Dell’inadeguatezza
Ho saputo che la regione Friuli Venezia Giulia ha nominato “garante per i detenuti” un signore che non mi sembra essere un giurista o un filosofo morale.
Non capisco se ciò è stato fatto per mettersi il cuore in pace, o per altre ragioni del politicamente corretto. Mi chiedo che tipo di competenze abbia quest’uomo per poter svolgere un compito come quello cui è stato nominato. Leggo che il “garante per i detenuti” deve avere precise caratteristiche e requisiti, …e, come si legge sul web:
“Il Garante (o difensore civico o ombudsman) è un organo di garanzia che, in ambito penitenziario, ha funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. Istituito per la prima volta in Svezia nel 1809 con il compito principale di sorvegliare l’applicazione delle leggi e dei regolamenti da parte dei giudici e degli ufficiali, nella seconda metà dell’Ottocento si è trasformato in un organo di controllo della pubblica amministrazione e di difesa del cittadino contro ogni abuso. Oggi questa figura, con diverse denominazioni, funzioni e procedure di nomina, è presente in 23 paesi dell’Unione europea. In Italia non è ancora stata istituita la figura di un Garante nazionale per i diritti dei detenuti, ma esistono Garanti regionali, provinciali e comunali, le funzioni dei quali sono definite dai relativi atti istitutivi. I Garanti ricevono segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati e si rivolgono all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. Il loro operato si differenzia pertanto nettamente, per natura e funzione, da quello degli organi di ispezione amministrativa interna e della stessa magistratura di sorveglianza. I Garanti possono effettuare colloqui con i detenuti e possono visitare gli istituti penitenziari senza autorizzazione, secondo quanto disposto dagli artt. 18 e 67 dell’ordinamento penitenziario tipo di no (novellati dalla legge n. 14/2009).”
Mi chiedo se il suddetto signore sia stato nominato perché ha avuto esperienza diretta del carcere e forse di qualche altra istituzione totale, o se per altre ragioni, magari perché vincitore di premi letterari o per altro che non conosco, forse equilibri tra politica e privato sociale, o in ragione di strane concezioni che perlopiù sfuggono alla logica argomentativa?
Non è un’eccezione, in questo tipo di nomine pubbliche, chi legge ricorda sicuramente altri esempi assai poco edificanti.
Nel privato è difficile, se non impossibile, di questi tempi, che ciò accada: per la precisione può ancora accadere in strutture economiche di tipo familiare, dove in qualche modo vige ancora, di fatto, qualche residuo di “familismo amorale”. Per esperienza e dati a me noti, particolarmente in auge nei settori a basso valore aggiunto e con presenza di fatturazione anche “a nero” come nel settore del legno-mobilio fino alla fine degli anni ’80. Poi, anche queste aziende si sono accorte che bisogna darsi una struttura e una cultura manageriale e, invece di metter mogli e figli a guida di aree e dipartimenti aziendali, gli hanno dato qualche prebenda a latere, perché non nuocessero al business aziendale. C’è anche un caso del genere nel settore dell’industria calcistica, ai massimi livelli (in uno dei più gloriosi e amati club italiani), che lascio al gentil lettore indovinare quale sia.
Nel pubblico, invece, accade ancora.
Nel privato, dove mi trovo ad operare, io stesso, di famiglia umilissima, posso dire per meriti, senza che ciò suoni vanagloria, come ben sa chi mi conosce, mi sono trovato e mi trovo ad occupare posizioni di rilievo in termini di potere direttamente esercitato, ovvero in posizioni nelle quali la moral suasion conta come la gerarchia, e talora di più, nei confronti delle strutture azionarie.
Mi chiedo come il “pubblico” possa permettersi ancora di operare come se conoscenze, competenze, meriti e adeguatezza personale non siano il combinato disposto necessario per assumere decisioni circa nomine, incarichi, affidamenti di ruoli di particolare delicatezza come quello citato più sopra. Dai.
Questa impostazione è chiaramente precondizione per il fallimento o per peggiori conseguenze, quali mancata efficienza ed efficacia, debolezza istituzionale e altro ancora…
Da ultimo: in morte alicuius si loda chiunque. Parlo di Casaleggio. Ora che non c’è più leggo e ascolto sperticate lodi, non solo dai suoi, ma anche da avversari politici, tanto non può più dare fastidio. Mi pare, invece, se ci capisco qualcosa, che quest’uomo, purtroppo mancato troppo giovane, non fosse quel genio della lampada o guru che si vuol far credere, anche se, sotto il profilo qualitativo, può anche spiccare nella miseria intellettuale e culturale dei politici odierni. Faccio un esempio: come si fa a dire, come pareva sostenere lui, che non ci sono i leader, e che il leader è il popolo! Ma quando mai? Chi sostiene questo non ha una minima consapevolezza della realtà, non conosce un accidenti degli studi sulla leadership e sul carisma di Max Weber e di altri autori, né ha alba della curva di Gauss. Non tutti possono essere leader, e soprattutto se folla, massa, collettivo, perché addirittura è il contrario: e questa è sono una sana antropologia dell’ABC.
Altro è invece il discorso della pari dignità, della rappresentanza democratica dei cittadini, della separazione dei poteri, che sono fuori questione. Casaleggio sosteneva l’insostenibile, e dunque, a meno che la sua affermazione circa la leadership del popolo non fosse una metafora o uno specchietto per allodole e altri volatili, il suo era un pensiero ingenuo e lui un leader mediocre e inadeguato, come i più dell’attuale stagione politica.
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