Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

I pecoroni

Lo spirito gregario appartiene alla natura umana, così come – di contro – vi appartengono le opposte caratteristiche della leadership. Nel caso di cui qui tratto, è evidente che lo spirito gregario coinvolge molta parte (non so se la maggioranza, ma penso e spero di no) di una categoria di funzionari dello Stato, che assolvono a compiti della massima importanza nel civico ambito della società attuale, i magistrati.

A distanza di due o tre anni non avrei mai pensato di trovarmi (in questo caso) dalla parte di Meloni, non da un punto di vista politico-partitico (ciò che non sarà mai), ma dal punto di vista di un importante tema istituzionale, quello della separazione delle carriere tra magistratura inquirente (i procuratori della Repubblica) e giudicante (i giudici).

La situazione politica in Italia, in questi primi del 2025 è complicata, ma anche – qualcuno potrebbe dire paradossalmente – solida, pure se un pochin stolida. Il Governo non deve temere alcunché da opposizioni divise e deboli, che vanno dall’inutile e patetico trombonismo di Conte, al sorriso triste di Schlein, alla prosopopaica albagia renziana, passando per l’inutile e noioso passeggiar romano di Bonelli, talora tallonato dal suo sodale Frate Janni, per finire con l’expertise saccente del pariolino de naontri, el sor Calenda.

Dalle parti di sora Giorgia troviamo l’imbolsito Salvini, il saggio Tajani e poi la congrega di nesci che va dalla stagionata prepotenza muliebre di Santanché alla difficilmente auscultabile affabulazione d’Urso (genitivo) e di Lollo Brigida, con il contorno di altre piccole figure – e un po’ squallide – come Del Mastro, quello che non vuole “far respirare i detenuti nel cellulare” (parole sue vergognose).

Tra gli inascoltabili inserisco i giornalisti, di ambo i fronti, da Del Debbio a Porro alla Gruber, dalla Fusani a Barbacetto, da Belpietro alla Panella. Quando compaiono alla mia vista li azzero. Perché costoro, a mio avviso, sono 0, soprattutto dal punto di vista dell’onestà intellettuale, poiché le loro competenze sono, in generale. approssimative e imprecise. Un esempio: quando uno/a di costoro si trovano a dialogare con un illustre professore di diritto costituzionale (Fusani vs prof. Cassese), cercano di competere nel merito, facendo ovviamente figure barbine.

La riforma della giustizia altro non è che l’applicazione del dettato costituzionale, che recita: Resta fermo, nell’art. 107, co. 3 Cost., che “i magistrati si distinguono tra loro soltanto per la diversità delle funzioni”, introducendo così il principio delle “distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti”, la cui disciplina viene demandata alle norme sull’ordinamento giudiziario (art. 2 del d.d.l., di jan 21 “Riforma Cartabia”).

Peraltro lo suggeriva con cristallina chiarezza oltre trentacinque anni fa il giudice Giovanni Falcone e in queste settimane lo suggerisce il professor Sabino Cassese, molto critico con i pecoroni deambulanti, costituzionalista molto più esperto di giornaliste e giornalisti sopra citati (di cui malinconicamente non reitero i nomi).

Battaglia corporativa quella dei giudici, che si occupano e spendono energie per un obiettivo sul quale saranno miseramente sconfitti, magari – sperabilmente – anche con l’avallo popolare di un referendum confermativo, invece di occuparsi delle carceri, degli innocenti condannati e non risarciti, della burocrazia che blocca l’economia, e di molto altro che gli spetterebbe fare per il bene dell’Italia e dei suoi cittadini.

I pecoroni sono quelli che voltano le spalle al ministro Nordio, con in mano una copia della Costituzione, e se ne vanno, come “le ochette del pantano/ (che) vanno piano piano piano,/ tutte in fila come fanti,/ l’una dietro e l’altra avanti”. Che tristezza.

Occorre recuperare con rigore Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu!

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