Quanta paura di morir di fame, o dello shopping compulsivo
…in queste settimane, caro lettor mio! Parcheggio nell’apposita area di un supermercato ed entro, faccio una spesetta di diciassette/ venti euro, come un altro paio di volte in settimana, e mi guardo in giro, davanti, dietro, a lato a destra e a sinistra. Carrelli non pieni, di più. Faccio attenzione ai pagamenti e sento: 125, 150, 180 euro, anche 205! Due carrelli. Certo c’è anche gente che fa la spesa per i genitori anziani, o per parenti/ amici che hanno chiesto un favore, ma ciò non spiega tutto.
La commessa, quando la saluto, mi dice che è sempre così. Paura di morir di fame? Eppure non siamo in Sudan in tempi di carestie ricorrenti, o nell’Albania dei primi anni ’90, e neanche nell’Ucraina degli anni ’30, o nella Repubblica di Weimar degli anni ’20. E potrei continuare ad libitum.
Abitiamo nella nazione settima del mondo per ricchezza, con il miglior cibo e i migliori vini del mondo, il tutto vario e differenziato al massimo: prodotti industriali eccellenti e prodotti locali pieni di sapori e colori.
Steven Pinker è un noto psicologo statunitense, che leggo volentieri. Nei suoi due principali trattati, Il declino della violenza del 2010 e Illuminismo oggi dell’anno passato, egli sostiene che vi sono sufficienti elementi, dati e fonti, per poter affermare che l’uomo sta procedendo da un milione e settecentomila anni circa nel processo evolutivo di “ominazione”, e si può notare una crescita, un “miglioramento” delle sue prestazioni intellettuali e della qualità morale delle sue azioni, qualità morale intesa secondo un’etica cristiano-illuministica che più o meno i più condividono. Un elegante “quasi-lombrosismo” al contrario, parlando in modo grezzo.
In altre parole, secondo Pinker vi sarebbe una crescita, lenta ma certa, dei lobi orbito-frontali della corteccia cerebrale, per cui staremmo diventando sempre più intelligenti e… più buoni.
Epperò, guardando ciò che accade nel supermercato qualche dubbio mi sorge.
Circa il “più intelligenti” mi pare che le cose siano più complesse, direi ad personam, ad hominem, essendo ciascuno di noi umani terribilmente (mi si passi l’avverbio metaforizzante) unici! Quante e quali differenze tra me e te, gentil lettore, o qualsiasi non-lettore, oggettive, genetiche, ambientali, culturali. Certo.
E per quanto concerne gli aspetti morali? L’essere più o meno buoni? Ecco, anche su questo tema si sono spesi i filosofi e gli eticisti più grandi, dai due sommi greci (Platone&Aristotele) e al quasi loro contemporaneo Siddharta Gotama (il Buddha, l’Illuminato), ai Padri della Chiesa antica, a Pietro Abelardo, che andrebbe riscoperto per la sua rigorosa e raffinata, modernissima, distinzione fra vizio, colpa e peccato, a Tommaso d’Aquino, fino a Kant e ai nostri giorni.
E’ noto e attestato che il comportamento umano è costituito da vari fattori, individuali–soggettivi–personologici, ambientali e culturali. E dunque, dove sorge, dove si alimenta la malvagità? Dove si costituisce la colpa, il peccato, il reato? Bene, quest’ultimo è oggettivo, ove acclarato, poiché si tratta della violazione di norme penali previste dalla Legge, da quasi quattromila anni (Codice del re caldeo Hammurabi) e poi dai codici biblici, che hanno più di tremila anni, e poi dalle Dodici Tavole romane (V secolo a.C.), al Codex Iuris civilis giustinianeo (XV secolo d.C.), etc.. Il peccato e la colpa sono invece soggettivi, di difficile analisi e individuazione.
Ciò, parlando del male e della malvagità, nelle sue varie declinazioni ma, se dovessimo volgere la nostra attenzione ai comportamenti umani più in generale? Ad esempio verso la tematica proposta nel titolo di questo pezzo?
In questo caso si tratta di “pensiero critico”, mio caro lettore, vero? In quali condizioni si trova oggigiorno il pensiero critico, cioè la capacità di riflessione, di argomentazione logica? O meglio: quanto vale, quanto condiziona le scelte la razionalità? Dicendolo in concreto: nella situazione attuale, pur sapendo – più o meno tutti – che non mancherà il cibo, perché molti si affannano a procurarsene, come se si dovesse subire un assedio? Come se si fosse abitanti dell’antica Meghiddo di Siria, stretta nella morsa delle truppe del faraone Tutmosis III, che voleva punire il principe di Kadesh, colà rifugiatosi? Colà si era nel XV secolo avanti Cristo, e un assedio prolungato poteva significare veramente la morte per fame e per sete, anzi all’incontrario.
Vedendo i carrelli pieni di cibo, confesso che ho proprio pensato a quell’assedio tragico, e mi sono chiesto: ma siamo veramente cambiati nel tempo, ci siamo evoluti da un punto di vista delle facoltà razionali, come sostiene il prof Steven Pinker (anche se lui considera più ampie derive temporali, come ad esempio la rivoluzione cognitiva che lui fa risalire a circa settantamila anni fa, o la rivoluzione agricola, molto più recente, cioè a circa dodicimila anni fa)?
Mi sorgono dubbi e pensieri. Ma forse la ragione di ciò sta in un altro aspetto: il rapporto fra razionalità logico-argomentativa ed emozioni, e mi torna alla mente che sappiamo come le emozioni, o passioni, come le chiamavano gli antichi sapienti, sono più forti della ragione argomentante, la vincono, la sopraffanno, quantomeno in un primo momento del processo mentale.
E dunque comprendo le file e la quantità degli acquisti, legami ancestrali con l’istinto di sopravvivenza.
Post correlati
0 Comments