Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

A mio avviso, l’attuale presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, il signor Gabriele Gravina, è un eponimo, un archetipo, un idealtipo etc., di arroganza, prepotenza, protervia, superbia, secondo la classificazione del Magister fra’ Tommaso d’Aquino e del Professor Norberto Bobbio, e per altri aspetti di Max Weber

“(…) Non mi interessa il gioco che diverte i trionfatori di singhiozzi, non ascolto le critiche strumentali che si riferiscono alle mie dimissioni. Non esiste l’idea che qualcuno possa comandare il nostro mondo dall’esterno e mi riferisco alla politica ma non solo. Mi ricandiderò? E’ prematuro parlarne: il mio mandato scade nel marzo 2025, ma probabilmente l’assemblea elettiva Figc si svolgerà entro la fine del 2024. E’ quella l’unica sede deputata per un confronto democratico“, si legge sulla Gazzetta dello Sport di oggi 1 luglio 2024.

Parto da un’esegesi linguistico-semantica del testo graviniano. Successivamente la analizzerò sotto il profilo di un’etica generale e di un’etica dello sport.

Chi sono “i trionfatori di singhiozzi“? Che cosa significa questa metafora? Un tentativo poetico-polemico? Patetico, forse, secondo me.

Quali sono “le critiche strumentali“? forse che se qualcuno lo critica, lo fa per forza strumentalmente? forse che il “signore” non sopporta il diritto di critica che sussiste in uno stato di diritto dove è legittimo criticare, ovviamente senza offendere e diffamare chicchessia, che è altra cosa?

e ancora “che si riferiscono alle mie dimissioni“? e che forse non si possono auspicare le dimissioni di un cittadino italiano da un ruolo “pubblico” molto rappresentativo, nell’ambito di una critica anche dura?

Ancora: “Non esiste l’idea che qualcuno possa comandare il nostro mondo dall’esterno e mi riferisco alla politica ma non solo.” Cosa significa questo “non esiste l’idea” egregio signore? La informo che esiste qualsiasi idea che la mente umana possa pensare, e che tutto-è-pensabile. Lo dico non perché lo abbia letto da Platone, da Aristotele o da Kant (ovviamente sì), ma soprattutto perché lo ho sentito dire, quando ero bambino, da mia nonna Caterina (Catine, in friulano), la mamma di mia mamma, che aveva fatto solo fino alla terza elementare. Immagino che lei sia laureato, vero?

Mi fermo qui, perché il testo virgolettato non offre altri spunti retorico-semantici.

(Norberto Bobbio)

Invece, motivo il mio giudizio morale riportato nel titolo: definisco questo signore “eponimo”, “archetipo”, “idealtipo” etc., di arroganza, prepotenza, protervia, superbia.

Si tratta di un climax progressivo che già Aristotele propone nella sua Etica a Nicomaco e che recentemente il professor Bobbio ha ripreso con un linguaggio adatto ai nostri tempi. Max Weber ne ha trattato nella sua sociologia generale.

I tre aggettivi riportano con sfumature diverse il tipo esemplare che rinvia alle difettosità descritte, che si richiamano fino a rinchiudersi sulla matrice generale di questi atteggiamenti: il caput vitiorum, cioè il principe dei vizi morali, la superbia. Chi è superbo ritiene di essere talmente diverso dagli altri, per cui ritiene che a lui stesso tutto sia concesso mentre agli altri nulla. Il superbo è un pericoloso “cultore dell’io”, cioè del sé medesimo, essendo quasi incapace di dire “noi”, anche quando il contesto nel quale agisce ha diversi attori, tutti – anche se diversamente – importanti.

Il “tipo” umano cinematografico che si richiama è Il Marchese del Grillo, nella formidabile interpretazione di Alberto Sordi. Non occorre che io richiami la frase pronunziata da Sordi, che tutti ricordano, per la sua fastidiosa ineleganza.

Brevemente riprendo il tema dal punto di vista di un’etica generale e dello sport. Chi è superbo si comporta da tale e male fa, e ciò è ancora più precisamente rilevabile se questo male riguarda il rapporto con gli altri.

Rimediare a questo atteggiamento è possibile solo cercando di provare, di sentire dentro di sé, un po’ di umiltà, la virtù benedettina che riporta l’umano-essere alle sue dimensioni creaturali di finitezza e di limite.

Nel post fallimentare Europeo di calcio non ho sentito un atto di scuse da questo signore. Solo Spalletti si è scusato, magari un po’ a denti stretti. Presuntuoso lui pure, anzicheno. Il signor Buffon Gianluigi, il portierone che non si ricorda mai del goal di Muntari di un lontano Juventus – Milan, e che per me lo definisce molto come uomo, nel suo ruolo di capo del team azzurro, dice qualcosa di più, ma poco.

Solo due parole su Spalletti, che comunque merita stima per le sue capacità di allenatore, mostrate in diverse esperienze vissute in Italia e all’estero. A volte esagera, forse per un po’ di presunzione toscanaccia. Mi pare dunque che Spalletti talvolta presuma troppo dalla sue capacità dialettiche che, quando mostrano fallacie concettuali e semantico-formali, creano confusione nella mente dei calciatori e dunque, invece di approfondire i concetti per migliorare i comportamenti, li danneggia. Qualcuno glielo faccia notare se non se ne accorge da solo. E, come insegna la filologia latina classica, “accorgersi” è già un “correggersi” (dal deverbale ad corrigendum).

Neanche due parole di scusa agli Italiani da parte dei dirigenti della Figc, e non solo ai tifosi, perché il calcio è un fenomeno socio-culturale e morale che supera di gran lunga la mera passione sportiva, e si collega al senso di appartenenza patrio, che non ha collocazione partitica.

Mi permetto io di esprimere un auspicio da questo mio sito: per dignità e per un sempre recuperabile senso di resipiscenza, il signore in parola, se non si vuole dimettere ora, almeno non si ricandidi. Santodio.

Di calciatori milionari, indolenti, pelandroni e flaccidi fino alla vergogna nulla scrivo, ché non meritano nemmen questa pur minima mia fatica.

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