In una silenziosa sera d’autunno a parlare del senso del tempo
“Sarei stata qui ad ascoltarla fino a mezzanotte“, mi dice una signora salutandomi, ed erano le ventidue e quarantacinque di un incontro iniziato due ore e un quarto prima. Di venerdì sera, nel bel borgo pedemontano dei coltelli d’acciaio. Per strada quasi nessuno al ritorno quaranta chilometri in poco più di mezz’ora, li ho fatti, un poco dolorante, nel silenzio sospeso della notte incombente. Dopo Spilimbergo il ponte sul grande Fiume, la curva a destra e poi i rettilinei per il bivio delle Terre di Mezzo, verso casa.
Giornata di fatica un poco temeraria, vissuta Time after time come canta il pezzo di Miles Davis, ed eccomi di nuovo –after midnight– davanti alla tastiera del mio pc-tablet, anche se stasera mi hanno regalato una penna e una matita, i miei ospiti organizzatori della conferenza, perché io scriva qualche volta a mano. A mano oramai scrivo solo a chi non ha computer, ad esempio a un carcerato con cui dialogo da un decennio, un ergastolano mio tutelato.
Abbiamo dialogato sul tempo dandoci tempo, perdendo e ritrovando tempo, con-dividendo, con-vivendo tempo, senza fretta e senza calcoli utilitaristici. Ecco altre persone nel mondo che non “investono” (caro amico Ermanno gentilmente presente!) soltanto nel tempo, ma lo creano vivendolo, curiosando pazientemente nei suoi interstizi misteriosi e profondi.
Abbiamo parlato delle dimensioni varie, e a volte contraddittorie del tempo, che non cede alle semplificazioni delle vulgate mediatiche, ma si staglia oltre, vive al di sopra, si propone come costrutto esistenziale, non tanto come misurazione matematica dei movimenti del cosmo, cioè dell’ordine universale. Il tempo interiore prevale come concetto cognitivo e come percetto neuro-fisiologico. Il nous, cioè l’intuizione eidetica prevale sull’argomentazione logica, questa sera come sempre, in un uditorio prevalentemente femminile, di lavoratrici e donne di famiglia, operaie e insegnanti. Ancora una volta ha avuto ragione Platone.
Penso, mentre l’auto corre tranquilla sui rettifili deserti, che vale sempre la pena fermarsi a parlare. Anch’io, se non per la stanchezza di una giornata infinita, quasi un azzardo per il mio stato attuale, sarei andato a bere un bicchiere con Paolo e Ilario e con chi altri saranno andati. Ma ci rivedremo per parlare della libertà e della comunicazione nella qualità relazionale, presto.
Settimane, le prossime, di conferenze, lezioni e convegni cui mi hanno invitato come relatore e docente. Bellissimo sfidare la dolorosa fatica di queste settimane, accettando questo surplus, vivendolo nei tempi condivisi.
Essenziale e superfluo stanno di fronte al tempo e ne subiscono la legge inesorabile, dice Alejandro Jodorowskij, ed è vero, poiché ciò che sta sulla superficie delle cose (il superfluo) si volatilizza presto, non essendo coeso con le cose stesse, mentre ciò che sta-dentro-le cose, nell’essenza (nell’essenziale) costituisce -letteralmente- le cose stesse. Pensa, caro lettore, al nucleo della cellula umana, al fuoco del centro della Terra, allo zigote da cui ognuno di noi è venuto al mondo, pensa a Roma, che pur se così sporca, resta caput mundi…
Il centro delle cose, l’essenza, la sostanza, la natura (cf. P.-J. Nicolas) , filosoficamente quasi sinonimi, muovono verso le periferie dell’essere connettendosi in modo continuo e profondo, creando sinapsi e sinusoidi, andando e venendo come nella respirazione, come nella ritmica cardiaca di sistole e diastole, come il pensiero della vita e la vita del pensiero. A proposito, caro lettore, secondo te, come si pongono tra loro questi due ultimi sintagmi? Come si connette la vita del pensiero pensante con il pensiero della vita vivente? Cartesio risponderebbe che viene prima il pensiero della vita (vivente), in quanto unica connessione vera con la vita stessa, ma forse altrettante ragioni potrebbe avere Tommaso d’Aquino, la cui contraria opinione si fonderebbe sull’evidenza che la vita del pensiero attesta la presenza di chi pensa, della persona stessa, di chi è dotato di intelletto, ragione volontà viventi in un corpo concreto.
Idealismo vs. realismo, ancora una volta. Personalmente inclino verso un realismo ragionato e non materialista, come invece fa il mio amico carcerato, specie se si tratta di un materialismo idealista, ossimoro non improbabile nelle menti di ha preteso di cambiare il mondo, palingeneticamente, con la canna fumante di una pistola e il popolo dietro. Popolo che non si è mai mosso dietro gli estremisti, come ben sapeva lo stesso Vladimir Il’ic, quando scrisse l’acuto pamphlet “L’estremismo malattia infantile del comunismo“.
Per me, dunque, il tempo è la categoria trascendentale (Kant) dove si manifesta, dove accade l’epifania della luce conoscitiva, dell’intelligenza, del leggere-dentro le cose e i fatti della vita umana e del mondo, ed è forse più importante dello spazio dove la vita si muove, tant’è che nella dimensione einsteiniana della relatività, basta una categoria “tempo” a dare senso al combinato disposto delle tre dimensioni della categoria “spazio”, e a spiegarci come non si possa dare l’assolutezza del tempo come verità presente a tutti gli osservatori del cosmo.
Nel tempo le cose si dipanano, si spiegano, a volte addirittura si com-prendono, ed è la dimensione conoscitiva più difficile poiché concerne la complessità infinita del vivente-autocosciente-umano. Darsi tempo, come devo fare io in questa fase, di più e meglio che nel passato, è come una medicina -a volte amara- ma benefica, sulla strada di una sempre maggiore capacità di vivere pienamente il proprio destino, come itinerario che sta-lì, costruito dagli infiniti nessi causali delle circostanze e da volontà indipendenti l’una dall’altra, e dalla mia volontà, speranzosamente esercitata su una libertà consapevole.
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