Mai capitato
…di trovarmi per strada, inerme, a macchina ferma e motore fumante, forse esaurito nella sua fisica metallica, oleodinamica, cinetica, cinematica, e infine è successo.
Fermo lì nel grande incrocio vicino a Tagliamento con il giubbino arancione in attesa del carro attrezzi, e poi il viaggio verso l’officina, seduto in macchina caricato sul cassone, con le mani sul volante che automaticamente cercano -riflesso condizionato- di accompagnare la strana spedizione nella conduzione delle curve. Ma io sono fermo, legato, bloccato, in balia di chi mi trasporta tra campi di mais, ché le strade principali sono interrotte per lavori agostani.
Tutto si corrompe e lentamente muore, ma in questo caso non nel senso cantato da Borges, ma nel mero senso aristotelico della finitudine delle cose.
Lectio humanissima quella di trovarsi per la strada con la prospettiva dell’attesa indefinita, costituendo oggetto di curiosità per i viandanti motorizzati che lasciano una scia di sguardi sulla strana coppia fatta da un umano e da una vecchia auto sfinita. Fosse successo vent’anni fa, senza il cellulare, avrei dovuto, gambe in spalla, portarmi a piedi fino al più prossimo telefono per chiamare i soccorsi.
Mi sono auscultato spiritualmente: non ero arrabbiato, forse rassegnato, già contento che il fatto mi fosse capitato in un giorno di ferie, mi correggo, di mezze ferie, perché tornavo da una breve visita aziendale.
Mi sono guardato in giro e ho realizzato che il tempo mi si era come fermato, tutt’intorno, non potevo farci niente, solo aspettare pazientemente i soccorsi.
Forse non è male, di questi tempi, sperimentare questo tipo di impotenza per misurare le nostre reazioni a un sistema, a un ritmo di vita che rischia di trasformarci antropologicamnte in bio-macchine da “efficientare” (horribile dictu, solum hic una tantum).
Ieri è morto un grand’uomo, il cardinale Carlo Maria Martini. Non so perché ma mi viene in mente mentre sto scrivendo queste righe, forse per un’associazione di idee in ricerca della sapienza quotidiana.
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