Alcuni limiti della filosofia di Jean Jacques Rousseau e suoi richiami contemporanei, più o meno appropriati
capita nella vita e anche nella storia delle idee, come in tutte le storie, che vi siano persone sottovalutate e persone sopravvalutate. Ecco, io sono convinto che, nella storia delle idee, un autore sopravvalutato sia Jean Jacques Rousseau, uno dei vati della Grande Rivoluzione del 1789 e, de minimis, considerato perfino ispiratore dall’attuale secondo partito italiano, i 5S.
Rousseau, come altri pensatori post-cartesiani, ha buttato via “il bambino con l’acqua sporca” della filosofia classica, cioè, insieme con i tardo-scolastici stantii del ‘600, ha rigettato anche l’Aristotele immortale e Tommaso d’Aquino, forse non avendoli neppure bene studiati. Si comprende ciò dalla sua dottrina antropologica dello “stato di natura” (cf. Discorso sulle Scienze e le Arti, Discorso sulla Diseguaglianza, e Contratto sociale), in base al quale si convinse che l’uomo stesse meglio prima della civilizzazione tecnologica, quando sarebbe stato in grado di convivere con i propri simili e nella natura, sostanzialmente senza egoismo, egocentrismo e così via. Lezione che ha contaminato in seguito, non tanto Kant, da alcuni ritenuto suo debitore, quanto Marx, che pensava alla possibilità di una riforma dell’animo umano al punto da potersi configurare una sorta di homo novus, solidalis et fraternus, in una trasformazione radicale dell’antropologia psicologica, smentita sia dagli autori classici sia dalle neuroscienze contemporanee. Il dottor Karl Marx, laureatosi in filosofia con una tesi sull’atomismo greco di Democrito e Leucippo, fu in realtà un mediocrissimo filosofo, nel mentre diventava un eccelso economista e sociologo, cui ancora oggi dobbiamo essere sempiternamente grati.
La parte peggiore dell’eredità roussoiana può essere considerata il cosiddetto Terrore degli anni ’93-’95 della Rivoluzione francese, in quanto il moralismo del filosofo ginevrino ne poteva ben costituire l’ossatura. Si dia uno sguardo al seguente testo, tratto dal citato Discorso sulle scienze e le arti: “L’astronomia è nata dalla superstizione; l’eloquenza dall’ambizione, dall’odio, dall’adulazione, dalla menzogna; la geometria dall’avarizia; la fisica da una vana curiosità; tutte, persino la morale, dall’umana superbia (cf. E. Cassirer, Il problema Jean Jacques Rousseau, in E. Cassirer, R. Darnton e J. Starobinski, Tre letture di Rousseau a cura di M. Albanese, Roma-Bari, Laterza 1994, p. 188)”. E non si dica che… essendo estrapolato dal contesto e bla e bla, perché è chiarissimo nella sua assurdità.
Il fatto è che il ginevrino non si è accontentato di esporre il suo pensiero con aforismi e detti, come hanno fatto umilmente altri pensatori a-sistematici e non, da Epicuro a Wittgenstein, ma si è cimentato in ponderosi trattati, magari chiamati “discorsi”, neanche avesse avuto la tempra di un Aristotele, un Agostino, un Tommaso d’Aquino o un Hegel. Con presupposti filosofico-antropologici come quelli sopra citati si va poco lontano, perché si tratta, non di assiomi teorici di immediata evidenza come in logica o in matematica, dove la prima tesi è indimostrabile perché evidente, ma di pre-giudizi intrisi di un moralismo insopportabile.
Come si fa a sostenere che “l’eloquenza è nata dall’ambizione, dall’odio, dall’adulazione, dalla menzogna“? E se invece fosse nata dalla curiosità naturale dell’uomo, dall’evoluzione espressiva del linguaggio e dall’esigenza, prevalentemente umana (in natura anche le api e le formiche, oppure i lupi e i licaoni lo praticano), di trovare modelli di condivisione e di convivenza? Non si è mai accorto Rousseau che i cinque figli avuti con madame Levasseur erano tutti diversi l’uno dall’altro? Embè, anche se l’eloquenza nascesse da una qualche ambizione, che male ci sarebbe? Forse che l’ambizione, in sé e per sé, è un vizio, oppure dipende se sia vizio o no dall’uso che se ne fa? Ecco un esempio di come il moralismo e un’assenza pressoché totale di visione antropologica dei limiti umani, che tenesse conto, ai suoi tempi, delle evidenze scientifiche raggiunte, possa provocare risultati evidentemente implausibili e non condivisibili. Non occorreva attendere Wundt, Charcot, Freud e Jung per fare meno illazioni così assurde sull’essere umano.
In Rousseau, in nome di una revisione totale della filosofia classica che, prima in Descartes, e successivamente in Kant e Hegel, ebbe e avrà una buona ragion d’essere, perché fondata sulle debolezze di una ripetitività scolastica oramai estenuata, avviene… nulla, poiché questo pensatore non è stato assolutamente in grado di mettere in discussione i potentissimi apparati teorici dei modelli platonico e aristotelico, limitandosi a una rivisitazione piuttosto orecchiata di un certo stoicismo forse non ben digerito (un po’ di Seneca sì, ma di Marco Aurelio non saprei), di un naturalismo mutuato dai successori di Democrito, Leucippo e Lucrezio, e di un “cristianismo” intellettualoide e assai poco attento alla lezione evangelica.
Circa la sua politologia, espressa soprattutto nel Contratto sociale, se da un lato rappresenta veramente un prodromo del pensiero democratico moderno, dall’altro, con la sua teoria della “volontà collettiva” echeggia pericolosamente noti successivi totalitarismi, là dove questa volontà si è falsamente incarnata in uomini o èlites sole al comando, creando i peggiori disastri degli ultimi cent’anni (fascismi e dittature di sinistra, se pur declinabili e giudicabili anche diversamente, perché Hitler non è Castro!).
Che dire? Rousseau sembra quasi echeggiare Grillo, noto per la sua spaventosa presunzione improvvisatoria, potenzialmente nefasta, come ora che propone “giurie popolari”, come “comitati di salute pubblica”, per giudicare la qualità dei programmi mediatici e la veridicità delle notizie, come dire che un gruppo di chiunque si può mettere a discettare su vaccini sì vaccini no o su qualsivoglia altro argumento senza arte né parte, senza studi e senza specializzazioni. Da che pulpito, uno che nella sua errabonda vita di comico ha detto tutto e il suo contrario, come i suoi goffissimi emuli, che caracollano o cinguettano come chierichetti davanti alle telecamere, con ridicolo sussiego e quasi nessun contenuto logico e dialogico. Magari sarebbe bene che ognuno facesse il proprio mestiere e parlasse di ciò che sa, e su ciò che non sa tacesse (Wittgenstein).
Oh giovani e men giovani, piuttosto che questo filosofo un poco trombone, dilettatevi dei classici e, se volete venire a tempi più recenti, vi raccomanderei piuttosto Kierkegaard, Nietzsche, oppure il padre Cornelio Fabro, con le sue meravigliose riflessioni sulla libertà, innervate da un robusto pensiero metafisico e personalista.
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