Andare avanti senza dire banalmente ogni momento, provocando (in me e, penso, non solo in me) un gran senso di noia: “andrà tutto bene”
Se c’è una frase che non sopporto di questi tempi è quella del titolo. Che cosa significa “andrà tutto bene“? E’ un auspicio, è uno scongiuro, è una giaculatoria forzosamente ottimistica, è un incoraggiamento prima a se stessi e poi agli altri? E’ un…
Prima di provare a comprendere le ragioni comunicazionali/ relazionali e sociologiche della frase apoditticamente affermativa del titolo, analizzerò filologicamente i tre termini: 1) andrà: verbo al futuro, concetto ineccepibile perché noi umani contemporanei occidentali abbiamo una nozione fisico-lineare del tempo (anche se Nietzsche e le persone di cultura induista esprimerebbero qualche perplessità in tema); 2) tutto: beh, qui cominciano mie serie perplessità. Infatti, che cosa significa “tutto”, in greco òlos? Si tratta proprio di “tutto” nel senso che nulla è escluso? No, non può essere vero, in quanto in nessun caso, in nessun luogo e in nessun tempo si può dire che “tutto” è andato in un certo modo, in questo caso, auspicabilmente buono, positivo. Si potrebbe anche obiettare che il concetto di “tutto” non è… completo, perché si tratta di un lemma quantitativo: infatti manca la nozione qualitativa che si può esprimere con l’avverbio “totalmente”.
Per dirla bene, occorre specificare “tutto e totalmente”. Se non si conviene su questo, il lemma “tutto”, anche nel senso di “totalmente”, resta incompleto, in quanto non chiaramente esplicitato; 3) bene: vale quanto scritto qui sopra. Che cosa significhi “bene” può essere un generico dire positivo, oppure si tratta della traduzione del convenevole inglese in risposta a “how are you... cioè “nice, tanks“, quando ben poco interessa (di solito) all’altro del tuo vero bene. Ma può essere anche un qualcosa che riguarda tutte le “cose” buone di una vita, e anche di tutto il mondo: il latino bona, i beni.
E dunque, detto questo, come possiamo ragionare sul “vero-bene”?
Non possiamo non prendere in considerazione molto, anzi tutto quello che rappresenta l’agire umano in pensieri, parole, opere e omissioni, per usare un linguaggio teologico-morale.
A parer mio, si potrà affermare “andrà tutto bene” solo se qualcosa di radicale, qualcosa di profondo cambierà nel consorzio umano, locale e globale. C’è da ripensare, come si dice, veramente a tutto. Ma prima di tutto bisogna pensare al… pensiero umano e alla sua profonda crisi attuale.
Chi mi conosce sa che lo sto sostenendo e scrivendo da tempo. Anche la mia stessa appartenenza a Phronesis, l’Associazione nazionale per la Consulenza filosofica, attesta questa mia priorità. Si parla tanto, e quasi sempre a vanvera, sul web e nei social di cristi etica, senza che molti parlanti sappiano che cosa si debba intendere per “etica”. Lo ripeto qui per l’ennesima volta: l’etica è un sapere strutturato e scientifico che opera per giudicare l’agire buono o malo dell’uomo, in quanto libero e perciò responsabile.
Secondo me (e grazieadio non solo), la “crisi etica e valoriale” è effettiva, ma prima ancora mi pare si possa dire che si è oltremodo dis-ordinato e messo in crisi il pensiero critico, cioè la capacità/ facoltà umana di analizzare, discernere, dedurre, intuire… in definitiva, di ragionare e di argomentare con logica stringente.
Sappiamo dalla storia del pensiero umano occidentale che vi sono due modi di analizzare la realtà dell’uomo e del mondo: la deduzione che è governata dal processo virtuoso del rapporto causa/ effetto e, teoreticamente, dal sillogismo (parole collegate: syn lògos) di matrice aristotelica, e l’induzione o intuizione, che da qualche tempo viene definita retroduzione (cf. Karl Popper e quanto scrivono Alberto F. De Toni ed E. Bastianon in Isomorfismo del potere, ed. Marsilio, Venezia 2020, volume che consiglio a tutti coloro che sono interessati ai temi della leadership e delle dinamiche del potere).
Abbiamo detto che la deduzione è il modo normale, quotidiano, di ragionare mediante la considerazione di una o due premesse e di una conclusione necessaria. Un esempio che Aristotele propone nella sua Logica è il seguente, denominato sillogismo dimostrativo: a, prima premessa: l’uomo è razionale, b. seconda premessa: il razionale è libero, c. conclusione: l’uomo è libero. Epperò, si può anche rovesciare il ragionamento, considerando gli effetti invece della cause: ad esempio “credere” che vi sia un fuoco acceso vedendo del fumo dietro gli alberi. Questo metodo è, appunto, induttivo o retroduttivo.
Abbiamo la necessità ineludibile di utilizzare deduzione e retroduzione per analizzare l’uomo e il mondo in cui vive, anche e forse soprattutto per comprendere e far comprendere che cosa non funziona nell’agire umano. Ad esempio, nella politica e nella distribuzione della ricchezza mondiale, delle risorse e dell’acqua in primis, ad esempio.
Non può essere neppur pensata un’Etica declinata verso un Fine condiviso tra tutti gli uomini, se non funziona il pensiero logico, se non si usa la metodica analitica sopra indicata. Per stabilire e condividere un’Etica occorre condividere una modalità operazionale del pensiero riflessivo di cui siamo dotati, come esseri umani.
E dunque, per concludere, si potrà affermare, senza che la frase non risulti trita e annoiante, “andrà tutto bene”, solamente se saremo d’accordo che occorre (ri)-mettere al centro la nostra capacità di pensare. Se così sarà, farà seguito un futuro solidale co-progettato dagli esseri umani, e non – perlopiù – subìto.
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