Tra operatività e strategia
Il mio amico Gianluca, che dirige una grande azienda friulana, mi ha offerto un’interessante endiadi o sintagma di economia pratica: il rapporto tra l’operatività gestionale quotidiana di un’azienda e la strategia di sviluppo che la proprietà può avere in mente per il futuro. Si tratta di due dimensioni che si conciliano in un circolo virtuoso solo se si riesce, comunque, a tenerle anche rigorosamente separate, sia nella “testa” dei gruppi dirigenti, sia nella prassi dell’agire concreto.
L’operatività quotidiana è necessaria per la vita dell’azienda, ovvero di ogni struttura organizzata. Si tratta di governare processi e flussi lavorativi, decisionali, progettuali che hanno una scansione giornaliera, settimanale, mensile o pluri-mensile, secondo un normale diagramma di Gantt/ PERT, i cui protagonisti sono dirigenti, quadri, impiegati e operai a tutti i livelli, ciascuno nel suo ruolo. La figura più adatta a governare l’operatività è senz’altro quella del direttore generale (general manager).
La strategia, invece, appartiene al pensiero creativo di chi ha la vision, cioè la proprietà, che può immaginare il futuro come progetto, come percorso anche pluriennale, su cui investire energie, risorse economiche e soprattutto lavorare per la crescita del fattore decisivo in ogni organizzazione, il patrimonio umano. Ecco: siamo di nuovo a questo concetto. Il fattore umano, nella sua espressione virtuosa e anche nelle sue difettosità, resta e si conferma come il più importante dei fattori coinvolti in un’attività economica organizzata, come può essere un’azienda odierna. Questo principio generalissimo vale anche per qualsiasi altra struttura umana organizzata, oserei dire, in ogni situazione.
Parlavo in questi giorni con il direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose della mia diocesi, e ricordavo come una ventina di anni fa fui coinvolto dall’allora direttore della Caritas, il mio carissimo amico don Angelo, per ripensarne il modello organizzativo. Lui si rendeva perfettamente conto che occorreva dare alla struttura di quel fondamentale “centro pastorale” della chiesa locale una organizzazione più razionale, dove si distinguesse in maniera rigorosa l’operatività quotidiana del soccorso alle persone, dalla progettualità più impegnativa che concerneva anche una pedagogia della carità, atta a far crescere spiritualmente le persone stesse.
E dunque si lavorò insieme con molti, presbiteri e laici a ripensare quella organizzazione, riuscendo a conciliare, mi parve egregiamente, lo spirito della Caritas, con la sua efficienza, fattore non secondario anche ad una lettura evangelica della carità non ferma alla catechesi dottrinale, ma profondamente innervata e incarnata nella vita concreta di donne e di uomini e della società tutta.
Mi sono poi accorto che l’analisi di Gianluca, da cui sono partito, corrispondeva, quasi sovrapponendosi ad essa, alla visione antropologica che io ho chiamato anche in questa sede, più volte, come prospettiva dei “due sguardi”, cioè lo sguardo sul qui-e-ora e lo sguardo di breve-medio, che consentono di separare i due modi e momenti, anche psicologicamente: l’impegno mentale, progettuale, programmatico e pianificatorio, rendendoli opportunamente e diversamente efficaci.
Vi è una virtù sopra tutte che aiuta a realizzare questo doppio binario operativo, forse due, l’umiltà in primis, e secondariamente la pazienza: due virtù tipiche della tradizione benedettina, che nel mondo occidentale per prima applicò criteri antropologici all’organizzazione ecclesiale dei monasteri. Ancora oggi la Santa Regola del Patrono d’Europa può costituire ispirazione feconda per chi dirige aziende o enti che fanno conto del lavoro di molte persone, ciascuna nel suo ruolo e nella sua mansione, ciascuna con la sua propria responsabilità e ognuno con una responsabilità verso tutti.
I due sguardi, ovvero la visione operativa e quella strategica sono la linea guida di ogni intelligente modello organizzativo che fa conto della condivisione di un progetto, e insieme di ogni differenza intellettuale e professionale, ricchezza inesauribile e integrabile in una struttura che vive e cresce armonicamente per conseguire un bene comune.
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