L’assurdo e l’impensabile
Vi capita mai di ascoltare un politico o un opinion maker sbracciarsi definendo una tal cosa “impensabile”, e così catturando l’attenzione dell’uditorio? A me spesso. L’impensabile non esiste, perchè tutto in quanto qualcosa, anche il nulla, anche il pensiero-di-un-pensiero-vuoto-di-concetti è pensabile. Si parla spesso a vanvera. L’impensabile non esiste in alcun modo, a meno che non si ritenga che ciò che non piace o che non si condivide non sia neppur pensabile, perchè in qualche modo offenderebbe il pensiero razionale. L’impensabile è l’assurdo, o quantomeno il fortemente improbabile. In realtà si tratta dell’ennesimo atto di “pigrizia mentale e verbale” che circola in questa modernità. Nell’utilizzo del linguaggio, se si vuole per la fretta, o per l’informatizzazione spinta e la telematica, stiamo semplificando, sintetizzando, operando crasi e agglutinazioni (fusioni verbali) a tutto spiano.
La nostra lingua, posso dire la nostra bellissima lingua, che è fondata sulla meravigliosa struttura logica del periodare latino e sulla densissima etimologia del greco antico, ci mette a disposizione una marea lessicale di termini, sinonimi, o quasi, i cui campi semantici si sfiorano, talvolta si sovrappongono, si completano, si integrano, come in un mosaico, anzi un affresco geniale. Stiamo impoverendo il linguaggio, ma in realtà impoveriamo la nostra vita. Per dire che uno non ci va a genio diciamo che uno “str…”, dimenticando che avremmo a disposizione altri ventisette modi di dire per specificare il nostro giudizio. Spiace constatare come questo fenomeno non interessi a molti, anche persone impegnate sul piano etico o politico, sociale, scolastico, ecclesiale. Perfino giornalistico e culturale. Basta pensare ai titoli del telegiornali “gridati”, con un tono informemente stentoreo, là dove la notizia di una strage ha lo stesso peso comunicazionale di una sfilata di moda.
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