Stephen Hawking, con la sua dolorosa esperienza ci ha insegnato il potere della mente
…e l’ho capito bene in questa fase della mia vita. Grazie caro Stephen, ti ho ammirato per decenni, tu tetraplegico, ammalato di SLA, ricercatore e docente sulla cattedra di Newton a Cambridge, mandi, par furlan, che il Signor a ti tegni cun sé. Soi sicur.
Ha scritto libri di scienza e di divulgazione popolare con precisione e umiltà. Ha vinto le sue battaglie combattendo con tutto il coraggio necessario e anche di più. Io che da otto mesi sono messo alla prova e oggi posso dire di stare molto meglio, perché studio, lavoro, prego, bestemmio pregando, scrivo, vado in palestra, penso a Stephen, che a sua volta pensava alla “teoria del tutto”, per cercare una sintesi tra le quattro forze (gravità, nucleare forte, nucleare debole, elettromagnetismo), la dottrina della relatività generale (Einstein) e quella quantistica (Heisenberg).
Il tempo che gli avevano preconizzato era di soli due anni dall’ammalamento, e lui è durato fino a settantasei, cioè oltre mezzo secolo in più del pronostico, a dire che le previsioni umane, anche se connotate di scienza, sono spesso lontane dal vero accadere delle cose, poiché la differenza la fanno, oltre ai farmaci, lo spirito, la dimensione psico-morale che è irriducibile a ogni positivistico conto, a ogni previsione epidemiologica o statistica.
La vita tende sempre alla vittoria, emergendo dalle falle del corpo, struggendosi e aggrappandosi alle liane della speranza, passione e virtù per la vittoria. La sua voce resa artificiale dalla macchina, la paralisi degli arti, la dolente piegatura del capo, gli occhiali troppo grandi sul volto emaciato, non vincevano mai sul pensiero e sulla mente fervidamente vitale. Fino ad ora, ma ora il suo venir meno è un’altra vittoria, non solo temporale, ma vera, di una verità real-metaforica, come le cose migliori del mondo umano, e dell’intero universo, o multi-verso che sia, non lo sappiamo, né lui lo sapeva, mentre ricercava la teoria del tutto.
Lui era ben più della teoria che ricercava, ché la teoria era dentro di lui ed ora permea il suo ricordo e la memoria del suo combattimento, così rappresentabile a parole se chiediamo a san Paolo un aiuto “Ho combattuto la mia buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (2 Timoteo 1, 7). Ebbene, Stephen ha combattuto, ha terminato la sua corsa (terrena), ha conservato la fede… nell’intelligenza dell’uomo che lui, per parte sua, ha usato con dovizia parsimoniosa e con generosità totale, nella ricerca, nell’insegnamento, nella scrittura di testi difficili e anche divulgativi, con l’umiltà di chi sa di poter dare pur avendo molto da chiedere, anzi proprio in ragione di questa sua necessità. Hawking ha ampiamente pareggiato il conto del dare-avere, partita doppia della sua vita per rapporto con quella degli altri, della mia, della tua, caro lettore che indugi su questo mio scritto.
E ora la sua anima placata dopo la lunga corsa, può attendere alla contemplazione della poesia del cielo profondo e stellato, che lui amava, cercando di capirne i segreti, senza carpirli ad alcuno, anche a quel Dio di cui dubitava, ma che non escludeva dall’orizzonte degli eventi, poiché ogni tanto si affacciava alla sua mente la domanda antropologica, io lo presumo anche se non lo ho letto da nessuna parte: “perché l’universo esiste e non no, perché io esisto e non no… forse io esisto e lui esiste affinché io possa contemplarlo e ammirarlo?”
Desidero pensare questi pensieri che a parer mio si attagliano molto al pensiero del grande scienziato, tanto grande da sapersi rendere umile davanti all’infinito mistero del cosmo.
Medito su questi pensieri che me lo rendono affine in umanità e vicino nel pensamento, e mi viene da pregare l’Incondizionato Iddio che da qualche parte forse sorride, senza prenderci mai in giro, perché siamo sue creature, del nostro spaesamento. Il sorriso dolente di Hawking, deformato dal male, mi pareva esprimere la profondità di questo mistero immenso, quello del dilatarsi dello spazio-tempo, quello del rapporto tra la relatività generale e il moto imprevedibile delle micro-particelle regolate (si fa per dire) dalla meccanica quantistica, che è celeste come può immaginarsi l’armonia delle sfere e la musica di Bach, quella dei Brandeburghesi, così immaterialmente vocati a rappresentare ciò che non può esserlo se non con un atto di pura illuminazione richiesta con l’umile preghiera di chi sa di non sapere.
Che il Signore del tempo e dello spazio ti accolga tra le sue braccia paterne, Stephen.
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