Il bellessere
Si parla tanto di benessere, wellness, welfare, di tutto ciò che significa più o meno star bene, avere agio nella vita, trovare luoghi e modi per vivere con il maggior piacere possibile. A volte viene addirittura confuso con la nozione di felicità, o quantomeno di suo principale elemento generatore, a mio parere molto imprudentemente e superficialmente.
Il benessere è sicuramente costitutivo di un equilibrio esistenziale, che con grande prudenza possiamo anche chiamare felicità, ma non è il solo elemento che costituisce la vita delle persone, come ben sappiamo per esperienza. Molto altro si muove nel mondo e nelle vite individuali, non certamente tutto positivo, anzi: si pensi innanzitutto al dolore e alla privazione, ma anche alla possibilità di vivere momenti di gioia in situazioni di sofferenza: basta pensare al miglioramento dello stato fisico dopo una malattia o un intervento chirurgico, dopo una perdita affettiva, dopo una delusione, quando riparte la volontà di superare l’ostacolo, la difficoltà, il cambiamento.
Forse allora si può considerare il limite, l’insufficienza del concetto di benessere, in quanto declinato prevalentemente in maniera quantitativa e di sicurezza materiale, e mettere vicino un concetto che lo completa e contempla altre dimensioni, più spirituali, profonde, umane?
Entra in campo allora anche la bellezza come armonia, come proporzione, come relazione tra uno stato buono di vita e un’osservazione dell’armonia della vita, che sono due cose diverse, distinte e complementari.
Si potrebbe parlare anche di bell’essere, come bello essere, cioè un essere bello, non solo buono?
Vi è un grande deficit di considerazione della bellezza, oggi prevalentemente confusa con un estetismo edulcorato e patinato. In generale si intende la bellezza come una sorta di perfezione morfologica dei tratti somatici delle persone, compreso un ulteriore contributo della cosmesi, degli stilisti e dell’arte fotografica. Bellezza come perfezione, e quindi -etimologicamente- come completamento, definizione, fine del percorso… morte?
A essere conseguentemente sillogistici, sì. Perfezione come morte, in quanto travisamento del rapporto tra materia prima, sostanza e forma, che ci viene spiegato in modo inconfutabile dalla metafisica classica.
Ogni ente che sia perfetto è compiuto, tutto compiuto come Gesù morente sulla croce, ma senza risurrezione.
Torniamo da capo. Nel rapporto tra materia prima, sostanza fisica/ natura delle cose e forma/ essenza, vi è una circolarità necessitata, nella quale la forma/ essenza per natura/ sostanza si manifesta all’essere come tale (si pensi alla scrittura di una poesia che richiede tagli e toglimenti, cf. manoscritto de L’infinito di Leopardi, disponibilissimo in copia anche sul web): in questo senso la forma non è esteriorità, involucro, ma struttura/ sostanza/ essenza della cosa vivente o inanimata (anche i sassi e le pietre evolvono nei milioni di anni).
E, per quanto riguarda l’essere umano, come si fa a dire che è bello solo un bambino, bambinescamente, così come la natura l’ha congegnato per farsi difendere e bene volere, o un adulto giovane, nel pieno della sua prestanza fisica? Forse che non è bello lo sguardo profondo di una persona anziana che contempla ciò che da più giovane non riusciva neppure a vedere, anche se guardava fisso e godeva nel vedersi visto guardare?
Allora il benessere ha bisogno del bellessere, perché altrimenti è monco, e forse anche un po’ sciocco.
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