Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

“L’anima è aperta all’infinito”, diceva spesso Aldo Capitini e affermava… “se l’uomo è considerato un mezzo, ucciderlo diventa solo il rumore del cadere a terra di un oggetto”

Di questi tempi asperrimi di guerre diffuse, mi vien da parlare di un personaggio misconosciuto ai più, anche a quasi tutti coloro che marciano per la pace: Aldo Capitini, personaggio controverso, perché non “appartenente” ad alcuno schieramento politico, dando spesso fastidio a molti, ma uomo di limpidezza cristallina.

Aldo Capitini (Perugia, 23 dicembre 1899 – Perugia, 19 ottobre 1968) è stato un filosofo, politico, poeta ed educatore italiano.

Capitini era una sorta di laico dal profondo afflato religioso, poiché riteneva che questa dimensione fosse indispensabile per abbracciare e sostenere un’etica umanistica completa, pure se, senz’altro – nel suo caso – teologicamente e dottrinalmente sia stata poco “cristiana”: infatti, lui si auto-definiva post-cristiano, facendosi perfino “sbattezzare” (forse, con questo atto, esagerando in teatralità). Si oppose nettamente al fascismo, nonostante avesse avuto un incarico di direzione amministrativa da Giovanni Gentile, rettore della Scuola Normale Superiore di Pisa negli anni ’20. Capitini ebbe sempre difficoltà nelle relazioni con la Chiesa cattolica, di cui criticò l’agire real-politico espressosi con il Concordato del 1929.

Capitini fu sempre molto distante dalla religione istituzionalizzata. Dio, come Ente, non esiste per Capitini: per evitare ogni equivoco e marcare la distanza della sua concezione religiosa da quella corrente, Capitini preferisce parlare di compresenza piuttosto che di Dio; per la stessa ragione, per indicare la vita religiosa così intesa non parla di fede, ma riprende da Michaelstaedter il termine persuasione.

Ogni figura con una profonda credenza, anche laica, è per lui un uomo “religioso”. Egli nega la divinità di Gesù Cristo e il suo concepimento verginale da parte di Maria. Rifiuta, sulle tracce di Tolstoj, ogni aspetto “leggendario” (sua espressione) dei vangeli, come la stessa resurrezione di Cristo.

Non è dunque “formalmente e teologalmente cristiano”. Apprezza il Discorso della Montagna, cioè le Beatitudini riportate in Matteo 5, perché le ritiene “magistero umanistico” allo stato puro, soprattutto a tutela degli ultimi, dei deboli, dei poveri. Per lui, la lezione gesuana potrebbe sostituire ogni legge positiva dell’uomo. Per Capitini, Gesù ha insegnato dove può giungere una coscienza religiosa, ed è stato più di un uomo: “…fu anche lui, come tutti, un essere con certi limiti; ma d’altra parte fu in lui, come in ogni altro essere, la qualità della coscienza che va oltre i limiti, che è in lui come in un mendicante” scrive ne Gli Elementi. L’imitazione di Cristo, secondo Capitini, non è altro che realizzazione della propria realtà umana. Secondo lui, si potrebbe ugualmente parlare di una imitazione del Buddha, di Francesco d’Assisi, di Gandhi, di Tolstoj e altri grandi.

La persuasione, l’apertura, la compresenza, l’omnicrazia

Con il termine “persuasione”, ripreso da Carlo Michaelstadter e da Gandhi, Capitini indicava la fede, sia in senso laico sia religioso, la profonda credenza in determinati valori ed assunti, e tramite essa, la capacità di persuadere gli altri della bontà del proprio ideale.

L’apertura è l’opposto della chiusura conservatrice e autoritaria del fascismo, e l’elevazione dell’anima verso l’alto e verso Dio.

Un concetto chiave nella filosofia capitiniana era la compresenza di tutti gli esseri, dei morti e dei viventi, legati tra loro a un livello trascendente, uniti e compartecipi nella creazione di valori.

Nella vita sociale e politica la compresenza, per Capitini tutto ciò si traduce in omnicrazia, o governo di tutti, un processo in cui la popolazione tutta prende parte attiva alle decisioni e alla gestione della cosa pubblica. Ipotesi assai idealistica, anzicheno.

Non-violenza e liberal-socialismo, declinato in modo in parte diverso da quello di Giustizia e Libertà dei fratelli Rosselli, di Guido Calogero e di Emilio Lussu, di Riccardo Lombardi e di Vittorio Foa, sono l’ultima endiadi politico-valoriale di Capitini.

Sulla non-violenza non si può non essere d’accordo, come aspirazione e afflato morale verso cui tendere senza stancarsi mai, senza rinunziare in qualsiasi momento e situazione ad evitare di compiere atti violenti, ma… un’antropologia realistica e la storia umana ci insegnano che si tratta, appunto, di un tendere verso, per ora assi poco realistico in quanto a possibilità di realizzazione.

Anche gli eserciti sono strumenti di esercizio della violenza, ma anche una pistola, una mazza da baseball o un pugno sono strumenti per esercitare forme di relazione violente e spesso letali verso l’altro. Se potessi dialogare con Capitini gli chiederei come la possiamo mettere nel caso di un’aggressione di un soggetto più forte verso uno più debole, persona, gruppo o nazione che sia, e come considerare la difesa di sé stessi, dei propri cari e anche della terra su cui si svolge la nostra vita.

La difesa di questi beni, a partire dalla vita di un singolo essere umano, e non solo perché lo scrivono autorevolmente esimi e credibili autori di filosofia morale (Tommaso d’Aquino, Immanuel Kant), ma anche perché lo indica il senso buono di uno stare nella vita tra gli altri, può prevedere anche l’uso (ponderato e proporzionato) di una certa violenza, che può essere, preferibilmente di impedimento e di positiva costrizione dell’aggressore, ma a volte non basta, per cui si deve colpire, anche fino ad uccidere.

La non-violenza secondo Capitini è un ideale nobile, sinonimo di amore, coerenza di mezzi e fini, ai suoi tempi “la forza in grado di sconfiggere il fascismo, che non è solo un regime, ma anche un modo di essere violento e autoritario”, ma non fu così, come anche Capitini poté constatare.

Come sarebbe stato possibile sconfiggere il nazi-fascismo se non anche con le armi degli Alleati e dei Partigiani? Domanda retorica, caro Capitini e “pacifisti” incapaci di riflettere sulla concreta violenza del reale, cioè di una aggressione immotivata e malvagia, pronta a tutto e capace di tutto, nel male.

A volte, caro Capitini etc., così come nella medicina la chirurgia, cioè “l’arte delle mani” è l’applicazione più utile e talora indispensabile, per togliere un tumore o un arto irrecuperabile, così nella realtà sociale, politica e militare, a volte l’uso della forza, che non a caso è demandata agli “Stati” dalle Costituzioni civili, è indispensabile, inevitabile, necessaria.

Aldo Capitini ha “inventato” la Marcia per la pace Perugia-Assisi che si svolge ogni anno da decenni, alla quale partecipano persone di tutte le età, culture, ceti sociali e visioni etico-politiche. Utile per mettere a tema senza stancarsi mai il tema della pace come condizione umana da ricercare, assieme con la giustizia, che – sola condizione – la irrora di possibilità e ne mantiene la durata.

Infatti, la pace senza la giustizia è pura fola, illusione, ma la giustizia, oltre che virtù umana e fine del diritto positivo, è – come la storia umana insegna – sempre un progetto perfettibile. Per comprendere ciò occorre studiare la storia dei popoli e delle nazioni da una prospettiva alta, cogliendo, nonostante tutto, il cambiamento, dalla schiavitù (antica, moderna e contemporanea), variamente coniugata fino alla servitù della gleba abolita (senza gran successo) dallo csar Alessandro II Romanov nel 1862 in Russia, e tuttora presente in molte parti del mondo, all’interclassimo liberale, al welfare socialista a…

L’ultima gigantesca utopia, quella marxista-comunista ha fallito perché non si è dotata di un’antropologia realista, convincendosi che l’uomo potesse cambiare, perdendo l’egoismo (connaturale) in ragione di un un cambiamento radicale delle strutture economiche. Non è andata così.

Il lavoro da fare, e su questo penso che Capitini fosse d’accordo, è sull’uomo e con l’uomo, con una costante riflessione che porti a condividere l’essenza della pari dignità tra tutti gli esseri umani, e l’irriducibile differenza di ciascuno da ciascun altro.

Differenza e pari dignità che solo il Cristianesimo evangelico-gesuano, prima di tutto e di tutti i pensieri filosofici e politici, è riuscito a proporre.

In questo senso non penso sia un azzardo dire che Aldo Capitini fu, lasciando stare la dimensione teologico-dogmatica, profondamente cristiano, più di tanti altri che sono in regola con il dogma.

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