La pazienza di Giobbe, l’azzardo teologico del padre Cavalcoli e la superficialità di Cruciani
Conosco il padre domenicano Giovanni Cavalcoli dai corsi teologici frequentati a Bologna nei decenni scorsi. Anch’io sono dottore in teologia (e altro) come il padre, che fu mio docente di ontologia e metafisica. Lo ricordo per i suoi tratti gentili, la sua disponibilità, la sua cultura. Ho potuto parlare con lui innumerevoli volte, trovandolo sempre attento all’ascolto e al confronto tra idee diverse. Niente a che vedere rispetto a come viene dipinto in questi giorni dalla grande stampa, sul web e in televisione: come un ultrareazionario-medievale pre-galileiano.
In realtà, le sue affermazioni esposte a Radio Maria, da me attentamente riascoltate in audio, anche nelle sollecitazioni del conduttore de La zanzara Cruciani, sono incomprensibili nel contesto mediatico dell’intervista. D’altra parte al giornalista non è richiesta alcuna particolare competenza, né teologica, né filosofica, né d’altro, potendosi permettere ampie generalizzazioni, stereotipie e provocazioni d’ogni genere al fine ultimo di aumentare l’audience, non mai di servire verità, pur se “locali”, come dice il mio amico Stefano Zampieri, insigne filosofo pratico, laicissimo e rispettoso di ogni posizione, ma tutt’altro che relativista.
Nel titolo cito Giobbe, perché nella Bibbia questo personaggio rappresenta l’incomprensibilità più sconvolgente del male e del dolore. In breve: Giobbe è un uomo ricco, virtuoso e pio, ma satana lo vuole tentare per mostrare a Dio che anche Giobbe è un uomo cagionevole, fragile e imperfetto. Dio permette a satana di colpirlo in tutti i modi e Giobbe, abbandonato da tutti, impoverito e ammalato, respinto anche dalla moglie, non sa più cosa pensare… Come mai Dio permette tutto questo male verso un innocente? Lascio al mio gentil lettore cimentarsi con una lettura del breve libro biblico per vedere “come va a finire”. L’altro racconto “incomprensibile” è quello genesiaco, dove Abramo, che finalmente riesce ad avere un figlio da sua moglie Sara, (cf. racconto della visita dei tre misteriosi ospiti ad Abramo stesso alle querce di Mamre) ubbidisce a Dio che gli ordina di sacrificare il figlio, ma all’ultimo istante un “angelo del Signore” gli ferma la mano salvando Isacco.
Vi è poi nella Sacra scrittura giudaico-cristiana il tema del peccato originale, che non va teologicamente inteso come la lettera del racconto genesiaco propone (Eva ingannata dal serpente-satana e a sua volta convince Adamo a violare il comandamento divino di astenersi dai frutti dall’albero della conoscenza del bene e del male), ma come simbolo della finitezza dell’uomo, delle sue possibilità di conoscenza, delle sue capacità di pensare, progettare, agire. Il “peccato originale” è il “peccato del mondo”, cioè il limite e l’imperfezione dell’agire umano, e anche la sua inclinazione al male, che è presente nella sua stessa struttura esistenziale.
E vi è il tema incomprensibile a una logica naturale, del male negli innocenti e soprattutto nei bambini, che ci lascia a bocca aperta, sconcertati dall’assurdo, che assurdo non è, ma solo naturale. La natura non è “etica”, la natura è “pre-morale”, è innocente nella sua durezza.
Nella Bibbia troviamo il tema del peccato e della colpa, della pena e dell’espiazione retributiva, per cui se si pecca, come nelle città di Sodoma e Gomorra si può andare incontro all’ira divina, ma che significa ciò? Che si deve interpretare alla lettera il testo biblico? In ambito cristiano si è iniziato a interpretare questi antichi testi in modo allegorico fin dai primi secoli d. C., con alcuni grandi esegeti e scrittori, teologi e filosofi cristiani, Origene e sant’Agostino su tutti.
Ma, teologicamente, il tema della colpa, della pena e dell’espiazione del peccato resta, in ambito religioso, come in ambito civile e penale, in quanto reato, da quasi quattromila anni (codice di Hammurapi), almeno nel bacino Mediterraneo.
E’ chiaro che non si può fare un collegamento tra il “peccato dell’uomo” e un terremoto; anche il padre Cavalcoli, che non è ingenuo, sa che i terremoti sono movimenti tettonici naturali; per contro l’uomo ha tutte le responsabilità nella gestione del suo “mandato” sulla terra, biblico o non biblico che sia: inquinamento dell’aria e delle acque, cementificazione, sfruttamento delle risorse oltre ogni limite… che cos’è questo se non un “peccato”, e anche reato contro la stessa Natura? Quando qualche anno fa i meravigliosi villaggi delle Cinque Terre sono stati travolti da fango e acqua, di chi è stata la colpa? Chi ha cementificato alvei e torrenti fino a creare le condizioni per un ingorgo tale da generare il disastro? Chi?
E allora, è vero o non vero che l’uomo “pecca” contro la natura, e anche contro se stesso e le future generazioni?
Bene, nel caso di cui qui tratto, il giornalista Cruciani ha incalzato molto rozzamente, come è solito fare, il padre Cavalcoli sulle unioni civili, ed è su questo che il teologo ha esposto una tesi sbagliata, anche teologicamente: non vi può essere infatti un rapporto di causa-effetto tra l’emanazione della normativa sulle unioni civili in Italia e il recente terremoto.
Però, se si vuole intendere, avendo la pazienza di ricorrere a una seria riflessione non solo teologica, ma anche di etica laica, si può cogliere il senso profondo che sta dietro le affermazioni sbagliate del padre domenicano, e forse si può trarre una lezione per riflettere meglio sulla responsabilità umana nella manutenzione del mondo. Altrimenti, chi deve manutenere il mondo, gli scimpanzé, caro Cruciani?
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