Discorsi su papa Francesco e dintorni…
Se io dico “Francesco” chi ascolta può pensare, a mio avviso, una di queste tre cose, o anche più:
1) si tratta del nome della persona stessa che incontro, oppure di una persona di cui si parla;
2) si tratta di papa Francesco;
3) si tratta di san Francesco d’Assisi, che è il più noto dei santi con questo nome.
Forse, se la persona da me interpellata è più interessata alla cultura, potrebbe pensare anche a Francesco Petrarca, o se è uno sportivo, specialmente se deRrroma (tutto attaccato), al calciatore Francesco Totti.
Anche in questo modo funziona la memoria, insegnano i neuro-psicologi.
Qui voglio parlare un po’ del “Francesco” attuale più noto al mondo, il papa di Roma, il capo della Chiesa Cattolica, di un miliardo e trecento milioni di credenti (sugli oltre due miliardi di cristiani), ma riconosciuto come autorità morale da pressoché tutti, anche non-cristiani, anche agnostici, anche atei. E con ciò non sto beatificando il papa in vita, né sto esagerando la sua fama per qualche strana ragione. Non ne ha bisogno. Peraltro abbastanza spesso, e chi mi conosce e legge ciò che scrivo lo sa, sono talvolta in fraterno disaccordo con papa Francesco, soprattutto per una ragione generale: questo papa argentino-italiano, che pensa in “castellano” argentino, dice tutto e anche il suo contrario, e lui lo sa bene. Francesco conosce questo modo di utilizzare un certo tipo di comunicazione dialettica e dialogica.
E’ un gesuita, e lo è nel profondo. I Padri gesuiti, fin dalla loro fondazione, ebbero da Don Íñigo (Ignazio) López de Loyola il compito di evangelizzare il mondo accogliendo e comprendendo le varie culture e lingue che venivano incontrando. Un esempio potentissimo di questa modalità di fare evangelizzazione (proselitismo) è rappresentata dall’esperienza del padre Matteo Ricci, marchigiano che, inviato nella lontanissima Cina, riuscì ad entrare a tal punto nell’ambiente del Celeste Impero, imparando la lingua mandarina e vestendo alla loro foggia, da convincere lo stesso imperatore a conferirgli onori e compiti scientifici e perfino politici. E’ l’unico non cinese ad essere stato sepolto nel perimetro della Città Proibita che sorge sulla Piazza Tien An Men (Piazza della Pace celeste) a Pechino, quella della strage di studenti del 1989 (Piazza della Pace celeste, però!).
Che cosa significa che il papa attuale, a differenza anche del suo predecessore papa Benedetto XVI, così lindo e curato nel dire e nello scrivere (le sue Encicliche, a mio parere, sono le più belle e profonde degli ultimi cent’anni, assieme con la Rerum Novarum di papa Leone XIII, con la Quadragesimo anno di papa Pio XI, e con la Populorum progressio di Paolo VI), o del “possente” papa Wojtyla, così sicuro del suo dire e obiettivamente co-autore dei cambiamenti epocali del XX secolo, o del mite ma determinato papa Luciani, rappresentante della chiesa profonda del Popolo di Dio, secondo la Lumen gentium 1, oppure del colto e visionario papa Montini Paolo VI, autore della più importante enciclica “socio-politica” tra tutte, la Populorum progressio, ovvero del “rivoluzionario” e affabile papa Giovanni, che con la Pacem in terris, per primo tra i papi trattò il tema della convivenza tra tutti i popoli e convocò il Concilio universale, o del nobile e per nulla monolitico papa Pio XII, principe Eugenio Pacelli, che per primo tra i papi si affacciò alla modernità con tutte le sue innovazioni, non si perita di apparire anche contraddittorio e a volte anche un po’ strano, si ita dicere possum?
Provo a riflettere sui vari temi che riguardano l’agire e il dire di questo papa.
Sulla invasione dell’Ucraina, papa Francesco si è sempre tenuto un po’ in bilico tra le parti, pur avendo fin da subito condannato la – cosiddetta da Putin – “Operazione militare speciale” cioè l’aggressione all’Ucraina da parte della Federazione Russa, ma…, ad esempio, non ha mai citato per nome l’uomo di Leningrado (cito di proposito il nome sovietico della meravigliosa città settentrionale), Vladimir Vladimirovic Putin, e non ha esitato a dire che la NATO “ha spesso abbaiato ai confini della Russia“. Francesco ha anche definito il Patriarca di tutte le Russie presenti, passate, future e immaginabili, Kirill, “chierichetto del potere“, ma non avrebbe problemi ad incontralo in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Non so se papa Francesco si comporta in questo modo sull’aggressione della federazione Russa all’Ucraina per mantenere aperte tutte le porte possibili, al fine di favorire, intanto, uno stop ai combattimenti e l’avvio di trattative per una pace durevole, ma spero sia così. Anzi, sarà senz’altro così.
E spero che sia informato anche sulla tendenza storica, ancestrale, della Russia profonda, di tendere all’espansione, sempre e comunque, quasi impaurita dall’immensità misteriosa delle sue plaghe asiatiche, sempre difficili da “tenere”. In realtà, si può senza dubbio affermare che i Capi russi di tutte le epoche, dai primi csar del XV secolo a Vladimir Vladimirovic (attuale csar di tutte le Russie, passate, presenti, future e immaginarie, anche se speriamo che così non sia) hanno avuto la tendenza all’aggressione dei popoli e paesi confinanti di tutte le longitudini e latitudini, quasi emuli (anche se a suo tempo già aggrediti da costoro) dei famosi capi tribali e re dei Mongoli Genghis Khan e Timur Lenk, che non diedero limiti alla loro politica militare e di aggressione-espansione continua.
Bisogna , però, sempre tenere distante e distinto il giudizio che si può formulare sui capi della Russia succedutisi nel tempo, dal giudizio che si può dare del grande, meraviglioso, e (anche troppo) emotivo-affettivo, generoso Popolo Russo, così ben rappresentato da quelli che, a mio avviso, sono i più grandi scrittori degli ultimi due secoli, Puskin, Dostoevskij, Tolstoi, Cechov, Turgenev, Gončarov, Sholokov, Bukovskij (Vladimir, non Charles), il padre Florenskij, e poi i poeti Majakovskij, Lermontov, Blok, Anna Achmatova, Brodskij, tacendo di molti altri. Se voglio paragonare i Russi, specialmente i primi quattro o cinque ad altri scrittori europei, per grandezza, mi vengono in mente solo Dickens, Manzoni e Balzac, e forse anche Mann, Musil e Flaubert; e per i poeti Leopardi, Eliot, Baudelaire, Rimbaud, Montale e Garcia Lorca. Opinio mea discutibilissima, ovviamente. Questi sono i Russi e la Russia, e spero che papa Francesco ne sia informato.
Ascoltavo, in tema di Ucraina vs Russia, sulla 7 il professor Marco Revelli (sociologo, figlio del valoroso Tenente di fanteria alpina Nuto, socialista, che scrisse molto della tragedia dell’ARMIR) ammettere a denti stretti che Meloni è brava in politica internazionale, ma subito ipotizzando che l’attuale quadro “che la ha favorita” (vorrei capire in quale senso, ma il professore non l’ha spiegato, secondo me perché non aveva spiegazioni ragionevoli, e l’anziano uomo dell’accademia non è stupido, come certi politici della sua e, purtroppo, della mia parte) potrebbe cambiare con l’arrivo di Trump, e quindi lei, che si è fatta baciare sulla testa dal Presidente Joe Biden (che ha detto di provare una sincera simpatia e rispetto per la nostra Premier, e ciò forse attesta come i politici americani siano meno strutturati dalle posture della militanza, rispetto ai nostri), perderà queste posizioni di vantaggio che ha sugli altri capi europei. Boh. Si tratta dell’ennesima dimostrazione di come questi uomini di scienza, quando sono interpellati sulla politica, se sono schierati politicamente, non smettono di vestire i panni del militante, indossando – di contro – invece (opportunamente) il “tocco” e la toga accademici della scienza e dell’insegnamento.
Perché cito Revelli parlando di papa Francesco? Per indicare che il papa, a differenza del docente citato e di molti altri, ha la capacità di non interpretare mai la parte che i più si aspettano da lui, ma di sapere ogni volta stupire chi lo ascolta. E in questo, papa Francesco è sempre sorprendente e “profetico” nel senso vero e profondo del termine, che non significa, come nell’accezione generale comune, “predire-il-futuro”, ma vuol dire parlare con coraggio e vigore di verità davanti a re e imperatori, e a qualsiasi potentato della Terra (si cf. l’episodio biblico del profeta Nathan che rimprovera il grande re degli Israeliti Davide di avere concupito e sedotto la bella Betsabea, anche se da questo adulterio, comunque – siccome le vie del Signore sono infinite – nacque un re ancora più grande di Davide, Salomone, mandando a morire in battaglia, per lui, il marito generale Uria, cf. Bibbia, 2 Samuele 12; Salmi, Miserere 51, 1-4, “Abbi pietà di me, Signore…”).
Il linguaggio di Francesco, anche su queste tematiche così colme di dramma e tragedia, è spesso estemporaneo e perfin pittoresco. Jorge Mario Bergoglio è più argentino che italiano (del Piemonte), e pensa e parla in spagnolo nell’inflessione argentina (sicut supra iam scriptum).
Su Israele, Gaza etc., Francesco “si muove sulle uova”, ogni tanto “rompendole”, perché tirar fuori il concetto di “genocidio” per parlare dei Palestinesi uccisi a Gaza, che sono trattati obiettivamente – cinicamente – come scudi umani da Hamas, che così dimostra come non gliene freghi un accidente della sorte di quel Popolo, gli ha senz’altro portato il consenso dei molti che ignorano (purtroppo per loro e per chi è costretto, talvolta, ad ascoltarli sui media) la storia contemporanea, sia che siano manifestanti di piazza sia che siano docenti universitari emeriti (in Italia ne abbiamo molti), ma sta indebolendo (per grazia del suo e nostro Dio, non molto) la posizione di Israele, che è già inviso a 180 paesi dell’ONU su 205, ma non a Stati Uniti, Canada, Giappone, Italia, Australia, Regno Unito, Germania, Francia, Polonia, Argentina, etc., che non è poco. Io sto convintamente con questi (senza essere contro gli altri, e qui mi riferisco, ovviamente, ai capi e ai gruppi dirigenti, non ai popoli, che mi sono tutti egualmente cari, a partire dal popolo Russo), che sono Patria mia, nonostante i loro non pochi difetti. Anche su questo tema, mi auguro che Bergoglio conosca bene la storia dell’antisemitismo che ha riguardato per millenni (!) anche il mondo cristiano (cattolico, protestante e ortodosso), e distingua bene anche tra i vari sionismi, tra quello di sinistra, che ha prodotto il socialismo democratico del kibbutzim, da quello destrorso, che è tendenzialmente aggressivo e colonialista.
Il suo agire e dire, che è (deve essere) ecumenico e cattolico fino in fondo, cioè sempre rivolto e sensibile al tutto (come dice la stessa parola “cattolico”), non deve possibilmente mai creare ambiguità circa il diritto inalienabile degli Ebrei d’Israele di stare dove sono (territori che hanno ricomprato da possidenti arabi nella prima metà del XX secolo, auspici tutte le potenze del mondo, Russia compresa), perché lì erano da tremila anni e passa in qua, da dove sono stati cacciati, prima dai Romani nel I (imperante Vespasiano, per opera di suo figlio e futuro imperatore Tito) e II (imperante Adriano) secolo d. C., e poi da mille altri popoli, fino alla indicibile tremenda, criminale tragedia della Shoah, che è stata la quintessenza del genocidio, cui non si può assolutamente paragonare l’attuale tragedia del popolo Palestinese. Altrettanto, comunque, il papa si deve occupare (ma lui, ricordiamocelo, NON è il decisore su codeste vicende!) dei Palestinesi che soffrono pene inenarrabili, tra due fuochi, ma dovrebbero anche loro chiarire meglio che stanno con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) di Abu Abbas, con sede a Ramallah in Cisgiordania, e non con Hamas, che li tratta come scudi umani.
Sugli altri cristiani e sulle altre religioni, Francesco mostra un’apertura attiva, in linea con quella dei suoi predecessori, illuminati dalle esperienze e dai rapporti rinvigoriti nell’ultimo secolo con Protestanti e Ortodossi, e, per quanto riguarda le altre confessioni religiose, dal documento conciliare Nostra aetate voluto fortemente da Paolo VI. Pur confermando che il Cristianesimo resta, nella visione pontificia, il punto di riferimento strutturato del rapporto dell’uomo con Dio tramite Cristo, con Francesco la Chiesa cattolica è meno militante ed evangelizzante nei modi precedenti, perché questo papa preferisce la testimonianza dei fatti, della carità praticata, così applicando anche la dottrina del suo predecessore, papa Ratzinger, che aveva cominciato a parlare di un Cristianesimo capace di essere eventualmente minoranza sociale attiva e testimone di carità, che accetta anche uno stato di minorità numerica, ma sempre capace di essere lievito di crescita spirituale per tutti.
Sugli atei, papa Francesco è accogliente, sempre sulla traccia dei pontificati precedenti, almeno da quello di Giovanni XXIII, che ha aperto, de facto, con le sue Encicliche e con il Concilio Ecumenico Vaticano II, la Chiesa cattolica al mondo, e perciò è stato riconosciuto dal mondo come somma autorità morale. Quando si interpreta Francesco bisogna sempre ricordarsi che questo papa non è di cultura europea, ma latinoamericana e quindi oggettivamente “terzomondista” (ricordiamoci della Conferenza mondiale dei vescovi di Medellin, Colombia, avvenuta nel 1968, e si noti l’anno!, e della Teologia della Liberazione sviluppatasi in quel Continente a partire dagli anni ’60, che ebbe figure straordinarie come il vescovo di Recife, Mons. Helder Camara e martiri come Mons. Oscar Arnulfo Romero, ucciso dai miliziani fascisti del colonnello D’Aubuisson, in San Salvador nel 1980, ma anche i padri gesuiti Leonardo Boff e Gustavo Gutierrez, senza dimenticare il padre Ernesto Cardenal, frate trappista e poeta nicaraguense, ministro del primo governo Ortega, prima progressista e poi militarista fascistoide, aspramente rimproverato da papa Wojtyla), per cui certi suoi comportamenti e atteggiamenti, se osservati con le lenti del Vecchio continente, possono risultare incomprensibili.
Papa Francesco, usando un vecchio schema concettuale della sociologia, è un “terzomondista”, un Sudamericano che conosce anche le culture locali, che sono ancestrali, come le religioni primarie di tipo animistico. Chi si scandalizza perché in qualche frangente ha ammesso la presenza in Vaticano di credenti tribali dell’Amazzonia, che hanno portato i simboli della loro Mater fecunda, (la Cerere, dea “olimpica” della fertilità e della Terra, di quelle popolazioni) la Pachamama (letteralmente la Madre Terra) delle popolazioni Inca, non comprende questa dimensione comportamentale del papa. Peraltro, l’espressione Madre-Terra si trova anche nella sua, finora, più importante Lettera enciclica, la Laudato sii: si tratta di un’espressione, ancora più che terzomondista, piuttosto “francescana”, nel senso di Francesco d’Assisi, del quale Jorge Mario Bergoglio ha voluto riprendere il nome, unico nella storia della Chiesa, santo che del suo rapporto con la natura e gli animali ha fatto un segno e un indirizzo. Basti ricordare i suoi discorsi agli uccelli, al lupo di Gubbio e ai maiali dopo il primo incontro con papa Innocenzo III (al secolo Lotario dei conti di Segni), così come sono riportati dalla biografia di Francesco di frate Bonaventura da Bagnoregio.
Sui principi morali, sull’aborto, sui diritti civili, etc., Francesco tiene la barra dritta della tradizione cattolica, anche se con delle differenze. Se sul delicato e doloroso tema dell’aborto, papa Francesco si pone sulla linea intransigente dei suoi predecessori e in generale della Chiesa cattolica, sul tema dei diritti, come in tema di omosessualità, si mostra molto aperto e disponibile al confronto tra le diverse etiche della vita umana, e questo lo pone in una situazione in grado di dialogare con chiunque, anche se ciò non lo mette al riparo da accuse di ambiguità e di non rispetto della tradizione magisteriale. Alcuni sacerdoti e presuli si ribellano alle aperture papali e costringono Francesco a prendere misure severe nei loro confronti. Francesco continua nella pulizia della Chiesa dai peccati degli abusi sessuali denunziati in molte strutture ecclesiali del mondo, anche se alcuni ritengono che né Benedetto (che comunque il Venerdì Santo del 2005 aveva tuonato durante la Via Crucis al Colosseo contro la “sporcizia” presente nella Chiesa, ricordo che guardando il cardinale Ratzinger mentre pronunziava quelle parole, rimasi colpito come da un pugno nello stomaco), né Francesco abbiano fatto abbastanza per prevenire e punire. Resta, presente papa Francesco, un drammatico vulnus nell’ambito del “mondo vaticano”, quello che riguarda la giovanissima Emanuela Orlandi (e fors’anche Mirella Gregori), che sparì nelle vicinanze degli ambienti pontifici il 22 giugno 1983. Caso ancora da risolvere.
Sull’economia e sullo sviluppo economico e sociale, papa Francesco si colloca su un versante che si può definire intermedio tra il modello liberista-capitalista, che spesso critica duramente, per non essere sensibile (tutt’altro!) agli aspetti sociali, e quindi evangelicamente insufficiente (comunque consapevole che anche il modello di tipo sovietico non ha risolto i problemi sociali, coniugando giustizia e libertà), e quello progressista storicamente declinato nei vari “socialismi” ideologici e/o nazionali. Francesco non si è comunque mai schierato con la parte “socialista” (utilizzo questo termine con due virgolette, intendendone… quattro, perché il socialismo è, deve essere, qualcosa di molto diverso, dallo stalinismo (e anche dal leninismo), dal polpottismo cambogiano, dall’egualitarismo maoista, peraltro falso, e da quell’orrore della dinastia di Kim Il Sung in Corea del Nord). Francesco è un uomo evangelico, un uomo che ritiene le Beatitudini evangeliche (cf. Matteo 5, 3-12), possano essere, anche da sole, la linea guida per l’agire politico-sociale. Condivido profondamente questa tesi, che – a mio parere – è anche la base per il liberalismo e il socialismo democratici. Tommaso d’Aquino docet in materia.
Sulle carceri, papa Francesco è l’uomo delle opere di misericordia, tra le quali l’attenzione ai carcerati è una dimensione primaria. Anche su questo, però (avversativa), papa Francesco, oltre alle sue profetiche intuizioni e gesti, come l’apertura della seconda Porta Santa al carcere di Rebibbia in quest’ultimo Natale, potrebbe, secondo me, evitare certe espressioni come questa “perché siete voi qui e non io?”, espressione certamente di immensa fraternità tra eguali, ma forse più sconcertante che ispirativa, anche se poi ha concluso – un po’ correggendosi – con queste parole “…non perdere la speranza, è questo il messaggio che voglio dare a tutti noi, io per primo: non perdere la speranza“. Certamente, la speranza, come virtù e come passione, che aiuta a guardare a un futuro che si può co-costruire con le circostanze e gli eventi che avvengono, e che non sono controllabili dall’umana volontà del singolo. Tornando alla domanda di cui supra, certamente si deve considerare che essa è retorica, e quindi non meritevole di una risposta razionale, perché meramente, appunto, retorica. A mio avviso si è trattato di un dire popolano, e nel contempo sofisticato. Da evitare. Epperò il sotto (quanto “sotto”?!) segretario di governo Andrea Del Mastro dovrebbe andare a scuola (e ancora farebbe a tempo, se volesse) da papa Francesco!
Sulla teologia cristiano-cattolica, papa Francesco non interviene con documenti di carattere dogmatico, per due ragioni, a mio parere:
prima di tutto perché la riflessione teoretica non è nelle sue corde, come invece era nella cultura di papa Benedetto XVI, il quale è stato (parole sue) “la fine del vecchio e l’inizio del nuovo“, che è papa Francesco;
secondariamente perché ritiene di parlare meglio con i fatti e gli atti che compie, che sono di per sé “teologici”.
Le tre encicliche di papa Francesco, la Spe salvi, la Laudato sii e la Fratelli tutti, sono senz’altro la sua teoresi cattolica, che si caratterizza per un’attenzione continua e instancabile per l’uomo, in tutte le sue situazioni pratiche, l’uomo nell’ambiente-terra, che è violato dalle pratiche di conquista e di sfruttamento. In questo senso, il gesuita Bergoglio è profondamente e coerentemente “francescano”.
Sul futuro (certamente non distantissimo nel tempo) Conclave, Francesco sembra avere le idee chiare. Quando qualcuno, a fronte di qualche evidente malanno o segno di stanchezza, ebbe già a chiedergli se potesse o volesse imitare il suo predecessore con la rinunzia al “Ministero petrino”, rispose che lui non intende affatto “dimettersi”, ma che certamente ascolterà il suo fisico, il suo spirito e ciò che gli suggerirà lo Spirito Santo. Intanto, in diversi concistori, sta nominando molti cardinali non-europei, e ciò significa in modo chiaro che Francesco ha in testa una Chiesa sempre più mondializzata. Si deve sapere che la nomina dei cardinali spetta esclusivamente al pontefice, e la sua scelta deve cadere su uomini che siano già stati nominati sacerdoti e che eccellano per dottrina, moralità, pietà e prudenza di comportamento.
Confidiamo nella sua saggezza, che per il Cristiano coincide con il Dono dello Spirito Santo che si chiama Sapienza.
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