Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Bene, un “bene”, il “bene”

Si dice “Hai fatto bene“, quando si commenta una scelta fatta da un altro che si approva, oppure un lavoro fatto come si deve.

Si dice “beni” di ciò che si possiede, a cui, al singolare, si può anteporre l’articolo indeterminativo “un“.

Se invece si intende “il bene” come un qualcosa che è connotato da intrinseca bontà, c’è bisogno di usare l’articolo determinativo “il“, poiché ciò che è bene deve essere individuabile con chiarezza.

I filosofi antichi, da Platone ad Agostino hanno trattato del “Bene” come fine della vita virtuosa, fino ad arrivare alla definizione del “Sommo Bene” che è Dio stesso. Agostino riteneva che tutto ciò che è (a questo mondo) è “bene”, e che il “male” derivasse da un cattivo utilizzo del “bene”, cosicché il “male in sé” non parteciperebbe dell’essere, cioè non esisterebbe.

Qualche giorno fa, durante una serata impostata come “comunità di ricerca” ho fatto una domanda: “Un killer professionista che non sbaglia un colpo, nel suo genere lavora bene o no?” I presenti sono rimasti un poco attoniti sulle prime, e poi qualcuno ha detto che bisogna chiarire con cura, di volta in volta, ciò che si intenda per “bene“. Ho continuato: “Allora, si potrebbe dire che un killer professionista fa il bene quando fa male il suo lavoro …?” E abbiamo continuato a discutere, alla ricerca di una verità … locale.

A volte, dunque, per fare un bene bisogna compiere malamente un’azione, perché l’azione stessa, se bene compiuta, sarebbe stata un “male“.

Fin da piccolo mi sono divertito con questi dilemmi ai limiti dell’aporia, perché mi aveva abituato mio padre Pietro, che l’aveva imparato dal suo, nonno Antonio.

A proposito, dicono che nonno “Toni” conoscesse le date di nascita di tutti e tremila i rivignanesi dei suoi tempi, e che una volta (ancora testimone mio padre), si era negli anni ’30, abbia preconizzato che i cavalli tartari si sarebbero abbeverati alla fontana della piazza di Rivignano. Qualche anno dopo, nel ’41/’42 sarebbero arrivati i Cosacchi dell’Ataman Krassnov. Quei Cosacchi che sarebbero poi morti annegati nella Drava o fucilati dai Sovietici.

Chissà come l’aveva pensato…

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