Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Pulcherrimae Civitates Mundi

Volgere la prua verso Est, (e anche verso Sud e Ovest, e pure verso Nord), significa uscire dalla contemporaneità. Condivido e sento come Magris e Rumiz, che vivono questa attrazione, amano annusare questo qualcosa d’altro dal modo d’essere consueto. Irriducibile e ineffabile, talvolta struggente e crudele. Questo pensiero mi accompagna nei viaggi, mentre mi scorre il paesaggio tutt’intorno: coltivi e boschi, ville, villaggi e città, cielo, castelli diruti e scie d’aerei. Sono il paesaggio (creato da Dio), e la città (voluta da Caino, l’uomo). Questo contrasto mi intriga il pensiero: le cento città d’Italia, le cento città del mondo. Cento per dire tante, diverse, bellissime, piene di sapori rumori odori e colori della vita della morte. Con chi ci sta amo parlare delle più belle, e mi piace non essere d’accordo ed essere d’accordo nel contempo. A chi dice che la più bella è Firenze, o è Venezia, gli contrappongo Roma, ché Venezia è sì una città, ma anche una follia, e Roma è tutto. E poi le altre, ognuna delle quali è la più bella, piccole come Orvieto dove sfolgora del duomo, nei meriggi agostani, la facciata tardo gotica di Lorenzo Maitani, o come Ragusa Ibla,  e lì la scalinata del duomo barocco si oppone al digradare disordinato delle case verso la forra; o grandi, immense come San Pietroburgo, che ho visitato in una lontana estate, potendomi godere le ultime luci rosa della notte settentrionale. E’ la più bella delle grandi città del nord.

Come Città del Capo e Perth, abbracciate dall’Oceano mare turbinoso, lo sono del sud.

E Città del Messico, immensa e struggente, come Buenos Aires, che vidi molti anni fa sulle tracce dei nostri, e Cordoba, Rosario sul grande Paranà, e Salta, e la piccola Colonia Caroja, dei fradis furlans.

E ancora, tra le piccole, come dimenticare Coimbra o Carcassonne, ma anche Ottobeuren, Mainz di Renania, la dorata orangèrie di Fulda e Bourges, o Ceske Budejòvice in Boemia e le nostre dell’antica Etruria, Tuscania, Sorano e Pitigliano, e poi Cortona e Civita, città di pietra percolata di salnitri, sospesa al nulla, sulla rupe silenziosa? Itinerarium mentis ad Deum. O Spello, Gubbio, Spoleto e Todi; l’alba città di Ostuni e Martina Franca e Lecce. Mantova, come sospesa nel ricordo di Virgilio, tra le nebbie del Mincio e le anime assorte dell’Alberti e di Mantegna. Sirmione, Montreux e Stresa sui laghi, e Ravello, nei giardini delle Ville, verso il mare Tirreno azzurro. E la conchiglia di Siena, ferma al tempo di Caterina Benincasa? E Lucca, dove Iacopo scolpì il più nobile profilo: Ilaria del Carretto che dorme, non capisci? E perfino Colòmbey les Deux Eglises in Borgogna.

E ancora: Praga, che sembra mutare al tuo passaggio, vedi e non vedi, specie di sera, le ombre degli alchimisti morti in cerca della pietra filosofale, quando cammini a Malà Strana,  dove vagano insieme il golem e il fantasma di Wolfi Amadeus a Svèti Jakùb.

Istànbul, invece, che da due millenni è a guardia dei due mondi, erede di Costantino, Michele Cerulario, Mehmèt e Kemàl Atatürk, ben posata a levante, lo sguardo nel Mediterraneo smeraldino, attende.

A Parigi, dove respiri la storia degli ultimi secoli, capisci tutto se cogli lo scenario che da Les Invàlides ti offre il suo profilo: da Place de Trocàdero al Pàntheon, passando per Notre Dàme. Chartres la si ricorda, perché da sud compare prima di lei il tetto d’ardesia verde della cattedrale più bella del mondo. Reims, Amiens, Troyes …

New Jork, Manhattan: lì pulsa notte e giorno il nuovo, con un po’ di pensiero diverso dai centurioni di Washington. Non parlo di Londra, che non conosco, ma mi dicono che lì ci sono tutte le nazioni venute in occidente dalle altre tre parti del mondo.

A Budapest vi invito a andare, e anche a Vienna, colta e silenziosa come una attempata professoressa coi pince nèz. Berlino, ci andrò finalmente, non so quando, come a Dresda, sulle orme del kàntor, per sentirlo suonare magari nella parrocchiale di Sanct Thomas a Lipsia.

Atene e Dèlphoi  coroneranno il mio penultimo itinerario, radici non perdibili del nostro modo di stare al mondo.

E infine, se Dio vorrà, mi piacerebbe dare uno sguardo al Nilo e a Damasco, alla speziosa Aleppo sull’Oronte, e a Bagdad (e Ninive-Mosùl e Babilonia-Kèrbala), e, se fosse possibile anche a Kòm in Persia e a Benàres distesa lungo il Gange. Fermarmi un poco ad ascoltare.

Da ultimo a Gerusalemme, lì vorrei trovarmi, un giorno.

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