La Bellezza
Stefano Zecchi ne ha paventato il declino, con l’avvento delle biotecnologie e della chirurgia estetica. Heidegger pure, a causa dell’avvento della cibernetica. Dalla lettura degli ultimi sondaggi sull’accoglienza dedicata agli interventi per “migliorarsi” il corpo, i sociologi evincono il dato di una spaccatura fra giovani e meno giovani, laddove questi ultimi sarebbero più frenati, mentre i primi ricorrerebbero con facilità al bisturi, ma anche una spaccatura fra credenti, credenti/praticanti e non credenti, direttamente proporzionale al primo target citato. Infine vi sarebbe un target fra le adesioni politiche, dove l’area coperta dall’estrema destra si sovraporrebbe a quella dell’estrema sinistra come area di perplessità, lasciando ai centristi e ai moderati del centro destra e del centro sinistra la maggiore attenzione alle modifiche che la scienza e la tecnica ormai consentono all’aspetto fisico di uomini e donne.
Noi invece abbiamo un pensiero complesso. Quella di cui sopra l’abbiamo chiamata “inconsistenza” (d’accordo con Zecchi), ché la bellezza é del tutto altro.
Abbiamo scritto che é collegata agli universali di bello, vero, bene e uno, come ci hanno insegnato i filosofi antichi e non superati (né superabili).
Abbiamo detto che la bellezza é collegata alla storia umana e dei popoli, come struttura portante delle specifiche culture, e che, in questo senso, si é potuto dire che la steatopigia[1] (sedere grosso) é stata considerata bellezza al pari della kallipigia[2] (sedere conformato armoniosamente).
E poi che vi é bellezza anche nell’handicap, perché tutto il bello é nella persona e come tale é di carattere spirituale e morale.
Perciò il bello é inafferrabile, indicibile, appartiene alle storie, agli eventi degli uomini e delle donne. Si indebolisce quando si indebolisce l’umanità e si rafforza quando essa é più evidente. Intanto la bellezza é visibile in quanto é vera la persona o l’evento che la porta, la rappresenta o la pro-voca (cioè la chiama a sé).
E così, se la bellezza delle cose moriture del nostro tempo sfarfalla agonizzante, quella imperitura di tutto il tempo e dell’intelligenza, resta, ferma, amorevole, consona alla vita, graziosa, beatifica, esente da pecche e dalla rovina, vivida come un mattino, estesa, piccola ma potente, non mai invidiosa, lenta e rapida insieme, profumata di odori non di essenze artefatte, sincera, imperfetta, storpia e pure sorridente, malfamata perché non mai venduta, malintesa perché non spiegabile, ineffabile[3] appunto.
Ci separa da essa, molto spesso, solo una d, e a d essa ci unisce. La distanza incommensurabile che separa e congiunge io con D-io. Persone entrambi, senza bestemmia.
[1] Gr.: da stèatos, grasso e pìgios, sedere
[2] Gr.: da kalòs, bello
[3] Gr.: dal verbo femì, dico
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