Ciò che la leadership non è
Siamo “circondati” dalla leadership.
Il termine inglese dall’ampio campo semantico, intraducibile con una sola parola in italiano, e meritevole di una perifrasi, negli ultimi decenni ha spopolato ovunque. Non vi è campo dove non sia considerato, dalla politica all’economia, dai fenomeni religiosi a quelli culturali, dal sistema dei media all’innovazione tecnologica, dalla ricerca scientifica allo sport, e via andando. Sempre da decenni circolano testi e manuali, a cura di psicologi, sociologi e antropologi, che spiegano come funziona, a partire da grandi esemplificazioni storiche e da citazioni di grandi personaggi stagliati nei secoli con le loro figure grandi e a volte terribili, come Alessandro Magno, Annibale, Giulio Cesare, Augusto, Gengis Khan, Napoleone, fino ai quasi contemporanei piuttosto chiaroscurali o “eroi” negativi come Hitler e, se pur diversamente, Stalin.
Nella contemporaneità, se si deve metter giù qualche nome, può venire in mente Putin, papa Francesco, ma forse anche di più personaggi come Bill Gates, Steve Jobs, Zuckerberg, e perfino Federer o Giorgio Armani. Leader riconosciuti nei loro campi, e anche oltre. Ma che la leadership sia solo la manifestazione di una grandezza solitaria (come quella del Nietzsche cantato da Saba) è falso. La leadership è qualcosa di molto più pervasivo e diffuso. Basti dire che se ciascuno dei personaggi sopra elencati non avesse avuto dei maestri (Aristotele per Alessandro il Grande), un contesto e collaboratori all’altezza, la loro stessa leadership non si sarebbe manifestata con altrettanta evidenza e potenza. E qui sta il punto: forse la leadership che si manifesta nei “grandi personaggi” è soprattutto la loro capacità di scegliere i collaboratori e di valorizzarli, non temendone l’eventuale carisma e potenziale. Farei solo un esempio, quello di Cesare che adotta Ottaviano, il futuro Augusto, primo princeps dell’Impero romano, la più straordinaria struttura politica e militare della storia, probabilmente.
Spesso, però, così non accade. Dal mio osservatorio economico e sociale posto nel mondo delle imprese e della formazione osservo piuttosto l’attuarsi di leadership “ristrette”, parafrasando per modo di dire Einstein, leadership asfittiche, micragnose, gelose, in definitiva deboli, per cui mi sento di elencare brevemente alcuni atteggiamenti che non sono da leader, ma tuttalpiù da manager piuttosto timorosi e preoccupati. Ecco.
Non è esercizio di leadership vera quella di coloro che, a fronte di un’analisi altrui, ribattono subito con avversative del tipo “ma, però”, e quindi sono immediatamente esclusivi, invece che inclusivi, non cogliendo quello che di buono e vero sta nel dire altrui.
Non è esercizio di leadership vera quando si esagera nell’uso del pronome “io” se ci si riferisce a lavori fatti “a più mani” e da più teste, invece di usare il “noi”.
Non è esercizio di leadership vera quando nelle riunioni, invece di suggerire come si potrebbe migliorare il lavoro tra colleghi, si tende a metterli in difficoltà con toni perentori e inquisitori, invece che accompagnare il discorso verso una progettazione condivisa del lavoro.
Non è esercizio di leadership vera quando nel riferire fatti e temi che riguardano colleghi terzi, magari assenti, si omettono passaggi e particolari che, se citati, potrebbero cambiare il senso del report o della relazione. In questo caso si tratta anche di disonestà intellettuale e di scarsa attenzione a un’etica elementare.
Potrei continuare.
Ebbene, nella quotidianità, ma specialmente quando si studia la leadership in seminari e corsi specifici, ci si dovrebbe chieder quanto sia coerente con gli asserti teorici studiati il comportamento quotidiano concomitante e successivo, evidenziati dai casi esposti sopra “in negativo”, che possono essere tranquillamente rovesciati in indicazioni proattive utili.
Ce lo si chiede? Ho l’impressione che spesso non sia così, e pertanto vale la pena di acquisire questa consapevolezza e non restare fermi, pena l’esercizio di una leadership solo ordinaria, e povera di valore e di potenziale di crescita.
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