Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Diritti e sovranità: la “lezione” dell’Afganistan

Il prof Strazzari della Scuola S.Anna di Pisa mi suggerisce una comparazione non consueta, quando si parla di diritti, quella fra diritti e sovranità. Di sicuro, una prospettiva riflessiva del genere non mi sarebbe mai arrivata da un’onorevole Cirinnà, o da Letta, Boschi, Dimaio, Fico, Guerini, Gelmini, Salvini, Renzi, Meloni, Letta, Di Maio, e tanto meno da Conte Giuseppe, etc. Questi signori e signore, professionisti/e della politica, non sono in grado di declinare concetti e riflessioni al di là della solita banale lezioncina che preparano per le interviste, campioni universali dell’annoiamento del prossimo. Immaginatevi una on.le Cirinnà che fa un discorso sui diritti non disgiunto dal tema della sovranità. Ipotesi per absurdum. Purtroppo, dico, ché non mi rende lieto la constatazione della povertà umana e culturale strutturali di questi soggetti dell’attuale politica italiana. Se dovessi elencare politici veramente degni di rispetto, in questo momento mi fermerei solo a Draghi e a Giorgetti, tra le figure più in vista.

Per tutti costoro, al “sicuro vitale” (vitalizio sicuro) costituito da stipendi faraonici e immeritati in quanto sproporzionati rispetto al loro valore professionale reale, al sicuro di uno Stato come l’Italia, dove funziona uno dei migliori welfare del mondo, e una legislazione costituzionale garantista e saggia, parlare di diritti&diritti è comodo e per nulla faticoso. Parlo del sintagma diritti&diritti, perché queste persone fanno fatica a declinarlo cambiandolo in questo modo, nobilmente mazziniano: diritti&doveri.

I doveri, come concetto politico-morale, sono stati pressoché silenziati – da almeno quattro decenni – nella dialettica politica e pubblicistica italiana, salvo che da qualche rara vox clamans in deserto come (umilmente) la mia.

Se nel ’70, in Italia, l’emanazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori (Legge 300) ha riequilibrato la qualità dei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori, e nel decennio successivo si è sviluppata la legislazione che ha dato alle donne legittimi diritti finora negati, nei decenni che seguirono si è teso ad esagerare nella sottolineatura dei soli diritti, a volte confondendoli con bisogni soggettivi, anche fortemente voluttuari, i desideri e le aspettative. Mi spiego: io condivido che ogni persona possa manifestare e vivere la propria sessualità come la sua natura e cultura esprimono, e che nessuno possa permettersi di discriminarla, ma non condivido che si sviluppi, ad esempio, la maternità surrogata, perché qualcuno che non può o non vuole avere figli naturali, li possa comperare, perché non si dà, razionalmente ed eticamente (se vogliamo declinare un’etica scientifica e razionale semplicemente occidentale) un diritto di avere un figlio, ma un desiderio, un dono, una aspirazione.

Queste persone, se hanno forte il sentimento genitoriale, adottino bambini e bambine che abbisognano di una famiglia. E anche l’adozione, a parer mio, non può essere indiscriminatamente concessa a chiunque e qualunque tipo di coppia.

Sarò chiaro: ritengo inadeguata sotto il profilo pratico, e immorale sotto quello etico, l’adozione da parte di una coppia omosessuale, per ragioni evidenti di pedagogia sessuale della coppia e di qualità relazionale dei bimbi nei confronti dell’esterno. Ovviamente molti (spero non troppi) non la pensano come me, e mi piacerebbe poter dialogare con costoro evitando accuratamente gli ideologismi, ma penso ciò sia molto difficile. Mi fermo qui, perché ho parlato più volte di questi argomenti in precedenza. e vengo al tema proposto da Strazzari: il rapporto tra diritti e sovranità.

Anche su questo tema ci vengono in aiuto tre discipline filosofiche: l’antropologia filosofica e quella culturale, nonché l’etica o filosofia morale, il cui interpello non può essere evitato, pena il decadimento nell’ideologia militante à là Cirinnà (non si pensi che io ce l’abbia con questa signora, ma i suoi comportamenti e detti ufficiali di questi anni, mi portano a questa conclusione: la politica pidina non mostra attenzione o particolari conoscenze dei fondamenti delle tre scienze filosofiche citate, e con e come lei, moltissimi professionisti/e della politica).

E dunque parto dalla Filosofia morale. Analizzando le varie scuole di Etica sviluppatesi nei secoli, da pensatori greci in Occidente, e dalle filosofie religiose orientali del Buddhismo, del Confucianesimo e del Taoismo, si possono dare varie e diverse sensibilità nel giudizio sulla ricerca del bene: dall’utilitarismo all’edonismo, dall’emotivismo al prescrittivismo e deontologismo, dal culturalismo al finalismo, in ciascuna delle quali si sottolinea un particolare aspetto della qualità dell’agire umano nei confronti di se stessi e degli altri: dall’agire solo per la propria convenienza, all’agire solo per il rispetto della legge, all’agire nel rispetto di usi costumi e tradizioni (ogni lettore può attribuire la “scuola” sopra citata a ogni comportamento), all’agire per il rispetto integrale dell’essere umano (finalismo).

La cultura politica occidentale, partendo dal pensiero greco-latino, e poi evangelico-cristiano, che ha dato valore incommensurabile alla persona, è giunta, tramite l’illuminismo di Montesquieu, Beccaria e Kant in primis, alla nozione etico-politica di una giustizia che tenga conto dei diritti umani essenziali di tutti e di ciascuno.

Di contro, in Oriente, la persona singola non ha mai acquisito un valore comparabile a quello della cultura occidentale, perché il singolo essere umanoscompare sempre nel tutto, l’atman nel brahman, ad esempio nell’induismo.

Vengo dunque al tema afgano, ma che si può mutuare se si parla di altre zone critiche del pianeta, come la Somalia, il Sahel, il Niger…

Come è possibile che 75/ 80.000 miliziani taliban giungano a Kàbul (si pronunzia Kàbul, non Kabùl, così come si pronunzia Sinài, non Sìnai) in poche settimane, in una nazione di 35 milioni di abitanti e un esercito ufficiale nazionale di 300.000 uomini, se non ci fosse una sostanziale adesione della maggior parte degli abitanti? Si è trattato solo di rassegnazione, di stanchezza per decenni di conflitti? Non lo credo realistico, come condivide anche il citato collega pisano.

Si tratta dunque di fare un’operazione culturale e dialettica che metta in campo, non solo il tema dei diritti, ma anche quello della sovranità! Chi comanda in Afganistan, i portatori del verbo occidentale, o la popolazione locale, che non conosce la democrazia parlamentare? Come si conciliano questi due aspetti? Anzi, si possono conciliare tramite semplificazioni ed accelerazioni politico-militari? Domanda retorica. No.

Ovvero, si potranno conciliare solo con e dopo un paziente lavoro dialogico e collaborativo, dove filosofia, religioni, psicologia sociale, sociologia ed economia collaborino per trovare piste e metodi di riflessione comune, senza la frettolosità tipica dell’economia e soprattutto della politica attuali.

Sotto il profilo macro-politico occorre riformare profondamente e l’Onu e la Nato, attribuendo a questi due organismi prerogative che non siano, nel primo caso, di pressoché solo emissione di ottime perorazioni di principio, e la seconda al fine di costituire una forza militare veramente sovra-nazionale oltrepassando l’egemonia statunitense. Altro vi sarebbe da dire, ma qui non proseguirò, riservandomi di farlo in futuro.

Con e tra le varie culture e nazioni, occorre sviluppare un dialogo rispettoso ma fermo, prima che sui diritti, sui valori, poiché non sono concepibili diritti umani e civili se non sulla base di una adesione previa a valori condivisi. Vedi, mio gentile lettore, se non si conviene che l’etica deve riguardare il rispetto di tutti e tutte, in ogni senso, territorio e settore della convivenza umana, ogni discorso sui diritti resta privo dei fondamenti. Mi pare ciò sia di non poca importanza, per dirla con calma.

Ripeto: senza una condivisione sostanziale dei valori, i diritti scadono a una mera elencazione di desiderata, che cambiano nei momenti e nei vari territori. Anche qui un esempio fattuale di questi giorni: se non si concorda con i Taliban, ma anche con i pashtun di Massud jr., e con i Pakistani, i Cinesi, i Russi, gli Americani, i Libici, gli Irakeni, i Turchi, gli Egiziani, gli Inglesi, gli Israeliani, i Persiani, etc., anzi con le classi direzionali della politica di queste nazioni, che il valore primario è l’uomo e la sua tutela totale e integrale, ogni discorso sui diritti diventa fasullo e addirittura inutile e fuorviante.

…e poi, occorre coniugare diritti e doveri, sintagma indissolubile della condivisione umana della vita su questa Terra. I doveri sono lo specchio specchiante dei diritti; senza i doveri i diritti diventano meramente declamatori e scorciatoie retoriche di una moralità soggettivistica ed egoista. Altre strade non vi sono.

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