Tra Praga e Pyongyang
A distanza di pochi giorni sono mancati Kim Jong Il (17 dicembre) e Vàclav Havel (18 dicembre 2011).
Il primo dittatore comunista della Corea del Nord, il secondo primo presidente della Cecoslovacchia libera.
Il coreano, ultimo retaggio di una malformazione politico-antropologica, il boemo artista coraggioso e politico per generosità e amor patrio.
Duole constatare che il primo costituisce il simbolo di un fallimento, fondato su una indicibile confusione etico-cognitiva, e politica, nonostante le fonti della sua ideologia possano esser fatte risalire a una generosa stagione di pensiero solidale ed egualitario (il socialismo), mentre il secondo conferma ancora una volta come non si possa imporre all’uomo un sistema che obnubila, conculca e schiavizza il flusso del pensiero argomentante, e l’esercizio responsabile del libero arbitrio.
Il primo ha affamato il suo popolo sulle tracce del padre Kim Il Sung, riducendo il PIL norcoreano a un quindicesimo del PIL sudcoreano (si pensi, per comparazione, che il il PIL della Germania Est era un terzo del PIL della Germania Ovest, prima della riunificazione, e questo dà la misura dell’orribile situazione voluta dalla chiesa comunista coreana), il secondo ha guidato una rivoluzione senza spargimento di sangue fino alla libertà del popolo cecoslovacco.
Pubblico solo la foto di Havel, un ritratto giovanile che dice con lo sguardo il suo destino.
L’immagine del coreano mi infastidisce, così come le foto dei piangenti la sua morte, diffuse dalla propaganda.
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