Porzus, alle malghe di Topli Uork
Per contribuire al ricordo di un fatto che dice molto della storia europea e italiana del ‘900 e contro ogni riduzionismo e giustificazionisto storicistico, riporto pari pari dal web una ricostruzione affidabile dei “fatti di Porzus“, a memoria e monito per tutti e per ciascuno di noi, apprezzando il senso e il significato della recente visita e delle parole del Presidente Napolitano.
“Nella storia della guerra di liberazione, la situazione nelle estreme propaggini nord-orientali dell’allora territorio italiano presenta delle caratteristiche del tutto peculiari. Abitata in parte da popolazioni slovene – ampiamente maggioritarie in varie zone – comprende al proprio interno anche una regione denominata Slavia veneta (in sloveno Benečija) appartenuta per secoli alla Repubblica di Venezia e incorporata al Regno d’Italia fin dal 1866. In questo contesto geografico operarono contemporaneamente tre tipologie di formazioni partigiane: gli sloveni del IX Korpus, fortemente organizzati ed inseriti all’interno dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia (EPLJ), alcune Brigate Garibaldi, fra le quali in particolare quelle inserite nella Divisione Garibaldi Natisone, di osservanza comunista, e le Brigate Osoppo, di varia ispirazione: laica, azionista, liberale, socialista e cattolica. Tutte le terre ad oriente del fiume Isonzo – e comunque ovunque vivesse una componente etnica slovena, compresa quindi la Slavia veneta – vennero reclamate dalla nascente Jugoslavia di Tito fin dalla fine del 1941, e dichiarate ufficialmente annesse alla Jugoslavia nel settembre del 1943. Nell’ambito di tali territori, gli jugoslavi pretesero di avere il comando di tutte le operazioni militari, sottoponendo all’EPLJ qualsiasi altra formazione combattente, nel rispetto di quanto aveva stabilito a seguito di precisa richiesta di Tito il segretario del Komintern Georgi Dimitrov in una lettera del 3 agosto 1942, che aveva sancito per tutta la Venezia Giulia la sottomissione delle strutture del PCI al Partito Comunista Sloveno (PCS), e di tutte le strutture combattenti in zona al Fronte di Liberazione Sloveno. L’obiettivo dei partigiani jugoslavi fu triplice: liberare le zone occupate dagli eserciti dell’Asse, creare una serie di fatti compiuti per sostanziare le proprie rivendicazioni territoriali eliminando ancora nel corso delle operazioni belliche ogni opposizione – reale o potenziale – a tale disegno e procedere nel contempo ad una rivoluzione sociale di stampo marxista. Lo sloveno Edvard Kardelj – uno dei più importanti collaboratori di Tito – in questo senso fu categorico: in una lettera del 9 settembre 1944 a Vincenzo Bianco – prescelto personalmente da Togliatti come delegato del PCI presso il Fronte di Liberazione Sloveno – scrisse che all’interno delle formazioni partigiane italiane occorreva “fare un repulisti di tutti gli elementi imperialisti e fascisti”. Con riferimento alle zone di operazioni del IX Korpus, così proseguiva: “Non possiamo lasciare su questi territori nemmeno un’unità nella quale lo spirito imperialistico italiano potrebbe essere camuffato da falsi democratici”, ed auspicò il passaggio dell’intera regione alla nuova Jugoslavia: “Gli italiani saranno incomparabilmente più favoriti nei loro diritti e nelle condizioni di progresso di quel che sarebbero in un’Italia rappresentata da Sforza“. Rispetto alla Osoppo, rilevava che fosse “sotto una forte influenza di diversi ufficiali badogliani e politicamente guidata dai seguaci del Partito d’Azione“.
A seguito di una serie di contatti bilaterali, compreso il 17 ottobre 1944 un incontro personale a Bari con Kardelj, Togliatti il 19 ottobre inviò quindi un’ampia lettera a Bianco, suddivisa in sei punti. Considerando “un fatto positivo, di cui dobbiamo rallegrarci e che in tutti i modi dobbiamo favorire, la occupazione della regione giuliana da parte delle truppe del maresciallo Tito”, al fine non solo di battere tedeschi e fascisti, ma anche di creare nell’area “un regime democratico e progressivo”, Togliatti ordinò di conseguenza alla Divisione Garibaldi Natisone di entrare nell’EPLJ. Togliatti scrisse anche di proprio pugno il testo dell’ordine del giorno che i garibaldini avrebbero dovuto adottare:
« I partigiani italiani riuniti il 7 novembre in occasione dell’anniversario della Grande Rivoluzione accettano entusiasticamente di dipendere operativamente dal IX Corpus sloveno, consapevoli che ciò potrà rafforzare la lotta contro i nazifascisti, accelerare la liberazione del Paese e instaurare anche in Italia, come già in Jugoslavia, il potere del popolo. » | |
Pur senza mai fare esplicitamente il nome delle Brigate Osoppo, Togliatti dispose altresì che:
« (…) i comunisti devono prendere posizione contro tutti quegli elementi italiani che si mantengono sul terreno e agiscono in nome dell’imperialismo e nazionalismo italiano e contro tutti coloro che contribuiscono in qualsiasi modo a creare discordia tra i due popoli» | |
Di conseguenza, dagli ultimi mesi del 1944 la divisione Garibaldi Natisone si sottomise al comando del IX Korpus: ma invece di rimanere a combattere nel territorio nazionale, a fine anno venne trasferita all’interno della Slovenia, ritornando in Italia solo alla fine di maggio del 1945. I comandi della Osoppo invece rifiutarono, affermando di voler fare riferimento sempre ed unicamente alle strutture direttive del Comitato di Liberazione Nazionale italiano. Questa situazione portò a una spaccatura all’interno delle forze partigiane italiane nella regione, che via via assunse sempre più le forme di una radicale disputa ideologico-politica.
Tale disputa aveva conosciuto uno dei suoi momenti di culmine ancora ad agosto del 1944, con la destituzione dei comandi della Osoppo operata dal CLN udinese e dal Comitato Regionale Veneto e dalla loro sostituzione col seguente organigramma: al comando l’azionista Lucio Manzin “Abba”, suo vice il comunista Lino Zocchi “Ninci” – già comandante della brigata Garibaldi Friuli – commissario politico il comunista Mario Lizzero “Andrea” – già commissario politico delle brigate Garibaldi Friuli – vicecommissario l’azionista Carlo Commessatti “Spartaco”. Le formazioni della Osoppo reagirono con molta decisione, destituendo a loro volta i comandanti designati e rimettendo al loro posto i precedenti: Candido Grassi “Verdi” e il sacerdote Ascanio De Luca “Aurelio”.
Le pressioni slovene e garibaldine sugli osovani
Nella seconda metà del 1944 si moltiplicarono le pressioni slovene sui comandi osovani, contestualmente ad una serie di accuse – sia da parte slovena che garibaldina – di intese della Osoppo con nazisti e fascisti, con i quali sarebbero stati presi accordi in funzione antipartigiana, di inserimento nelle proprie file di ex fascisti, di protezione di spie, furti di materiale e addirittura di collaborazione nell’omicidio di partigiani garibaldini. A queste accuse, il comando della Osoppo replicò con una lunga serie di relazioni scritte, nelle quali si denunciava il fortissimo contrasto che contrapponeva i propri reparti ai garibaldini e agli sloveni del IX Korpus, una serie di incidenti a scapito degli osovani e le forti pressioni che continuavano ad esser esercitate per il passaggio della Osoppo alle dipendenze dei comandi sloveni, sia da parte di questi ultimi che da parte del comando della Garibaldi Natisone, pressioni accompagnate da varie minacce. Nello stesso periodo diversi esponenti comunisti triestini di sentimenti filoitaliani, che allo stesso modo avevano espresso dubbi sulla futura appartenenza della città alla Jugoslavia, vennero arrestati dai tedeschi, probabilmente in seguito a delazioni. A dicembre gli sloveni fecero pressioni sulla Garibaldi Natisone – senza esito – perché agisse contro il comando osovano di Porzûs.
Un membro della missione britannica del SOE (Special Operations Executive) – Michael Trent – che nello stesso periodo aveva deciso di tentare una mediazione con i comandi del IX Korpus, fu ucciso in circostanze non chiare.
Il 22 novembre 1944 – quindici giorni dopo l’inglobamento dei garibaldini nel IX Korpus sloveno – ebbe luogo l’ultimo incontro (della durata di cinque ore) fra il Comando della prima divisione Garibaldi Natisone e il comando della prima Brigata Osoppo – presente il comandante osovano Francesco De Gregori “Bolla” – nel corso della quale i garibaldini esercitarono la massima pressione possibile per convincere gli osovani a seguirli nella loro scelta. Giovanni Padoan “Vanni” (commissario politico della brigata Garibaldi Natisone), in particolare dichiarò che tutti i partigiani operanti nell’Italia nord-orientale erano tenuti a porsi alle dipendenze degli jugoslavi, e che secondo una dichiarazione ufficiale del PCI chi non avesse appoggiato gli jugoslavi sarebbe stato da considerarsi nemico del popolo italiano. Aggiunse poi che chi fra Regno Unito e Jugoslavia avesse scelto il primo era da considerarsi conservatore e reazionario, ritenuto di conseguenza responsabile di fronte al popolo, e che i garibaldini non avrebbero mai permesso l’instaurazione di un regime democratico filoinglese in quelle terre. Dopo queste premesse, si intrattenne sulle vicende confinarie, affermando che l’intera Venezia Giulia era da considerarsi legittimamente appartenente alla Slovenia, le cui forze partigiane avrebbero proceduto in questo territorio alla mobilitazione generale: nel contempo, “Vanni” intimò agli osovani di non procedere ad alcun tipo di mobilitazione o di reclutamento, mettendo in dubbio la legittimità del CLN. Il colloquio ebbe un andamento burrascoso, e si concluse con una rottura completa.
Il 1 gennaio 1945, venne organizzato un incontro nella località di Uccea (comune di Resia) fra Romano Zoffo “Livio” – già comandante della II Brigata Osoppo, in quell’epoca impegnato nell’organizzazione della VI Brigata Osoppo e in particolare del Battaglione Resia – e il commissario politico sloveno del Battaglione Rezianska, accompagnato da due ufficiali. In tale occasione, gli sloveni affermarono che:
« la nostra presenza in Val Resia è dovuta puramente a ragioni politiche. Indubbiamente il destino di questa striscia di territorio sarà deciso da un plebiscito che sarà tenuto in presenza delle nostre forze armate, per cui il risultato può essere considerato certo. (…) Non possiamo permettere la presenza di partigiani italiani in Val Resia finché il nostro Alto Comando non ci dà il permesso. La presenza di partigiani italiani danneggerebbe la nostra propaganda. Possiamo risolvere i nostri problemi di confine con un accordo reciproco. D’altro canto, non è impossibile che un giorno ci giunga l’ordine di disarmare le formazioni Osoppo nei dintorni della Val Resia. Per evitare una crisi tra noi, le formazioni Osoppo dovrebbero seguire l’esempio dei garibaldini e venire sotto di noi. La Gran Bretagna, nella quale riponete tanta fiducia non vi aiuterà certamente in futuro. (…) La Gran Bretagna sarà il nemico del domani e il suo sistema capitalista deve sparire. Sull’esempio della Grecia, le formazioni garibaldine che hanno accettato di dipendere dagli sloveni rappresenteranno la ELAS dell’Italia.» | |
Poco più di un mese dopo, avvenne l’eccidio”.
L’eccidio
Il 7 febbraio 1945 un gruppo di partigiani comunisti forte di circa cento unità appartenenti ai battaglioni GAP “Ardito” (al comando di Urbino Sfiligoi “Bino”), “Giotto” (al comando di Lorenzo Deotto “Lilly”), “Amor” (al comando di Gustavo Bet “Gastone”) e “Tremenda” (al comando di Giorgio Iulita “Jolly”) capeggiati da Mario Toffanin “Giacca”, raggiunse il comando del Gruppo delle Brigate Est della Divisione partigiana Osoppo, situato presso alcune malghe in località Topli Uork (in seguito la zona divenne più nota con il toponimo di Porzûs, dal nome della vicina frazione dove viveva il proprietario delle malghe stesse), nel comune di Faedis nel Friuli orientale. L’ordine ai gappisti era pervenuto dal vicesegretario della federazione del PCI di Udine – Alfio Tambosso “Ultra” – il 28 gennaio 1945 in questi termini:
« Cari compagni, vi trasmetto, per l’esecuzione, l’ordine pervenuto dal Superiore Comando Generale. Preparate 100-150 uomini, completamente armati ed equipaggiati, con viveri a secco per 3-4 giorni, da porre alle dipendenze della divisione Garibaldi “Natisone” operante agli ordini del Maresciallo Tito. Vi raccomando la precisa esecuzione del presente ordine, che ha carattere di estrema importanza per il prossimo avvenire. Non appena gli uomini saranno pronti, mi avvertirete immediatamente. Provvedete ad eseguire rapidamente e cospirativamente. Gli uomini dovranno sapere solo quando saranno in viaggio. Quando verrò da voi, e cioè fra qualche giorno, spiegherò meglio ogni cosa. Ricordate che ne va del buon nome GAP e che è cosa di massima importanza. L’armata Rossa gloriosa avanza e ormai i tempi stringono. Fraternamente. Ultra 24.1.1945. » | |
Successivamente alcuni gappisti testimonieranno di non aver compreso il motivo della missione fino agli istanti precedenti l’eccidio.
La Brigata Osoppo ospitava Elda Turchetti “Livia”, una giovane donna che Radio Londra aveva indicato come spia, dopo che alcuni informatori britannici avevano avuto segnalazioni su una sua presunta amicizia con soldati tedeschi. Secondo alcune ricostruzioni, la Turchetti si era consegnata spontaneamente alla Osoppo per farsi giudicare, ma altri affermano che la ragazza – avendo appreso delle accuse che le erano state rivolte – si fosse rivolta al suo conoscente partigiano garibaldino Fortunato Pagnutti “Dinamite”, che l’aveva condotta dallo stesso Toffanin, il quale a sua volta l’aveva consegnata al capo della polizia interna della Osoppo – Tullio Bonitti – che alla fine la condusse alle malghe di Topli Uork. Qui, dopo alcuni mesi di custodia, era stata ritenuta innocente in un processo tenutosi il 1º febbraio 1945. Il rifugio dato a Elda Turchetti fu in seguito indicato – nelle varie e spesso contraddittorie ricostruzioni di Toffanin – come casus belli per l’azione dei partigiani garibaldini. Successivamente all’eccidio, Toffanin accusò inoltre la Osoppo di aver osteggiato la politica di collaborazione con i partigiani jugoslavi, di non aver redistribuito agli altri gruppi partigiani delle armi che venivano fornite alla Osoppo dagli angloamericani e di aver collaborato con elementi della Xª Flottiglia MAS e del Reggimento alpini “Tagliamento”, appartenenti alla RSI.
La ricostruzione dettagliata dello svolgimento dell’operazione gappista è stata fornita nel corso dei processi e poi ripresa in alcune pubblicazioni: la colonna raggiunse l’abitato di Porzûs e poi si divise in gruppi, che raggiunsero le malghe di Topli Uork in momenti diversi. Per superare i posti di guardia osovani senza creare scompiglio, affermarono d’essere partigiani sbandati a seguito di un rastrellamento, e in parte dei civili fuggiti da un treno che li portava in Germania, attaccato dall’aviazione alleata. Un gruppo di garibaldini si spacciò per osovano. Il messaggero del gruppo agli ordini di Toffanin fu lo stesso Pagnutti “Dinamite” che aveva portato Elda Turchetti da Toffanin: un partigiano del quale sia i garibaldini che gli osovani si fidavano, avendo già svolto incarico di staffetta fra i due reparti. Un osovano di guardia venne spedito a Topli Uork ad informare Francesco De Gregori “Bolla” – comandante del Gruppo delle Brigate Est della Divisione partigiana Osoppo – che inviò sul luogo il commissario politico del reparto – appartenente al Partito d’Azione – Gastone Valente “Enea”. Questi ordinò di separare i presunti osovani dai garibaldini, volendo inviare i secondi al vicino reparto garibaldino di Canebola (una frazione di Faedis). Durante quest’operazione si palesò “Giacca”, che fece immediatamente arrestare tutti gli osovani presenti e aspettò l’arrivo di “Bolla” – precedentemente chiamato da Enea – che stava in una baita ad una certa distanza. Al suo arrivo, “Bolla” venne immediatamente arrestato. A questo punto, “Giacca” fece rastrellare la zona, catturando un altro gruppo di osovani in una malga vicina. Nel contempo, un reparto al comando di Vittorio Juri “Marco” si occupò di raccogliere tutto il materiale presente a Topli Uork: in questo frangente un certo Cussig, estraneo alla formazione osovana e alle malghe perché incaricato di portarvi dei viveri, venne rapinato dell’orologio da polso da un garibaldino, venendo però rilasciato dietro assicurazione – data dall’osovano Gaetano Valente “Cassino” – che non si trattava di un partigiano.
Francesco De Gregori “Bolla” venne subito ucciso, insieme a Gastone Valente “Enea”, al giovane partigiano Giovanni Comin “Gruaro”, che si trovava in zona perché voleva arruolarsi nella brigata, e a Elda Turchetti. Dalle risultanze processuali, risultò che De Gregori venne ucciso all’arma bianca con lo sfondamento del cranio, probabilmente per evitare il rumore delle armi da fuoco. Aldo Bricco “Centina”, futuro comandante designato della formazione a Topli Uork per il passaggio delle consegne con De Gregori e giunto in vista di “Giacca” e i suoi assieme a quest’ultimo, riuscì rocambolescamente a fuggire: apertosi un varco a forza fra i gappisti, si lanciò di corsa dal costone del monte innevato; ferito da sei colpi di arma da fuoco venne ritenuto morto, ma riuscì a trascinarsi fino al vicino paese di Robedischis, dove si fece medicare da alcuni partigiani sloveni, avendo loro raccontato d’esser stato ferito in uno scontro con i fascisti. Tredici o quattordici altri partigiani furono imprigionati e fucilati nei giorni successivi dopo processi sommari, nelle località limitrofe di Bosco Romagno, Ronchi di Spessa, Restocina e Rocca Bernarda (Prepotto): tra questi Guidalberto (Guido) Pasolini “Ermes”, fratello di Pier Paolo. Ne vennero risparmiati due – Leo Patussi “Tin” e Gaetano Valente “Cassino” – che passarono nei GAP. Questi ultimi, assieme al Bricco, furono dopo la guerra fra i principali accusatori di Toffanin e compagni nei vari processi che si svolsero fra Udine, Venezia, Brescia, Lucca e Firenze.
Altri tre osovani – Antonio Turlon “Make” (in altre fonti “Macche” o “Macché”), Annunziato Rizzo “Rinato” e Mario Gaudino “Vandalo” – erano invece stati fatti prigionieri il 16 gennaio 1945 da una pattuglia del IX Korpus sloveno in località Platischis (comune di Taipana, provincia di Udine), e fucilati successivamente (forse ad aprile del 1945) nella località di Spessa nel comune di Cividale: il nome di battaglia di tutti e tre appare nella lapide in memoria dei trucidati murata a Topli Uork, mentre il nome dei soli Turlon e Rizzo appare nel cippo “Ai Martiri della Osoppo” di Bosco Romagno (Cividale). Secondo alcune ricostruzioni, un partigiano sfuggito all’eccidio sarebbe stato Erasmo Sparacino “Flavio”, catturato però in seguito dai tedeschi e fucilato a Cividale il 12 febbraio 1945: il suo nome appare comunque in entrambi i memoriali di cui sopra.
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