Ragione e ideologia
Da tempo qui e altrove vado sostenendo che da anni vi è una grave crisi, o decadimento reale, della capacità logica e del suo uso nelle nostre società e nei vari ambienti, di lavoro, sociale, familiare, comunicativo etc.
Ciò dipende da vari fattori, tra i quali la falsificazione mass-mediologica, la frettolosità, la pigrizia, l’esigenza introiettata da molti di essere efficienti, non con la chiarezza espositiva, ma con la capacità di “mostrarsi sul pezzo”, sempre, anche a costo di svarioni sesquipedali, e quindi di errori logici e pratici.
E poi vi è l’ideologia, che prevale spesso, per sua natura militante, sulla logica e le norme deduttivo-argomentative della buona ragione. Un esempio di ieri, quando sono stato testimone di un degli effetti più devastatori di questa crisi-decadimento.
In un luogo dell’Italia meridionale trattavo una cassa integrazione guadagni ordinaria di dimensioni molto ridotte: tredici settimane con riduzione di sedici ore di lavoro alla settimana; effetti sul salario un meno 7/8 per cento, per un tempo limitato e recupero di un terzo delle ore lavorabili di libertà personale.
Dopo aver spiegato che si tratta di una misura-polmone per chiudere un anno a bassi volumi e l’impegno aziendale di rilanciare l’attività con nuovi prodotti, avendo anche cambiato e ringiovanito il management locale, confermato l’aumento dell’indennità mensa e il premio forfettario, la controparte sindacale ha iniziato una arzigogolata discussione sulla credibilità dell’azienda, usando anche termini ai limiti dell’insulto come “ridicolo”, “inaffidabile”, “false promesse”, quando la direzione aziendale garantisce da ventuno anni un presidio industriale in loco che ha sempre dato lavoro a non meno di cinquanta persone e sopportato deficit di bilancio, perdite e investimenti.
Bene, costoro non hanno firmato il verbale di accordo previsto dalla normativa e hanno invece firmato un verbale di mancato accordo. Ora dovranno spiegare ai lavoratori che non hanno firmato l’accordo, ma che l’azienda, in base alle norme vigenti, procederà comunque con pieno diritto.
Che logica è sottesa a questo comportamento? Quali argomentazioni sosterranno la posizione sindacale? Che sillogismo aristotelico sceglieranno per mostrare le loro ragioni? Non mi so rispondere, se non che la logica del concreto, in questo caso, ha ceduto totalmente il passo al pre-giudizio ideologico, cioè al sospetto che l’azienda imbrogli.
Tra l’altro, ho notato una non completa convergenza di opinioni tra i sindacalisti, là dove i rappresentanti interni erano più propensi a un accordo e i segretari territoriali no. Lasciamo stare.
Da dove riprendiamo? Dalla stanchezza della proprietà-direzione di sostenere uno stabilimento che non guadagna, anzi perde, da anni?
Da una resipiscenza della parte sindacale che riprende a ragionare con la logica e non con la vendicatività (rispetto a cosa?) ideologica?
A metà novembre vedremo se il bene dell’intelletto ha ripreso a funzionare, ove sia presente.
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