belle statuine, calzini irriverenti e sguardi profondi
A volte, anzi molto spesso, mi capita di osservare come le persone posano il loro sguardo sul mondo, e ne scopro sempre di nuove. Osservo discretamente i miei simili, primati intelligenti (sic!), in ogni occasione e luogo, se ne ho le energie, ché a volte queste ultime latitano, come l’altra sera all’aeroporto di Bari, quando temevo di perdere la coincidenza a Fiumicino per Venezia, e la stanchezza mi ottenebrava i sensi esterni e anche quelli interni.
Guardavo e vedevo persone che gesticolavano su e giù per l’aerostazione, parlando al telefono con le cuffie, e sembravano matti. Mi chiedevo che mestiere facesse quel signore con gli occhiali e le sopracciglia folte, decidevo che era medico, e di un altro mi pareva fosse un agente di commercio, un terzo per me era un’ex ala forte di basket, e così via. Le femmine di aeroporto, invece, a meno che non siano inglesi sciattone in ferie, col calzino irriverente dentro la scarpa da ginnastica, o grosse mamme tedesche con contorno di putti e marito in proporzione, solitamente son sciantose che se la tirano, annoiatamente appoggiate ai bagagli, sguardi persi in pensieri irraggiungibili nel nulla del loro cervello.
Sguardi veramente profondi ne intercetto pochini. Anche nel quotidiano dipanarsi della vita.
Eppure la vita scorre in profondità, da quando siamo nati. Perché siamo nati? Ecco un primo quesito che è anche uno sguardo, buttato nella profondità dell’essere e poi dell’esistere. Non vedo molti sguardi gettati su questo tema, piuttosto vedo sguardi afoni, sbrecciati, intontoliti, come di meduse vestite da umani.
Consiglierei ai possessori di quegli sguardi di leggere un libro di E. M. Cioran, edito da Adelphi nel 1991, L’inconveniente di essere nati.
Sciammannati sciamano per le contrade e per le televisioni, i migliori dei quali portano calzini irriverenti. Edulcorati conduttori parlanti sopra eruttano dalle televisioni le loro litanie insulse e facce da cretini.
Scrive Cioran a p. 92 del libro suddetto: “Il problema della responsabilità avrebbe senso solo se fossimo stati consultati prima della nascita e avessimo consentito a essere proprio colui che siamo“.
Certo sarebbe comodo, così potrei inopinatamente, innocentemente anche se cautamente, ma inesorabilmente liberare il mondo dagli… chi volete quelli di sopra e quelli di sotto e di lato.
Invece, sarebbe bene effettuare una continua ricognizione, con sguardi profondi, come fari spietati (L. Molinis 2004, dalla prefazione al mio Il Senso delle Cose, ed. la bassa), che illuminano l’immensa scena del mondo e i suoi attori, più o meno attenti, più o meno presenti a se stessi, più o meno consapevoli di esser-ci (Heidegger).
Occorre almeno sfiorare il Tutto che siamo e ci circonda, senza tregua, anche quando si spegne e tace come la candela che finisce (Nirvana), e perfino l’universo o i multi-versi che siano. Occorre avere sguardi profondi, cosicché, malati di chiasso, possiamo rimediare con il silenzio chiaro all’apparire del rumoroso nulla.
A me restano dentro per sempre anche gli echi del turbine e della nebbia quieta che cala sui villaggi addormentati, mentre con l’amico girovago sulle tracce delle antiche iscrizioni glagolitiche nella domenica novembrina.
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