Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Dell’arroganza degli incompetenti, o (alio modo dicendi) degli ignoranti “tecnici”, e del pericoloso, anche se grazieadio parziale, oscuramento del pensiero critico, anche a causa di sub-culture come quelle denominate “woke”, “politically correct” e “cancel culture”, che speriamo siano finalmente progressivamente sconfitte, azzerate e buttate nell’immondezzaio della storia, come merita ciò-che-è (a mio convinto parere) un puteolente regresso intellettuale e morale, ma per ottenere ciò dobbiamo impegnarci seriamente. Un’altra malattia cognitiva e morale contro la quale è necessario combattere è la vecchia eresia del “manicheismo”, ancora diffusa ovunque, battaglia sulla quale mi impegnerò

Caro lettore, ho già scritto molte volte, qua e là e nel tempo (e ne ho anche parlato pubblicamente in varie occasioni e luoghi), su questo tema o su temi affini, come quando ho distinto tra i concetti-sintagmi di ignoranza-tecnica (incolpevole se non viene proposta come conoscenza) e ignoranza-morale (colpevole). Ne riparlerò brevemente in questo articolo trattando anche altri temi, comunque connessi tra loro.

In maniera ricorrente mi capita di incontrare persone o di vivere situazioni (a volte – purtroppo – semi-obbligate), che mi fanno riflettere sulla conoscenza umana, come dimensione fondamentale della vita e della convivenza tra le persone.

L’antica lezione di intelligente umiltà attribuita a Socrate, immortalata nel famoso detto “so di non sapere“, che un po’ trova degli echi nell’aforisma, altrettanto umile, ma più prescrittivo, di Ludwig Wittgenstein (cf. Tractatus Logico-Philosphicus) “Di ciò che non si sa si taccia“, trova spesso contraddizione, se non netta contrarietà in molte delle situazione citate.

Cito in proposito anche il concetto di Docta ignorantia, l’ossimoro con il quale Niccolò da Cusa amava sottolineare che sono più numerose le cose che non conosciamo rispetto a quelle che conosciamo, o pensiamo di conoscere. E, infine, vale la pena di ricordare la recente ricerca degli psicologi David Dunning e Justin Kruger, che descrissero il duplice fenomeno, denominato distorsione cognitiva, dell’auto sopravvalutazione, e di contro, quello opposto della sottovalutazione di sé. tanto per dire come il tema abbia colpito, nel tempo, studiosi della psiche e dei comportamenti umani di ogni genere.

Molto spesso, nei più vari contesti vi sono persone che intervengono su qualsiasi argomento, anche evitando di premettere la frase “per me è così“, frase che darebbe tranquillamente accesso dialogico e dignità razionale a ogni giudizio sotto forma di opinione, ad esempio, in campo estetico. Più spesso, invece, si ascoltano giudizi perentori, senza appello, che vogliono far risultare oggettivo un giudizio, che è in verità una mera opinione, e quindi è, per sua natura, soggettivo. Rispettabile (chiunque può dire qualsiasi cosa, salvo accettare di essere smentiti, e cercando sempre di non offendere l’interlocutore), ma sempre contestabile, oppure condivisibile. Un esempio in negativo: “l’arte moderna fa schifo“: si tratta di un’affermazione, a mio avviso, illegittima sotto tutti i profili. La persona che proferisce un giudizio del genere dovrebbe dire “a me l’arte moderna non piace per nulla“. Questa seconda espressione permetterebbe un dialogo civile anche tra una persona incompetente in materia e un illustre critico d’arte.

Queste persone fanno fatica a premettere che si tratta di un’opinione personale (“secondo me questa cosa è…”) che, ripeto, è sempre legittima, anche quando è strana, incompetente o assurda, espressa a volte con la pretesa di contrastare validamente l’opinione di un interlocutore molto competente sull’argomento di cui si tratta, e arrabbiandosi se gli/ le si fa notare che non ha titoli e conoscenze per pontificare, e nemmeno per intervenire su tale argomento. Per un insieme di fattori, soggettivi, emotivi e caratteriali e a volte anagrafici, quella persona non starà zitta, perché riterrà che ogni, anche motivata e fondata contestazione alla sua tesi incompetente, quindi “tecnicamente ignorante”, è un attacco alla sua persona.

Allora si è di fronte a un dilemma giammai banale:

a) o starsene definitivamente zitti, per non rovinare l’atmosfera di un convivio parentale o amicale, e addirittura un’amicizia, oppure

b) provare a far capire che l’argomento, per essere affrontato nei modi dovuti, richiede una certa conoscenza delle basi dell’argomento stesso come, a mero titolo di esempio, le dottrine socio-politiche o le tesi etico-filosofiche, che sono spesso oggetto di pessime banalizzazioni nell’ambito dei talk show e sul web.

Siccome a volte (illudendomi, forse un po’ idealisticamente, nell’accezione comune e non storico-filosofica) mi sento un piccolo e umile “missionario della conoscenza”, proprio per rispetto della conoscenza, che non si può improvvisare, spesso mi imbarco (e, a volte, errando, mi impanco) in missioni pressoché impossibili. Ma di ciò mi accorgo sempre dopo, a frittata fatta, da conseguenze evidenti come voci alzate di tono, e musi lunghi.

Vengo dunque alla parte teoretica, che consiste in un breve ripasso del tema dell’ignoranza, che distinguo tra tecnica e morale. Sopra, tra parentesi, ho ammesso che l’ignoranza tecnica non è colpevole se l’attor protagonista, o l’attante (cf. Brentano e Husserl) non insiste sulle “sue”, e comincia ad ascoltare, mentre invece l’ignoranza morale presuppone che si conoscano gli effetti (perlomeno, errati, se non dolosi) del nostro agire/ dire, e anche omettere sull’oggetto (che può consistere in sé stessi, negli altri, nell’ambiente, etc.) delle proprie parole e azioni (perché anche l’omissione è un “peccato” o comunque una scorrettezza relazionale e anche – se pure laicamente – morale), e quindi di esse ci si rende responsabili. In questo secondo caso si tratta di una espressione di un’etica del fine dove il fine è la tutela psico-fisica integrale dell’uomo e della natura secondo regole naturali e anche positive (leggi e regolamenti umani-statuali).

Faccio un esempio lavoristico, cioè concernente il mondo del lavoro, molto importante sotto il profilo della tutela dei lavoratori, su cui esistono molte norme, ma il più di questo tema è consegnato ai comportamenti individuali e delle organizzazioni aziendali: se il lavoratore o il responsabile ignorano le regole della sicurezza e mettono a repentaglio la propria e l’altrui incolumità, sono doppiamente colpevoli: di ignoranza tecnica (che in questo caso non è ammessa) e di ignoranza morale, ancor meno ammissibile, e quindi direttamente colpevole, perché la persona in questione ignora volutamente le possibili gravi conseguenze del proprio agire sbagliato, superficiale e comunque illecito, e alla fine è soggetto colpevole, secondo le due fattispecie giuridiche della colposità o del dolo. Tant’è che le normative e le procedure della tutela della salute e sicurezza sul lavoro, viste le vicende concrete in tema, anche in quest’ultimo anno in Italia, che sono bene note, in ragione di fatti talora tragici, e mediante i controlli a vari livelli, le contestazioni e le sanzioni che possono giungere anche dalla Pubblica giurisdizione.

Torno a un altro argomento, a me molto caro, che ho anche recentemente trattato, quello del rapporto biunivoco e reciprocamente (a mio avviso) escludentesi, quello tra scienza come conoscenza da un lato, e militanza politica dall’altro, due ambiti da tenere – per quanto possibile – rigorosamente separati, al fine di evitare un’ulteriore oscuramento del pensiero critico e per coltivare quello che è il suo principale supporto morale, l’onestà intellettuale.

Da anni stiamo vivendo, subendolo dal mondo anglosassone, il rischio del pensiero woke, che è una sub-cultura di origine statunitense, assieme ai connessi connotati del politically correct e della cancel culture.

Woke (letteralmente “sveglio”) è un aggettivo inglese con il quale ci si riferisce allo “stare all’erta”, “stare svegli” nei confronti (si intenderebbe) delle ingiustizie sociali o razziali. La voce è entrata nei dizionari della lingua inglese nel 2017 attraverso il movimento attivista statunitense Black Lives Matter. Nasce dunque con buoni intenti, ma ha finito con l’essere il veicolo di un fanatismo iconoclasta (in questo caso e modi si rompono le “icone” dell’intelligenza e della conoscenza) inaccettabile, rozzo e ignorante oltre ogni limite.

Nell’ampio dibattito che ha interessato i paesi anglosassoni negli ultimi anni sulle rivendicazioni delle (cosiddette) minoranze, che si parli di orientamento sessuale o di identità di genere, di origini etniche o di disabilità, sono emerse diverse nuove parole che sono poi cominciate ad affiorare nelle discussioni, anche in Italia, prima nelle nicchie socio-comunicative, e poi in modo sempre più trasversale.

Solo per memoria, in breve sintesi riporto quanto sostiene questa pessima linea di pensiero, se così si può definire: se un letterato, nei suoi racconti o romanzi, non pone sullo stesso piano donne e uomini, anche se si tratta di uno scrittore barocco, a mero titolo di esempio, è meglio dimenticarlo, se non cassarlo. In questo caso è evidente l’enorme stupidità della proposta, che grazieadio non è realizzabile, se non a fronte di un impazzimento totale degli editori. Un po’ più facile è realizzare un’operazione del genere con i comics cinematografici, nei quali una fiaba dei Fratelli Grimm, ad esempio quella che prevede la figura di una strega cattiva da rendere meno malvagia. La tentazione di agire in questo senso, pare abbia preso anche la gigantesca Disney Co., ma senza grandi conseguenze negative, per ora

Un altro esempio: la “cultura” woke e affini propone, a volte anche agendo di conseguenza, di abbattere le statue dedicate a Cristoforo Colombo, perché proto-colonialista e pioniere della distruzione delle culture native amerinde. L’idea e le iniziative collegate sono e restano assolutamente stupide, perché presuppongono semplicemente che si possa riscrivere la storia dei fatti accaduti. A costoro, che dovrebbero studiare (non dico “studiare di più”), studiare, studiare, perché se agiscono così sono profondamente ignoranti “tecnici” e “morali”. Se studiassero comprenderebbero che alla storia umana non si applicano criteri ermeneutici etici o addirittura moralistici alla luce del pensiero attuale, ma si debbono applicare criteri interpretativi rispettosi del pensiero del tempo nel quale i fatti e i misfatti che vuole cancellare sono accaduti. Ad esempio, se questi ignorantoni studiassero imparerebbero che al tempo delle “imprese” dei Cortez e dei Pizarro, il padre domenicano Bartolomé de Las Casas denunziava gli abusi dei conquistadores ispanici sui nativi e di ciò avvertiva le “Sovranità cattoliche” di Spagna a Sua Santità il papa di Roma; costoro imparerebbero che le prime università latino americane, aperte anche ai nativi, sono state istituite dai Padri gesuiti già dalla seconda metà del Cinquecento, di cui quella di Cordoba, in Argentina è la prima in ordine di tempo. E molto altro. La storia non va corretta, ma studiata e conosciuta dalle fonti e dalle ricerche specifiche, e non giudicata con il metro morale di oggi, ovvero, si può dire che Tamerlano e Genghis Khan erano crudeli, ma bisogna aggiungere che la crudeltà era la cifra dei confronti militari del loro tempo e tale è rimasta anche nel nostro tempo. Altra cosa ancora è esprimere un giudizio morale e socio-politico definitivamente e drammaticamente negativo sul nazismo e sugli altri crimini dei tempi nostri, che sono avvenuti l’altro ieri e sono collocati ai confini tra la cronaca e la storia.

Propongo un altro tema: sono convinto che una delle ragioni, se non la principale, di crisi delle culture della sinistra politica (cui appartengo), di cui potrei fare dei nomi in grande evidenza, sia proprio l’adesione a-critica a parte di queste sub-culture, per l’illusione di riuscire a dialogare con tutti, ma, al contrario – curando i cultori di queste povere cose, si perdono i molti, anzi i più, che storicamente stavano e stanno da codesta parte politica.

Parliamo anche un attimo del fenomeno Musk e affini, dell’America, dell’India, della Russia, della Cina, e di altre nazioni, e del cosiddetto deep state, che sub-governa molti processi con la finanza e le multinazionali della guerra e del farmaco. Il mondo è caratterizzato da mille e mille varianti politiche e sociali, nelle quali si trovano situazioni estreme, soprattutto per quanto attiene alla distribuzione e all’uso delle risorse. L’ingiustizia si è modificata, obbligandoci a leggerla con occhiali diversi da quelli che usarono Karl Marx e Friedrich Engels a metà del XIX secolo. Oggi, anche le posizioni politiche legate alle analisi sociologiche devono essere aggiornate. E questa è funzione, non della militanza, ma del pensiero critico, che è in… grave crisi. Se un secolo e mezzo fa, e fino a mezzo secolo fa si doveva parlare di disagio proletario e sottoproletario, oggi si deve aggiungere a questi ceti, come categoria disagiata, se pure in modo e misura differente, anche il ceto medio, la borghesia produttiva degli artigiani, dei professionisti e delle piccole imprese, soprattutto in Europa dopo l’unificazione monetaria.

Un altro tema è quello confusivo del rapporto tra crisi climatica e inquinamento antropico, che sono due causali generative di tipo diverso, mentre invece a volte pare che siano, da molta pubblicistica che è propaganda, pressoché unificati: un fattore agente è l’inquinamento antropico sui cui l’uomo può intervenire, fattore che può avere anche effetti sull’ambiente e anche sul clima, e una cosa diversa, più complessa e afferente le grandi derive geologiche, è il tema del clima in sé, che dipende assolutamente, più che dall’agire umano, da elementi strutturali cosmici su cui l’uomo non può avere parte attiva. Si studino i dati geologico-statistici nella prospettiva dei milioni e dei miliardi di anni (oltre quattro!) dell’età della Terra, per esprimere umili giudizi di merito! Ciò scrivendo, rischio di farmi dare del negazionista, ma nulla me ne cale.

Tutto quanto ho voluto rappresentare in modo sintetico in questo articolo si può riassumere nella constatazione di una progressiva difficoltà del pensiero critico, cioè filosofico, di riprendere il suo posto-nel-mondo e nelle menti.

Il pensiero critico è presieduto dal sapere filosofico e da questo è proposto agli altri saperi, come meta-conoscenza, cui ogni specialità disciplinare deve fare riferimento, per ragioni che mi permetto di definire “classiche”, in quanto la filosofia/ pensiero critico ha a che fare, sia con il flusso logico della riflessione umana, così come è stata analizzata dai pensatori antichi e, sia pure con lessici differenti, confermata dalle moderne scienze psicologiche, sia con l’etica, e dunque con le scelte morali dell’uomo.

Il pensiero critico viene da lontanissimo, dai tempi delle prime legislazioni conosciute, nasce con la fondazione delle città e delle prime norme giuridiche, nasce (in Occidente) circa quattromila anni fa nel Vicino Oriente (con la Stele di re Hammurabi, con i testi socio-giuridici della Bibbia: Esodo, Deuteronomio, Levitico, con il Diritto Egizio…), proprio dove oggi sembra essere fortemente obnubilato. E poi si è evoluto con la grande Filosofia greca e con il Diritto romano. Nel Medioevo, prima la Scolastica, che ha recuperato il pensiero classico, e in seguito la Rivoluzione filosofico-scientifica del XVI secolo hanno introdotto la modernità con l’Illuminismo e la stagione dei Diritti dell’uomo, fino ai nostri tempi.

Vi sono ancora luoghi e nazioni dove non è ancora avvenuto un Illuminismo, come dire che dove governano i teocrati o i dittatori ci si trova indietro di duecento e cinquanta, trecento anni di civiltà.

Colà è come essere ai tempi del Re Sole, Luigi XIV.

Di contro, negli ultimi vent’anni, proprio nel mondo sviluppato, in Occidente, negli USA in primis, è emersa una sub-cultura che ha messo in grave difficoltà il pensiero critico, la sopracitata “woke, cancel and politically correct culture“.

Una sub cultura contro la quale occorre lottare senza tregua fino alla sua sconfitta.

Lottiamo affinché questa sub-cultura, assieme con le altre sue rappresentazioni del politically correct e della cancel culture, cessino e finiscano nell’immondezzaio della storia, al fine di ri-vitalizzare il Pensiero critico, che è la rappresentazione primaria del nostro essere sapiens sapiens, primati evoluti, in modo da poter dire che siamo fatti non solo di corpo e mente, ma anche di spirito.

(Post Scriptum)

(Arthur Travers Harris, soprannominato Bomber Harris (Harris il Bombardiere) o Butcher Harris (Harris il Macellaio) (Cheltenham, 13 aprile 1892 – Henley-on-Thames, 5 aprile 1984), è stato un generale britannico del Bomber Command della Royal Air Force tra il febbraio 1942 e il settembre 1956.

Troverò il modo di parlare scrivendo di questo cinico ufficiale, che mi piacerebbe fosse riconosciuto come “criminale di guerra”, che ci ha “liberati” dal nazifascismo distruggendo molta parte delle città italiane e monumenti e opere d’arte: in proposito si ricordino gli attacchi in picchiata dei suoi caccia Spitfire e Lancaster contro le due Torri, Asinelli e Garisenda, di Bologna, contro San Petronio e San Francesco, sempre a Bologna, etc.) e ammazzando oltre 50.000, forse 60.000 Italiani, sostenuto dal suo degno compare Sir Winston Churchill.

Sarà un capitolo della mia umile battaglia contro ogni manicheismo teorico-morale)

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