Il senso del “sacro”, la “religione”, la “fede”, le religioni, il Cristianesimo, la Chiesa cattolica
Un titolo come quello da me proposto qui sopra può far pensare al lettore – a mio avviso – due cose radicalmente diverse: la prima è questa: “Renato è (definitivamente) impazzito” (poiché un titolo siffatto, per redigere un testo dignitosamente adeguato, prevederebbe di investire più di un’esistenza, la mia in questo caso, until remains… my life, detto scherzosamente ma non troppo, e alcune decine di volumi da mille e più pagine l’uno), oppure, la seconda potrebbe così risuonare: “Renato vuole impegnarsi a offrire una sintesi generale sui temi indicati, interpellando le scienze teologico-filosofiche e sociologiche – per quanto e per come è in grado di fare – quasi poco più che per titoli o forse per sommari (come è in uso), di uno scenario culturale e conoscitivo smisurato“.
Ragionevolmente plausibile e del tutto vera è questa seconda ipotesi.

Cercherò, infatti, di partire da una prima fondamentale distinzione, quella tra i tre termini “sacro“, “religioso” e “fideistico“, oppure “teologale“, che sono spesso malamente utilizzati come sinonimi da pretenziosi incompetenti, che abbondano assai nella politica, nei media e in parte anche nel “mondo religioso” globalmente inteso. Si badi bene, “teologale”, non “teologico”, che significherebbe afferente “lo studio delle-cose-di-Dio per rapporto con l’uomo“, vale a dire ciò che concerne il “divino” per rapporto alla fede personale.
Troppo difficile? Non credo: semplicemente un uso opportunamente rigoroso dei termini, perché la confusione su questi temi è gigantesca ed è utile portare, se possibile, un piccolo contributo, per dipanare la confusione. La explicatio terminorum, se ne potrà pacificamente convenire, è sempre stata una sana abitudine di autori umili e seri.
Non ho molto percepito un esempio di tale abitudine nell’ultimo Sinodo della Conferenza Episcopale Italiana, la CEI, nel quale si è evitato accuratamente di parlare della gravissima crisi della partecipazione spirituale e pratica ai riti cattolici, privilegiando piuttosto l’attenzione a temi socio-culturali e morali come quelli concernenti i temi del “genere”, dell’omosessualità e del LGBTQ+, mentre invece – come attestano serissime ricerche sociologiche italiane e non (basta cercare sul web digitando i titoli adeguati) – pare che le persone cerchino (di nuovo? …non credo) risposte ai grandi temi dell’esistenza, quelli che una volta il catechismo cattolico di san Pio X definiva “I quattro Novissimi: Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso“, e che ora si possono definire “Le Cose Ultime“, che sono anche, obiettivamente, le Prime, vale a dire ciò che veramente conta e interessa alla persona umana pensante: Nascita, Crescita, Morte, con i suoi correlati di malattia, salute, sicurezza, risorse economiche per la vita, etc.
Sul “sacro”
Non si può non partire dal tema del sacro, che umanamente concerne tutti gli esseri umani. il “sacro” è infatti tutto ciò che esula dall’esplicabilità razionale, collocandosi in una dimensione “altra”, misterica, sorprendente, e anche paurosa. L’uomo ha avuto da sempre a che fare con il sacro, e anche con il religioso e il teologale, cioè con le tre dimensioni che si possono dire di “oltrepassamento” della condizione umana, in ogni antropologia filosofica o teoria dell’uomo sull’uomo stesso e sulla natura.
Ognuna di queste dimensioni, si può dire, è concettualmente “contenuta” nella successiva, proprio nell’ordine sopra proposto: a) il sacro come estensione che comprende b) il religioso come estensione che comprende c) il teologale. Ogni tempo e cultura si è affacciata in modi diversi al timore e tremore… del sacro. Innanzitutto, entrando nel merito, si tratta di chiarire brevemente l’etimologia e i campi semantici del termine “sacro”, soprattutto delle aree linguistiche greco-latine e italiana: lo ι̉ερός (forte, potente, vigoroso, sacro) e il sacer; l’α̉γιος e il sanctum, il sacro e il santo (come sancito, separato, etc.), il sacro e l’esecrando, il sacro e il pro-fano, ciò che sta di fronte al fanum, al tempio, das Heilige, etc..
Il sacro, aggettivo e sostantivo nel contempo, da una prospettiva linguistica, è una amplissima polisemia. Il senso comune della realtà prevede/contempla l’esperienza del sacro, che è, contrariamente a una certa opacità delle esperienze quotidiane, un’esperienza assoluta di realtà. All’interno della questione del Sacro, si deve partire da uno studio della fenomenologia del Sacro, nel senso del “come il Sacro appare” e si configura, in particolare nelle riflessioni e ricerche di Rudolf Otto. Mi sto riferendo al volume di R. Otto Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino, e la sua relazione al razionale, (Das Heilige. Über das Irrazionale in der Idee des Gottlichen und sein Verhaltnis zum Razionalem, Breslau 1917, II ed. rivista dall’autore nel 1936, trad. it. di Ernesto Bonaiuti, ed. Zanichelli, Bologna 1926, Feltrinelli, Milano 1966 e 1984).
R. Otto indaga l’essenza autonoma del fatto religioso sia sulla base dell’osservazione della coscienza religiosa individuale, sia circa l’imporsi oggettivo e irresistibile del suo manifestarsi come esperienza assoluta dell’Essere. Per lui il manifestarsi del sacro è un “ritorno alle cose stesse” nella loro datità originaria, secondo i principi fenomenologici espressi da Husserl, cui il nostro faceva in parte riferimento.
Per Rudolf Otto la religione comincia con sé stessa, cosicché bisogna indagare su ciò che ne costituisce l’intima essenza, cioè la categoria del Sacro. Senza il Sacro, dunque, non vi sarebbe religione: sacro e re-ligione, entrambi, infatti, hanno qualche attinenza semantica con la nozione di separazione. Sacro come “recinto” che sta-di-fronte-al-tempio; religioso come un qualcosa che lega (Agostino) o che re-lega, separando. Anche “religione” è un termine ampiamente polisemico. (Cf. dimensioni ed elementi teologico-metafisico-razionali ivi presenti, ed elementi e dimensioni a-razionali, ineffabili, incomprensibili, altrettanto presenti, anche se non spesso contemporaneamente, sempre per rapporto alla coscienza e alle conoscenze individuali).
Ciò è chiamato da Otto numinosum, il quale è extra-razionale ed extra-etico, e suscita un sentimento creaturale, di dipendenza, un senso di debolezza di fronte ad una realtà indicibile e superiore: cf. Gn 18, 27 dove Abramo dice a JHWH: “(…) mi sono fatto forza di parlare con te, io, che sono terra e cenere”.
Il Numinosum per Otto è composto da suoi peculiari momenti e dimensioni, come vedremo.
Otto, comunque, completa la definizione così: il sacro è Mysterium tremendum et fascinans. Vi è innanzitutto un rapporto fra Mysterium e tremendum: senza il tremendum il Mysterium è solo mirum, non ancora admirandum. Mysterium 8cf. etimologia dal verbo greco μύω, ειν,“nascondo, nascondere”, e del sanscrito muš, “nascosto, occulto, segreto”), perché genera meraviglia, stupore, incertezza, sbigottimento (Cf. Agostino, Confessiones, XI, 9, 1 “Quid est illud, quod interlucet mihi et percutit cor meum sine lesione! Et inhorresco, et inardesco. Inhorresco in quantum dissimilis ei sum. Inardesco, in quantum similis ei sum”, trad. mia: Che cosa è quella cosa che mi illumina e colpisce il mio cuore senza ferirlo! E inorridisco e mi incendio. Inorridisco in quanto sono dissimile da quella cosa. Mi incendio in quanto sono simile a quella cosa.) Sant’Agostino cerca di dare il senso dell’assoluta alterità di ciò che percepisce, per cui è confuso e straniato, e prova due sensazioni, ambedue fortissime, la prima è di terrore, la seconda è di adesione totale.
Mi pare di poter dire – senza eccessivo azzardo – che questa immagine agostiniana, in qualche modo sembra echeggiare forme di partecipazione dell’anima individuale, l’atman, al brahman, il principio divino creatore, presente nell’induismo. Ciò sempre con prudenza, per evitare facili sincretismi e concordismi che non portano da nessuna parte. In ogni caso, come insegnava papa Ratzinger, profondamente agostiniano in questo, per avere e sviluppare con chi è diverso da noi un dialogo vero, non bisogna rinunziare a ciò che si crede, a ciò che si pensa e a ciò che si è. Si tratta dell’irrinunziabile onestà intellettuale, che spesso latita in ogni ambiente, a partire da quello politico e mediatico.
Sacrum è anche spavento a causa di ciò che è mirum, cioè completamente Altro (das Ganz anderes), ciò che stupisce, che desta meraviglia, che fa restare senza parole, che sconcerta, che è stupefacente. Ancora: è il greco θάτερον, l’hindu anyad, il latino alienum, o aliud valde. È tipico della mistica e delle teologie “negative” o apofatiche nelle quali il numinoso non si può dire con un discorso descrittivo-concettuale (sufismo, mistica renana del XIV secolo come in Johannes Meister Eckhart tra altri, buddismo, etc.). Vi è poi il Tremendum, che fa tremare, (ma non si tratta della paura naturale per qualcosa di immediato e concreto come può essere un’aggressione fisica), che genera timore reverenziale, e può partire anche dal demoniaco, ma anche dalle potenze della natura (ad es. cratofanie litiche, ciò che una grande e imponente montagna può generare, ossia una spaventosa meraviglia), o da un mix fantastico-letterario (il gorgo del Maelstrœm in E.A. Poe, le saghe mitologiche di H.P. Lovecraft, J.R.R. Tolkien, etc.), e infine può portare ad un senso di estrema debolezza soggettiva di fronte al Sacro, che è tremendum, che si manifesta. (Cf. nel Dies irae, IX – XIII sec. vari e Tommaso da Celano, il “Rex tremendae majestatis)
Il Sacrum si presenta anche come Maiestas, una sorta di energia energia super-umana. Il tremendum si trova nella Bibbia come emat Jahwè, cioè “terrore di Dio”, nel δείμαπανικόν, “la paura del divino”, e anche nell’ ο̉ργή Θεού, cioè l’”ira del dio” dei greci. Provoca la sensazione dell’annichilimento e della debolezza di fronte al mistero assoluto. (Cf. il nihil dei mistici cristiani medievali, il sūniam, cioè “il vuoto”, e il sūniata, cioè “la vacuità” dei mistici buddisti. Cfr. R. Otto, Il Sacro, cit., pp. 40 – 41: gli Inni del Numinoso).
Un altro suo aspetto è il fascinans, affascinante, ma che attira spaventando, o spaventa attirando, intrecciandosi con il tremendum, e può portare anche all’estasi/beatitudine (sia nelle concezioni mistico-religiose occidentali sia in quelle orientali). Un altro aspetto riferito alla dimensione del fascinans è la sua funzione apotropaica (α̉ποτρέπειν), cioè dell’ammansimento del divino. (Cf. Ibidem, pp. 46 – 47: Inno di Bernard di Cluny, Dante, Canto XXXIII Paradiso, Divina Commedia, G. Leopardi, I canti, idillio “L’infinito”, 1819, etc.)
Vi è, infine, il Portentosum, cioè ciò che è superiore per potenza inimmaginabile.
Otto introduce poi anche la categoria del Sanctum, che si oppone al contaminato, e concerne essenzialmente il divino cristiano. Le espressioni di questo Sacro-Santo sono: il culto, la preghiera comunitaria, la celebrazione del rito, ma anche il terrificante, il sublime, il misterioso, le espressioni artistiche, specialmente musicali, etc..
Per Rudolf Otto l’esperienza del sacro si manifesta alla coscienza, anch’esso termine plurivoco e polisemico, cui vanno attribuiti vari significati: a) quello comune come consapevolezza di sé, autocoscienza, etc., b) quello filosofico ed etico come un conoscersi e un giudicarsi, e più estesamente come “centro etico” della persona. Ma nell’autore tedesco la nozione resta non-chiarita fino in fondo, poiché egli propone una specie di “schema del religioso” che inquadra l’incontro fra ragione e irrazionalità, senza esplicitare molto oltre. Ad Otto va riconosciuto, comunque, il grande merito di avere approfondito la complessità e l’interdisciplinarietà della categoria del Sacro.
Dopo aver analizzato insieme il concetto di “sacro”, occorre definire in estrema sintesi di termini il termine “religioso”, inteso come appartenente a un sistema storicamente dato di dottrina religiosa, e il lemma “teologale”, come concetto di riferimento a una fede individuale in una credenza religiosa. Si può dire dunque che i tre termini, senz’altro contigui, non possono in alcun modo essere utilizzati come sinonimi.
Il religioso è ciò che si riferisce alla religioni come fenomeno storico-sociale e culturale. Esse sono inserite nella storia dei popoli fin dai primi segni di un atteggiamento “religioso”, come nel rapporto con la morte, fin dal tempo dell’Homo Neanderthalensis, che ci ha lasciati significativi indizi di ciò, con gli apparati tombali. Possiamo poi ricordare l’immensa cultura egizia che della monumentalità tombale ha costituito forse la cifra più importante della propria storia sacral-religiosa e anche – più in generale – della propria storia, con le piramidi e le tombe (Giza e Valle dei Re), così come la storia vicino-orientale, e anche quella direttamente orientale hindu-buddista e confuciana.
L’animismo ha costituito la struttura della religiosità dei popoli siberiani e dei nativi americani, a partire proprio dalla sacralizzazione degli elementi naturali e degli animali stessi.
Consiglio al lettore di regalarsi una prima (o una seconda) visione del grande film di Akira Kurosawa “Dersu Uzala. Il piccolo uomo delle grandi pianure“, dove si può ascoltare il piccolo siberiano dire al capitano dello csar Vladimir Arseniev, cui salva la vita due volte, in un soffio, quasi imitando il vento della taigà: “Tigre… spirito, vento… spirito, neve… spirito…”. Tutto è spirito per Dersu. Per le popolazioni dove la natura è dominante ogni cosa, era una rappresentazione del sacro, l’assolutamente altro, e del “divino”, cioè di ciò-che-è-superiore, inaccessibile, eccelso. Non excelsius (il più-in-alto), sed excelsum (l’altissimo)!
Nella cultura greco-latina il sacro è qualcosa che coinvolge tutta la vita umana, i costumi, la politica, dagli dei olimpici all’imperatore romano, che alla sua morte viene divinizzato.
A costo di scandalizzare il lettore dico che un certo tipo malato di sacro ha coinvolto anche Riina e Provenzano, che mentre ordinavano omicidi, mangiavano in compagnia e seralmente pregavano Padre Pio da Pietrelcina o qualche “madonna”.
Gli “inchini” dei Santi e della Madonna nelle processioni meridionali davanti alla residenze dei boss mafiosi altro non sono (non erano, speriamo!) che un aggancio del “sacro” alla cultura mafiosa, al familismo amorale eretto a sistema.
Infatti, queste “famiglie” di assassini assomigliano in maniera impressionante alle ‘ndrine calabresi e alle famiglie di Scampia che inveiscono contro la Polizia quando questa opera arresti dei loro cari, come nella città belga Moelenbek, patria degli assassini del Bataclan.
L’uomo si è manifestato in molti modi, sia per rapporto alla vita civile, cioè laica o a-religiosa, sia per rapporto alla vita religiosa. Nel corso del tempo possiamo elencare diversi modi di porsi dell’uomo verso il senso della vita e delle cose. Per brevità sintetizzo questa varietà attribuendo al genere homo sapiens sapiens le caratteristiche che seguono, aggregandole a un pensatore:
l’Uomo economico: Karl Marx, l’Uomo istintivo: Sigmund Freud, l’Uomo angosciato: Søren Kierkegaard, l’Uomo utopico: Ernst Bloch, l’Uomo ex-sistente: Martin Heidegger, l’Uomo fallibile: Paul Ricoeur, l’Uomo ermeneutico: Hans Georg Gadamer, l’Uomo problematico: Gabriel Marcel, l’Uomo culturale: Arnold Gehlen, l’Uomo religioso: Thomas Luckmann, l’Uomo meccanico: Günther Anders; l’Uomo frammento di divino: Friedrich Schleiermacher…
L’uomo è un essere culturale, linguistico, persona, frammento di divino, immagine e somiglianza, primate intelligente ed evoluto, spirito incarnato, essere malvagio, e continuiamo assieme, con la curiosità e lo stupore della ricerca che non finisce mai.
Soffermiamoci ora un po’ sul “religioso”. La dimensione religiosa è costituita dalla storia e dalla sociologia delle religioni, a partire dall’antropologia culturale e dall’etnografia. Le religioni esistono dalla preistoria. I primi elementi religiosi riscontrabili afferiscono al culto dei morti, che si ritrovano ben prima della grande civiltà egizia, che di questo culto fece quasi il leit motiv.
Le tracce dell’homo neanderthalensis, come sopra accennavamo, già attestano qualcosa che ha a che fare con la religione, a partire dal rapporto che quelle popolazioni già mostravano di avere con la dimensione della morte. Le sepolture egizie attestano l’immortalità.
Abbiamo dunque l’animismo, il politeismo classico egizio, greco-romano, l’enoteismo, termine creato da Friedrich Schelling, che indica un tipo di religiosità in cui vi è una sorta di preminenza di un soggetto divino come nell’induismo, dove sussistono tre divinità Brahma Vishnu e Shiva. Trovo in un testo inglese questa espressione: Brahma is the god of creation, Vishnu the god of preservation, and Shiva the god of destruction. mentre il monoteismo appartiene soprattutto alle cosiddette – con espressione discutibile – “religioni del Libro”, vale a dire Ebraismo-Giudaismo, Cristianesimo e Islam.
Veniamo alla dimensione teologale o fideistica. Essa ha a che fare con la scelta di credere in Dio e all’immortalità dell’anima. L’atto di fede è tante “cose”: è un dono, è una domanda che ha una risposta, è un’adesione personalissima e profonda, è proprio un atto, cioè un agire-cosciente verso la dimensione divina. Si potrebbe dire che l’atto di fede è la stessa coscienza che si auto-comprende come un qualcosa di divino (Schleiermacher), e in questo la credenze nel Dio cristiano (ebraico e islamico) non è molto diversa dalla credenza nel Dio che anima tutte le anima dell’induismo classico (Brahman). Detto sempre con prudenza.
Questo tentativo di spiegazione è difficilissimo, poiché forse non si deve usare il verbo “spiegare” ciò che è solo intuibile-intuitivo. Meglio dire “comprendere”.
Sul Cristianesimo.
La nostra “religione” è differente da tutte le altre per una ragione fondativa e semplicissima: che non è propriamente una religione, ma è l’adesione a una persona, Gesù Cristo. Alla Persona di Gesù Cristo. In ciò, pur condividendo con ebraismo e islam molti (non tutti!) aspetti teologici ed etici, il cristianesimo è radicalmente diverso per la presenza centrale, come nell’affresco michelangiolesco della Sistina (dove un Cristo in gloria giudica il genere umano in base al bene e al male), e come il Gesù Cristo che propone tutta l’iconografia orientale, prima bizantina e poi ortodossa, il Pantocratore, cioè il dominus di tutto, oltre che presenza omnitemporale in una sorta di “cristocentrismo cosmico”, che è la Presenza stessa di Cristo in Dio Creatore.
Sulla Chiesa cattolica
Occorre partire almeno dai tempi del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo (1962-1965) per comprendere l’attuale situazione. I papi a capo della Chiesa cattolica dal Concilio, Paolo VI, Giovanni Paolo I (che ha voluto chiamarsi in questo modo per accogliere l’eredità teologica e… politica, sia di Giovanni XXIII sia di Paolo VI), Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, hanno governato la struttura religiosa più grande del mondo in un mondo che cambiava rapidamente. Hanno incontrato e si sono anche scontrati con eventi che hanno messo a dura prova la lezione cristiana. Stanno facendo i conti con una secolarizzazione che pare non avere mai fine, nel senso di una progressiva presa di distanza dal sacro-religioso-teologale, mentre comunque permane nelle persone una inquietudine profonda e la ricerca di un oltre inesprimibile, o che si esprime in forme individuali e a volte strane, in movimenti settari ed escludenti.
Ciò attesta dunque che il primo dei tre movimenti dello spirito che ho cercato di esplorare sinteticamente in questo pezzo, il sacro, non è finito, ma neppure sono finiti il religioso e il teologale.
La complessità del mondo, il laicismo, l’egoismo, ogni negatività che appartiene alla vita umana non può vincere sulla presenza dello Spirito, comunque lo si intenda, dall’accezione più propriamente religiosa, a quelle filosofiche dell’idealismo classico (Platone, Plotino, Agostino) e moderno (Hegel), fino all’accezione politica laica che usa il termine “spirito” per raccontare ciò che ispira l’agire umano, che non può essere solo psicologico, ma è anche morale. Etico.
Sacro, religioso e teologale, o semplicemente dell’anima spirituale vivono nell’uomo e con l’uomo, e, in modi anche variamente intesi, comprendendovi anche la visione a-tea della memoria, vivono nello spirito.
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