattere talvolta duro del riformatore tedesco; l’unico modo per salvare la Riforma dal papato era difatti avere l’appoggio dei principi.

Sempre per la necessità di proteggere la sua Riforma, Lutero, che pure aveva proclamato l’inutilità della Chiesa come mediatrice e il principio che ognuno poteva essere “il sacerdote di se stesso“, acconsentì alla formazione delle Landeskirchen, delle Chiese territoriali tedesche con le quali i principi potranno esercitare la loro autorità anche sulle faccende religiose. Muentzer fu poi catturato e ucciso, mentre il Carlostadio (come abbiamo già visto, di temperamento estremista), anche lui sostenitore dei contadini, nel frattempo aveva ritrattato chiedendo aiuto a Lutero, il quale gli perdonò l’appoggio alla rivolta e lo nascose in casa propria per molti mesi, salvandogli così la vita.

Più precisamente, il 15 maggio 1525 gli ultimi insorti della guerra dei contadini, sempre guidati da Thomas Muentzer, furono annientati a Frankenhausen dal langravio Filippo d’Assia. Muentzer venne ucciso. Dieci giorni prima era morto Federico il Saggio, cui era succeduto il fratello Giovanni. Nello stesso anno Lutero decise di abbandonare la vita pubblica e la veste religiosa. In giugno sposò Katharina von Bora, una monaca che aveva dismesso l’abito in conseguenza della riforma. Fu un gesto molto importante che contribuì alla formazione della nuova teologia luterana. In molti scritti Lutero loda il matrimonio, nonostante non lo considerasse come un sacramento. I due furono molto uniti, ed ebbero sei figli; la loro casa fu uno dei principali centri irradiatori delle idee riformatrici (basti pensare ai 6596 paragrafi dei Discorsi conviviali tenuti da Lutero nella sua casa e accuratamente registrati dai suoi allievi).

Sempre nel 1525 vengono pubblicati La Messa tedesca e Del servo arbitrio (ostinatamente letteralista paolin-agostiniano), quest’ultimo in risposta a uno scritto di Erasmo, Del libero arbitrio (certamente di stampo aristotelico-tomista), pubblicato l’anno precedente, nel quale il grande umanista olandese invitava il monaco ribelle a ritornare sui propri passi riesaminando le concezioni espresse sul rapporto tra l’uomo e il suo destino. La conseguenza fu la definitiva rottura tra i due intellettuali.

Respingendo le nuove idee dell’umanesimo rinascimentale sulla centralità dell’uomo, Lutero manifestava un modo di pensare tutto improntato alla mistica medioevale e alla teologia paolina e agostiniana. Gli anni che vanno dal 1525 al 1539 videro Lutero, ma soprattutto i suoi seguaci, impegnati nel duplice obiettivo sia di consolidare la dottrina riformata, contrastando le repliche e i contrattacchi della Chiesa romana, sia di proteggerla da possibili derive estremiste.

Nel 1527, intanto, in rotta politica con il papato, Carlo V mosse (a mio avviso, vergognosamente) verso Roma dove le truppe dei mercenari lanzichenecchi, in maggioranza luterani e antipapisti (come un mio zio acquisito, anglicano, inglese, colonialista e razzista. Mr. Percy H.), la saccheggiarono e e la insultarono. Fu una delle prime guerre di religione tra cattolici e protestanti, benché alcuni cattolici francesi e spagnoli combattessero assieme ai luterani (lo stesso Carlo V era cattolico e re di Spagna come Carlo I).

Oltre a pubblicare libri Lutero compose in questo periodo diversi inni per la nuova liturgia riformata. Il più celebre è Ein’ feste Burg ist unser Gott composto fra il 1527 e il 1529 traendolo dal Salmo 45 e tradotto in numerose lingue tra cui in italiano (Forte rocca è il nostro Dio). Nel 1529 condusse con Filippo Melantone i Colloqui di Marburgo, importante confronto con l’altro grande riformista Ulrich Zwingli sui temi principali dei rispettivi sistemi teologici, che però si arenò di fronte al problema dell’eucaristia, sul cui significato le divergenze erano significative.

Nel giugno 1530 venne presentata la Confessio Augustana che rappresenta la definitiva sistemazione dottrinale del luteranesimo. È la prima esposizione ufficiale dei princìpi del protestantesimo che sarà poi detto luterano, redatta dal Melantone per essere presentata alla Dieta di Augusta alla presenza di Carlo V.

L’ultimo periodo

Nel febbraio del 1531 venne conclusa tra i nobili e le città protestanti la Lega di Smalcalda. Nello stesso anno il monaco riformatore pubblicò l’Avvertimento del dottor M. Lutero ai suoi cari Tedeschi. Nel 1534 uscì la Bibbia completamente tradotta in tedesco da Lutero. Intanto veniva eletto papa Alessandro Farnese, con il nome di Paolo III. Gli anabattisti, nel frattempo, presero il potere a Muenster in Vestfalia, ma nel giugno del 1535 la città fu riconquistata dal vescovo Francesco di Waldeck e dal solito Filippo I d’Assia.

Lutero dettò le linee generali per l’organizzazione della Chiesa evangelica della Sassonia, fornendo il modello fondamentale alle altre chiese luterane. Negli ultimi anni della sua vita Lutero approfondì la distanza dal cattolicesimo con lo scritto del 1537 Gli Articoli di Smalcalda, difese la propria dottrina sulla presenza di Cristo nell’eucaristia nell’opera Breve confessione intorno al Santissimo Sacramento (1544) ed espresse una condanna violenta e definitiva del cattolicesimo con l’operetta polemica Contro il papato istituito a Roma dal diavolo, dello stesso anno.

Et de quo satis, anche se sarebbe interessante continuare il racconto. Il focus del tema è però un altro.

La morte di frate Martino

Lo studioso Roland Bainton, pur essendo un suo devoto biografo, riconosce come “il suo [di Lutero] altero atteggiamento di sfida dei primi tempi fosse degenerato, trasformandosi nell’umore stizzoso di un uomo tormentato dalla malattia, dalle fatiche e dallo scoramento“, tuttavia, riferisce sempre Bainton, “sino all’ultimo migliorò la sua traduzione della Bibbia (…), e parecchi brani riportati in questo libro [sul sacrificio di Isacco] per illustrare i suoi principi religiosi e morali provengono dal suo ultimo periodo“. In confronto a Melantone, sempre sottile e pacato nei giudizi, tanto rozzo e vendicativo apparve divenuto Lutero, al punto da scadere spesso nel turpiloquio. D’altra parte, come sostiene sempre Bainton, “Lutero guazzava nel sudiciume meno di molti altri letterati del suo tempo“, tra i quali lo stesso Erasmo, che non evitò di descrivere dei dialoghi tra popolani in cui si parlava del fetore che promanava dalle loro merci. Nel complesso, le grossolanità di Lutero furono esigue e vi sono interi tomi in cui le parole più indecenti sono quelle di San Paolo, che sopportò la perdita di tutte le cose «reputandole come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo (Filippesi 3, 8.)”

Aveva anche preso a mangiare e bere con generosità, vuotando in più occasioni interi boccali di birra, “(…) ma non è mai stato riportato che Lutero avesse sorpassato la semplice allegria.”

La sua salute intanto si era andata deteriorando progressivamente (soffriva di acufeni, cataratta, sindrome di Menière, reumatismi e altri disturbi, forse anche di cardiopatie), fino a che si ammalò gravemente di ulcera e venne infine colpito da un ictus fatale a 62 anni, anche se qualche cattiva e falsa tradizione lo dà suicida. Secondo quanto è stato tramandato, il 18 febbraio 1546 a Eisleben, quando Lutero era sul letto di morte, gli amici gli chiesero se era ancora convinto di ciò che aveva insegnato. Rispose: ““», e poco dopo spirò. La salma di Lutero venne in seguito inumata nella chiesa del castello di Wittenberg (Schlosskirche) dove si trova ancora oggi.

Alcuni suoi detti scritti

Christianus homo omnium dominus est liberrimus, nulli subiectus.
Christianus homo omnium servus est officiosissimus, omnibus subiectus
.” (Martin Lutero, La libertà del cristiano)

(trad. it.) “Un cristiano è il padrone più libero di tutti, soggetto a nessuno.
Un cristiano è il servo più obbediente di tutti, soggetto a tutti
.”

La Riforma, promossa da uomini come Lutero, Melantone e poi Jean Cauvin (Calvino) e Ulrich Zwingli, determinò la formazione di un nuovo movimento religioso nell’Europa Occidentale, il protestantesimo. Il maggiore contributo di Lutero fu il suo insegnamento principale: la giustificazione per fede. Nel giro di poco tempo ciascun principato tedesco si schierò per la fede protestante o per quella cattolica. Il protestantesimo si diffuse e ottenne larghi consensi in Scandinavia, Svizzera, Regno Unito, Paesi Bassi, e in seguito negli Stai Uniti d’America, e ultimamente in Asia, Africa e Amercia Latina. Nelle sue varie confessioni il protestantesimo contribuisce alla diffusione sempre più cospicua del cristianesimo, nel mondo.

Il professor Kurt Aland, storico delle religioni e delle teologie, scrive: “Ogni anno escono almeno 500 nuove pubblicazioni su Martin Lutero e la Riforma in quasi tutte le maggiori lingue del mondo“.

La sua opera fu inoltre fondamentale per aver contribuito a formare la Lingua Tedesca: si può dire che Lutero fu per la Germania ciò che Dante Alighieri era stato, due secoli prima, per l’Italia. Passati i primi secoli immediatamente successivi alla Riforma, dopo essere stato giudicato assai negativamente, la sua figura è stata in parte rivalutata anche in alcuni ambiti cattolici, almeno per quanto riguarda la tempra intellettuale del primo Lutero.

In base a ciò che egli stesso racconta, da giovane fu indotto a meditare sull’ira divina a causa della morte prematura di un compagno di studi, Hieronymus Buntz. Lo storico protestante Dietrich Emme afferma che questi fu ucciso in un duello dallo stesso Lutero, rifugiatosi poi in convento per sfuggire alla condanna. Questa ipotesi è stata confutata dal teologo cattolico Otto Pesch, perché nessuna fonte antica menziona il duello ed inoltre gli annali dell’università di Erfurt riportano la notizia che Hieronymus Buntz morì di pleurite poco prima di sostenere l’esame di dottorato. Un’altra leggenda vuole che l’amico di Lutero sia morto a causa del fulmine.

L’antisemitismo di Lutero

“Secondo Lutero gli Ebrei erano: cani assetati del sangue di tutta la cristianità […] spesso giustamente bruciati vivi perché accusati di avvelenare l’acqua e i pozzi e rapito i bambini che sono stati smembrati e tagliati a pezzi […] che ancora non ci è dato sapere quale sorta di demone li abbia portati nel nostro paese […] che erano da considerarsi un pesante fardello, come una peste, pestilenza e pura sventura nel nostro paese […] profittatori, avidi, che maledicono il nostro Signore, figli del Diavolo che è contento e si rallegra di aver mandato gli Ebrei fra i cristiani per contaminarli […] che vogliono governare il mondo nonostante siano grandi criminali e assassini di Cristo e di tutta la cristianità. (Raul Hillberg commenta l’opera Von den Juden und ihren Lügen, 1543, trad.it.: Degli Ebrei e delle loro menzogne in La distruzione degli Ebrei d’Europa)

Altri scritti di Lutero, contro gli ebrei che rifiutavano di convertirsi al cristianesimo, in particolare quello sopra citato nel quale si espresse con toni acerrimi, hanno indotto molti a tacciarlo di antisemitismo. In realtà l’antisemitismo di Lutero si inquadrava nel generale atteggiamento di intolleranza e diffidenza verso il giudaismo (anche in ambito cattolico come mero antigiudaismo teologico) che percorreva la cultura europea, sia laica che religiosa, e che culminerà nel XX secolo con la tragedia della Shoah. Teorie e suggestioni che descrivono Lutero quale anticipatore dell’antisemitismo moderno sono quindi alquanto discutibili, se non del tutto inaccettabili.

In realtà Lutero ebbe un atteggiamento tollerante nei confronti degli ebrei almeno fino agli ultimi anni di vita, che però condizionava alla loro conversione al cristianesimo poiché se era vero, secondo Lutero e il cristianesimo medievale tutto, che il giudaismo era un crimine che doveva essere sradicato, la colpa originaria era stata quella di aver dato un cattivo insegnamento della dottrina cristiana. Il testo Gesù Cristo è nato ebreo (1523) punta infatti a difendere gli ebrei dai pregiudizi e dall’intolleranza.

Tuttavia il fallimento di questa auspicata conversione degli ebrei, dato che la maggioranza non accettò il battesimo, portò Lutero a un aperto antisemitismo, seppur non di tipo razziale. Nel 1543, ormai vicino alla fine della sua vita, Lutero pubblicò l’opuscolo di cui sopra, dove proponeva di bruciare le sinagoghe, abbattere le case degli ebrei, distruggere i loro scritti, confiscare il loro denaro e uccidere i rabbini che predicavano il giudaismo.

Nonostante ciò, ebrei tedeschi convertiti alla religione luterana in diverse epoche, come il poeta romantico Heinrich Heine che, nel Rabbi di Bacharach, denunziò le persecuzioni medievali tedesche – hanno comunque ammirato Martin Lutero (si veda Zur Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland del 1834, cioè Esposizione del pensiero tedesco da Lutero a Schelling), venerato talvolta “come un santo”, un precursore della Rivoluzione francese.

Questa opinione fu condivisa da molti apologeti cattolici quali Joseph de Maistre (soprattutto per la fine del primato papale richiesta dalla Riforma), nonostante l’avversione di Lutero per le ribellioni popolari e il fatto che la maggioranza dei luterani tedeschi e svedesi (nonché i protestanti britannici) combatté contro la Francia rivoluzionaria e contro Napoleone; si consideri anche l’ammirazione verso Lutero del rivoluzionario Camille Desmoulins e la confusione sull’appoggio – attaccato dal papa – dei protestanti francesi alla Rivoluzione (essi erano però calvinisti ugonotti, membri della Chiesa Riformata di Francia).

Lo stesso Hegel vede Lutero come “l’uomo completo”, “l’uomo assoluto”, capace di riunire le dimensioni di spirito e materia precedentemente scisse per mano della dottrina cattolica, da lodare per la sua battaglia per la libertà di pensiero.

Dopo la Seconda Guerra mondiale (dopo la Shoah, dunque) però, molti protestanti hanno preso le dist anze dagli scritti antisemiti del riformatore, e sono spesso vicini alle istanze delle comunità ebraiche.Va inoltre ricordato che tali anatemi intolleranti erano subordinati alla conversione degli ebrei, non al loro sterminio, e la tolleranza religiosa era spesso del tutto (o quasi) assente anche fra cristiani, in un mondo in cui vigeva il cuius regio eius religio (trad. it.: ognuno deve seguire la religione del proprio sovrano), e ciò era considerato comunque una conquista, essendo garantito ai dissidenti il diritto di emigrazione.

Lutero si espresse contro i capi giudaici, ma voleva che i semplici ebrei fossero costretti a lavorare, senza imporre loro segni discriminatori come fecero i papi e alcuni sovrani cattolici, senza essere espulsi (sebbene in un passo li inviti pesantemente a “tornarsene in Giudea”) ma senza svolgere lavori “parassitari” come il banchiere o il prestito di denaro a interesse. Lutero manifestò infatti un forte disprezzo anche per ogni forma di commercio, da lui giudicato “uno sporco affare”, e condannò – in linea con il cristianesimo medievale – l’interesse come usura, nel Medioevo interdetta ai cristiani e quindi spesso appannaggio degli ebrei. Il suo sogno sarebbe stato di perpetuare la società rurale in cui era nato, per questo egli si considerava più un restauratore che un innovatore. Tali eccessi reazionari erano divenuti sempre più marcati man mano che invecchiava e la sua salute peggiorava.

Sull’Islam. Lutero, nel 1541 aveva autorizzato una nuova traduzione in latino del Corano, a cura di Theodor Bibliander, che doveva essere indirizzata, come spiegava Lutero nell’introduzione, “a gloria di Gesù, al bene dei cristiani, a danno dei turchi, a irritazione del demonio“.

Personalità e psicologia di Lutero

Secondo alcuni critici l’ansia e la paura avrebbero costituito un importante elemento nelle scelte di Lutero, e forse avrebbero fatto maturare nella sua mente la scelta di entrare nel convento agostiniano di Erfurt. Persino la psicoanalisi si è interessata a Lutero. Si è detto certo suo modo di esprimersi triviale e a volte con volgare turpiloquio quando era a tavola rilassato non fosse un tratto psicologico (coprolalia) ma derivante dal suo gergo rozzo e popolare di “contadino sassone”, di cui egli stesso si scusa in questo modo: “nei libri di Sant’Agostino si trovano molte parole che furono pronunciate dalla carne e dal sangue, e devo confessare che io dico molte parole che non sono parole di Dio, sia quando predico sia a tavola.” Così come riguardo alla sua passione per la birra casalinga dice: “anch’io bevo. Non tutti però devono imitarmi, perché non tutti sopportano le mie fatiche“.

(Neppure io, che scrivo, sono talvolta esente dal turpiloquio: anch’io sono di classe popolana, anche se papà e mamma erano molto più educati di me, perché non dicevano parolacce né sacramentavano.)

Secondo lo psicologo statunitense Erik Erikson nel riformatore si riscontravano “eredità di alcolismo, amore anormale per sua madre, educazione in un clima di paura, tendenza alla malinconia, ossessioni sessuali sublimate, e ciò è vero, con una potente attività intellettuale, sono gli elementi che spiegherebbero… perché e come Lutero è giunto a rifiutare il valore salvifico delle opere.

Sebbene alcuni abbiano osservato che tali interpretazioni sarebbero fondate su insufficienti e incerte testimonianze, l’immagine di un Lutero afflitto da sofferenze psicologiche – spesso non diverse da quelle riscontrate in altre personalità complesse – culminate in malinconia, depressione, ossessioni e compulsioni a sfondo religioso-mistico e di scrupolosità (immagini intrusive blasfeme, sessuali o aggressive), rasserenate in parte dalla sua teologia della giustificazione per sola fide, ha spesso avuto ampio credito presso la storiografia su di lui e contro di lui.

L’equivoco del “pecca fortiter”

Per rassicurare il timoroso e preoccupato Melantone, Lutero gli avrebbe suggerito un paradosso che insiste sul valore della fede sulle opere: “pecca con vigore, e credi ancora più fortemente” (pecca fortiter et crede fortius), sullo stile del motto agostiniano ama e fa’ ciò che vuoi. Il senso sarebbe: “pecca pur fortemente (perché essendo uomo non puoi non peccare) ma ogni volta credi sempre di più” è il senso che si inquadra bene nella teoria luterana di servo arbitrio e depravazione totale.

La frase si trova in una lettera:

Esto peccator et pecca fortiter, sed fortius fide et gaude in Christo, qui victor est peccati, mortis et mundi. Peccandum est, quamdiu hic sumus; vita haec non est habitatio iustitiae, sed exspectamus, ait Petrus, coelos novos et terram novam, in quibus iustitia habitat. Sufficit, quod agnovimus per divitias gloriae Dei agnum, qui tollit peccatum mundi; ab hoc non avellet nos peccatum, etiamsi millies, millies uno die fornicemur aut occidamus. Putas, tam parvum esse pretium redemptionis pro peccatis nostris factum in tanto ac tali agno? Ora fortiter, etiam fortissimus peccator.”

(trad. it.)

Sii un peccatore e pecca fortemente, ma ancor più fortemente confida e gioisci in Cristo, che è vincitore del peccato, della morte e del mondo. Non si può che peccare, finché siamo qui; questa vita non è la dimora della giustizia, ma “noi aspettiamo – dice Pietro – i nuovi cieli e la nuova terra, in cui abita la giustizia.” È sufficiente che noi conosciamo per le ricchezze della gloria di Dio l’agnello che toglie il peccato del mondo; da questo non ci strappa il peccato, anche se fornicassimo o uccidessimo mille e mille volte in un solo giorno. Pensi che sia così piccolo il prezzo della redenzione per i nostri peccati offerto in un tale e tanto agnello? Prega fortemente, anche essendo un fortissimo peccatore.”

(Lutero a Melantone, 1 agosto 1521)

Grazie della lettura e della pazienza, caro lettore!

Post correlati

0 Comments

Leave a Reply

XHTML: You can use these tags: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>