“Intellettuali”, “specialisti” e “tuttologi”, e un pensiero critico in difficoltà
In molte occasioni ho scritto, anche in questo sito, delle gravi difficoltà nelle quali versa il pensiero critico contemporaneo. Chiariamo, innanzitutto che cosa si deve intendere per “pensiero critico”: non certo la congerie di giudizi tranciati con l’accetta e gli insulti che si trovano a vagonate sul web, sui social e nelle varie televisioni, soprattutto nei talk show, dove il parlarsi-sopra e linguaggi spesso inopportuni od offensivi, sono la cifra inefficace e spesso volgare dei dialogi, bensì la capacità di fare la necessaria fatica nell’esercizio del pensiero logico argomentativo, che richiede informazione e formazione sui temi che si desiderano trattare assieme a un controllo delle fonti sulle quali ci si basa per asserire A o B o C, la tesi 1 o la tesi 2, questo, quello o quell’altro.
Sembra che le grandi agenzie educative, dalla famiglia all’università, di questi tempi non ce la facciano a contrastare questo pericoloso trend critico negativo.
Proviamo ora a distinguere tra le tre categorie indicate nel titolo, a partire dagli intellettuali, sia nell’accezione classica, sia in quella contemporanea.
Per i nostri antichi greco-latini e medievali, gli intellettuali erano i sapienti, spesso nella figura dei filosofi, che erano anche – contemporaneamente – scienziati, oggi diremmo fisici, matematici, biologi, etc., perché i saperi di allora erano imparagonabili ai saperi specialistici odierni.
Si può dire che questo ideal-tipo può essere considerato tale dai Presocratici à la Talete di Mileto, fino certamente a Leibnitz e forse a Kant, passando (e citando solo alcuni) per Platone, Aristotele, Averroè, Tommaso d’Aquino, Guglielmo d’Ockam, Descartes (che costituisce il punto di rottura tra il vecchio e il nuovo, tra un sapere filosofico-teologico prevalente su quello fisico-biologico, e il distacco epistemologico tra i due “ambienti” conoscitivi, tra un sapere condizionato dal “religioso-divino-teologico” e un sapere “distinto-umano-scientifico”), Bacon, Galileo, Giordano Bruno, Spinoza, Newton, perché la conoscenza scientifica era molto “orizzontale” e limitata in profondità. Questo spiega anche il “tuttologismo obbligato” dei vecchi sapienti. Un esempio: fino al XVIII secolo, anche a livello accademico, per dire “fisica cosmologica o astronomia” si diceva “filosofia della natura”.
(Johann Gottfried Leibnitz, filosofo e matematico, scopritore – con Isaac Newton – del calcolo infinitesimale, esempio classico di intellettuale)
Se veniamo a oggi, gli intellettuali sono coloro che si distinguono, più ancora che per attestate e originali ricerche, più spesso per presenzialismo sui media, a volte vantando ruoli accademici (non sempre di accertata valenza e serietà scientifica). Spesso sono filosofi, ma anche psicologi, sociologi, politologi, a volte distinti tra esperti di politiche nazionali e a volte di geopolitica internazionale, economisti, direttori di giornali, professori di varie discipline, etc.
Un esempio particolare: Gramsci aveva elaborato la dizione di “intellettuale organico” per rappresentare (sé stesso, innanzitutto), ma soprattutto coloro che, da studiosi, si mettevano al servizio della Rivoluzione socialista.
Oggi, potremmo dire che sono intellettuali organici al sistema personaggi televisivi come Odifreddi, Crepet, Cacciari, Galimberti, Burioni, etc. che possono godere o, (più spesso), meno, della mia stima, specialmente alcuni di essi. Talora si presentano come tuttologi specialisti di ogni-cosa, poco attenti a non impancarsi in discussioni su temi e argomenti che non padroneggiano come dovuto per loro specifici studi. Resto sempre perplesso quando ascolto il matematico Odifreddi discettare di teologia con dovizia di argomentazioni e citazioni (a volte – a mio avviso – fallaci). Di contro, io che ho titolo per discettare di filosofia e teologia, non mi permetterei mai di disquisire di alta matematica, pur non ignorandone i fondamenti.
Ascolto sempre, quasi anche con devozione, un ingegnere che mi parla dei calcoli fisico-matematici per progettare un ponte, o un medico che mi spiega bene i meccanismi ematologici della formazione delle proteine. Non mi capita sempre altrettanto, quando si discute di argomenti filosofici o teologici in ambienti non specialistici.
Ora, ciò dicendo, non voglio affermare che un non-teologo non possa discutere di teologia, ma una corretta etica epistemologica e di filosofia della scienza imporrebbe di parlare di-ciò-che-si-conosce (ubbidendo a Wittgenstein, ma anche al comune buonsenso di mia nonna Caterina) se si vuole stare dentro un discorso scientifico, che è, per definizione, aperto al nuovo e alla ricerca, altrimenti ci si limiti ad esprimere opinioni, premessa la propria non-specializzazione.
Un’altra categoria, è quella degli specialisti, sempre nell’accezione contemporanea. Costoro sono certamente degli intellettuali, ma non-organici, poiché debbono la loro natura a una completa adesione al metodo scientifico irrorato dal pensiero critico. Suggerirei a tutti gli specialisti, ma più ancora agli intellettuali-tuttologi, di leggere Karl Popper, il teorico della ricerca scientifica, che avanza per prove ed errori, come peraltro già Galileo aveva creduto fosse corretto procedere, e praticato alla grande.
Osserviamo infine la nutrita categoria dei tuttologi, sempre nell’accezione contemporanea. Di questa categoria fanno parte primariamente i giornalisti, che per mestiere devono parlare di tutto, specie quando si occupano di commenti, più che di cronaca. Nei casi migliori possiamo osservare come costoro specifichino di essere osservatori interessati o cultori di una determinata disciplina, come si può notare, ad e., in un Paolo Mieli, per la storia.
Un esempio antico di intellettuale a tutto tondo: Cornelio Tacito, il grande storico classico, era un politico e uno storico, ma anche un moralista, che scriveva sine ira et studio, obiettivamente, non sempre riuscendoci (come è umano che sia). Era un intellettuale insigne del suo tempo.
Per esemplificare un idealtipo weberiano di intellettuale-specialista contemporaneo, scrivo due parole su Alessandro Orsini, sociologo e geo-politologo, stra-presente in tv e sul web, capace di suscitare sentimenti estremi, soprattutto negativi, purtroppo per lui. Orsini si dà molto da fare per risultare generalmente antipatico, indulgendo spesso agli insulti diretti nei confronti di chi non è d’accordo con lui, che sovente lui medesimo apostrofa con il titolo di “cretino” o, nel suo miglior dire, di “incompetente”, mentre lui sa(prebbe) tutto, soprattutto dell’invasione russa dell’Ucraina).
Cognitivamente e logicamente, Orsini tende a scambiare le cause con gli effetti e viceversa, etc. Basti pensare alle cause causanti il conflitto tra i “fratelli slavi” Russi e Ucraini scoppiato nell’Europa orientale poco più di due anni fa. L’esercito della Federazione Russa, su ordine dell’autocrate, eletto più volte con un meccanismo plebiscitario per vent’anni e oltre a un potere semi-assoluto, di tipo zarista-post-bolscevico, il 22 febbraio 2022 ha attaccato su diversi fronti l’Ucraina, pensando di conquistarla in una o due settimane. Così non è stato e il conflitto si è impantanato in una situazione da Prima guerra mondiale, à la Fronte Occidentale sulla Marna o Orientale italiano sul Carso. Ora la situazione è controversa e molto grave per l’Ucraina. Mi fermo qui, poiché l’oggetto di questo pezzo non è il citato conflitto.
Di contro, la narrazione putiniana, avvalendosi di alcuni aspetti veri, come l’appartenenza alla cultura e alla lingua russa delle regioni del Don, e la conflittualità a basso regime in atto da un decennio, quando parla di de-nazificazione di un’Ucraina, che sarebbe nazista, commette un doppio errore, etico e storico: se vero è che gli Ucraini, dopo l’Holomodor, la tragica carestia indotta dal regime sovietico, degli anni ’30, quando furono affamati e soppressi dalle politiche di Stalin a milioni, accolsero – in parte – quasi come liberatori i soldati della Wehrmacht, non possono certamente, per questa grave ragione, esser definiti tout court nazisti. Si tratta di propaganda, da parte di Putin, di feroce e fallace propaganda!
La storia della guerra Russo-Tedesca, o nazi-bolscevica, è di una complessità unica, per cui le semplificazioni di Putin sono assurde e disoneste intellettualmente, cui il prof Orsini pare aderire quasi acriticamente.
Orsini accampa di possedere fonti che altri non hanno, e soprattutto fonti certamente (a suo dire) sicure e certe, se non per evidenza, perché specifica di non essere mai stato in Ucraina e in Russia, per comunicazione di notizia. Evidentemente, secondo Orsini, chi lo informa è, prima di tutto bene informato e poi onesto intellettualmente, mentre chi informa gli altri che si fanno altre opinioni sono (secondo lui) sicuramente falsari, fallaci e in mala fede. Chiunque siano. Ciò è, invece, certamente falso, se non altro, perché sono moltissimi coloro che la pensano all’opposto di lui, che hanno studiato come e quanto lui e hanno conoscenza diretta di ciò che accade in quelle regioni e di ciò che è accaduto nel tempo contribuendo a generare la tragedia odierna.
Torniamo al titolo. Il pensiero critico è in… crisi. Ma “crisi” ha non solo un’accezione negativa, soprattutto ai nostri tempi, ma significa anche, etimologicamente, “giudizio su e per”, e dunque ci consegna anche un senso positivo, come nella dizione pensiero-critico.
Esserne coscienti e consapevoli, ci permette di recuperarne il senso profondo di ricerca della conoscenza, e di stimolo per comprendere prima e capire poi (comprendere e capire sono due verbi non sinonimici, ma successivi nel flusso cognitivo!) le cose del mondo e le migliori scelte e decisioni da assumere sotto il profilo etico, pur nel nostro “piccolo” individuale.
Anche nell’informazione e nella trasmissione della verità, per quanto umanamente possibile.
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